Roberto
Curatolo è l’autore del testo di Storie
minime in una vicenda massima un’importante opera imperniata sul tema della
Resistenza, nella quale si alternano il linguaggio della prosa – attraverso la
recitazione di cinque racconti letti dallo stesso Curatolo insieme a due attori
pieni di talenti straordinari, Federica Toti e Ignazio Occhipinti – e il linguaggio musicale – con musiche e
liriche di Tiziano Mazzoni, coadiuvato dai musicisti Ettore Bonafé e
Gianfilippo Boni.
Lo
spettacolo, presentato lo scorso 23 settembre presso l’Auditorium di
Rescaldina, è stato patrocinato dal Comune di Rescaldina – Assessorato alla
cultura e si inserisce nell’alveo di un
programma ricco di appuntamenti messi a punto dalla sede ANPI Rescaldina.
Impetuoso
e pieno di situazioni incalzanti e febbrili, come devono essere stati i giorni
della Resistenza, Storie minime in una
vicenda massima offre grande protagonismo alla figura femminile, nel suo
ruolo decisivo in quel particolare contesto memorabile, e riflette in modo
mirabile le passioni e i dubbi di questi giovani partigiani.
Il
testo riscopre la potenza di un dramma storico nel quale coesistono sia lo
sdegno che anima la lotta partigiana, quanto il vicolo cieco in cui, talvolta,
questo sdegno può incappare.
È
per questo che Curatolo mette al centro dei suoi racconti la tragedia umana che
ha travolto l’esistenza di tutti coloro che sono stati coinvolti, direttamente
o indirettamente, nello scontro tra difensori della libertà e oppressori. Un
dramma che non si esaurisce con la fine degli avvicendamenti, con la fine della
guerra, o con la fine della vita degli stessi protagonisti, ma che prosegue di
generazione in generazione, fino ad oggi.
Tuttavia,
all’autore non interessa fornire una visione manichea, dove i buoni sono
nettamente distinti dai cattivi (per quanto sia chiarissimo il suo schieramento
dalla parte di chi ha lottato – anche a costo della propria vita – per i valori
di libertà e giustizia) ma semmai intende restituire un quadro dal quale si
evince che il delicato passaggio dalla dittatura alla democrazia nasce dalla
sommatoria di microscopiche storie di personaggi che, pur avendo contribuito in
varie forme alla lotta partigiana, sono rimasti nel cono d’ombra dell’anonimato.
Curatolo
in quest’opera si rivela affascinato dalla condizione umana, dalla coesistenza
di fattori opposti, come la forza e la fragilità, negli uomini e le donne che hanno
scelto di mettersi in gioco sfidando il proprio destino e lo spettatore non può
fare a meno di seguirlo in questa avventura.
Nel
primo racconto incontriamo Gigi e il Moro, due ragazzi uniti, da sempre, dalla
passione per la montagna, che si ritrovano a vivere l’esperienza della guerra e,
dopo la fatidica data dell’8 settembre del ’43, sentendosi traditi e
abbandonati al massacro, vivranno anche quella della lotta partigiana. La loro
è la storia di una grande amicizia, di un sentimento profondo che continuerà ad
esistere anche dopo la morte di uno dei due, coltivata dall’affetto e dal
ricordo della condivisione di grandi ideali.
Nel
secondo testo narrativo troviamo la prima figura femminile: una giovane
ventenne che sceglie di rischiare la propria vita per la libertà. Lori, figlia
di un operaio della Breda e di una sarta, da quattro anni fa i conti ogni
giorno con i costanti coprifuoco cittadini, i bombardamenti, la disperazione,
la depressione e la miseria della gente che la circonda. Nonostante la sua
giovinezza, quando le viene chiesto di prestarsi alla lotta partigiana,
svolgendo il ruolo di staffetta, fa emergere tutta la sua tempra morale e accetta
senza paura. “La libertà del mio Paese dipende anche da me”, le fa dire
Curatolo, prima di lasciarla al suo destino per presentarci gli altri
protagonisti.

Nel
quarto episodio ricompare il protagonismo femminile che torna rivestendo i
panni della madre di Rodolfo, un giovane sospettato di aderire all’ideologia
partigiana. Di lui si sa soltanto che aveva partecipato a riunioni partigiane, niente
di più. “Aveva solo delle idee” ripete più volte la donna. Vengono, pertanto
messe in luce, da una parte, la disperazione di questa donna freneticamente
alla ricerca del proprio figlio e , dall’altra, le sevizie e le torture cui
venivano sottoposti gli oppositori del regime fascista. Dopo aver invano
tentato di ritrovare il figlio, setacciando tutta Milano e rivolgendosi anche al
carcere di S. Vittore, le viene consigliato di orientare le ricerche in via
Paolo Uccello, a Villa Fossati, il lugubre luogo che i milanesi avevano ormai ribattezzato
con il nome di “Villa Triste”. Sarà
un’altra donna, un’anziana signora incrociata per caso accanto alla mesta
dimora, che le svelerà le atrocità compiute dal reparto speciale della polizia
capeggiato dal comandante Koch e coadiuvato dal frate Epaminonda Troya,
conosciuto ai più con lo pseudonimo di Padre Ildefonso.
Chiude
il ciclo delle narrazioni un’altra donna. Questa volta si tratta della moglie
di un giovane combattente, da poco divenuto padre, catturato e ucciso nel ’44
sulle alture dell’Appennino emiliano. Voce narrante di quest’ultimo episodio è
il nipote che, a distanza di quarant’anni, ripercorre insieme al padre il
sentiero che conduce al luogo della fucilazione del nonno. La presenza di un
testimone oculare, incontrato casualmente, aiuterà i protagonisti a
riappropriarsi dell’agghiacciante dinamica che ha segnato le ultime ore di vita
del proprio congiunto. Il racconto si conclude ai nostri giorni con la donna che,
ormai novantenne e profondamente amareggiata dalla situazione in cui versa il
nostro Paese, rivolgendosi al nipote si interroga sull’utilità del sacrificio
suo e del marito.
Ma Storie minime in una vicenda massima non è solo la somma di tante
piccole, grandi, realtà, ma è anche un affresco corale di un momento
assolutamente generativo della nostra storia caratterizzato da scelte coraggiose
e disinteressate.
Ed è così che le due ore di spettacolo, tra i racconti intercalati da splendide canzoni ed un eccellente accompagnamento musicale,
scorrono via veloci lasciando tutti fortemente emozionati.
E per non farci
mancare proprio niente arriva il saluto finale sulle note di una struggente e
meravigliosa Bella Ciao, nella quale
il virtuoso violino di Pietro Castelli si incrocia con le sonorità degli altri
strumenti.
Dopo questa recensione ho scelto di coinvolgere l’autore proponendogli di rispondere ad alcune domande su Storie minime in una vicenda massima. Prima di mostrarvi cosa mi ha raccontato di sé e della sua opera vi restituisco una sua BREVE BIOGRAFIA:
Roberto Curatolo, scrittore, Medico del Lavoro, studioso di Psicologia dei Comportamenti, nasce a Verona, dove trascorre l’infanzia.
Poco
più tardi si trasferisce a Milano, città dove tuttora risiede e cui si lega la
sua formazione intellettuale.
Sempre
a Milano incontra Giuseppe Pontiggia e diventa suo allievo, seguendo i corsi di
scrittura creativa che il grande saggista e narratore aveva fondato.
Da
sempre interessato alla realtà di coloro che rimangono ai margini della
società, ai chiaroscuri dell’esistenza, al disagio esistenziale e, dunque, alla
vasta zona d’ombra in cui si situa la maggior parte dell’umanità, lega
prevalentemente a questo nucleo tematico gran parte della sua produzione
letteraria.
Nel
2001 pubblica, con Manni Editore, il romanzo Ai margini dell’ombra e nel 2006, sempre con lo stesso editore, dà
alle stampe una superba raccolta di racconti, Lampi di buio.
Nel
2009, con la collaborazione del cantautore Massimo Priviero, dà vita allo
spettacolo musical letterario Dall’Adige
al Don nel quale narra il dramma degli Alpini in Russia, durante la Seconda
Guerra Mondiale.
Nel
2015 edita il testo teatrale Storie
minime in una vicenda massima
Il
mese venturo uscirà, edito da Manni Editore, Vite in
chiaroscuro, che chiuderà la sua trilogia sull’ombra e la luce
Ed
ecco ora il contenuto dell’INTERVISTA:
Com’è nata la
relazione con Anpi Rescaldina?
È una relazione piuttosto recente. Anni fa, con alcuni amici, avevamo dato vita
ad un’associazione culturale chiamata Cultural Box e con la quale proponevamo
la presentazione di alcuni libri. Uno di questi era un diario di straordinaria
efficacia e livello letterario scritto da un intellettuale, Eros Sequi, partigiano
e addetto culturale dell’ambasciata italiana a Zagabria, nel 1943. Lo pubblicammo
e iniziammo a presentarlo nelle varie sedi Anpi e tra queste c’era anche
Rescaldina. Da allora, circa tre anni e mezzo fa, è nata una collaborazione
incessante. Mi sono anche iscritto all’Anpi di Rescaldina, pur abitando a
Milano.
Qual è il tuo rapporto
con l’universo dei partigiani?
Avevo scritto e pubblicato alcuni racconti che si occupavano di questo tema. Mi
ha sempre molto interessato una visione antiretorica della Resistenza, le
storie minime, tant’è che questo spettacolo che ho messo in scena si chiama
appunto Storie minime in una vicenda
massima perché credo che la vicenda storica della Resistenza sia una
vicenda di grandissimo rilievo, ma che è nata da questo serbatoio di
piccolissime storie. Non dobbiamo pensare solo agli episodi più noti, storici e
drammatici, ma anche a quella straordinaria rete di supporto, aiuto e
collaborazione che c’è stata da parte di persone che sono rimaste totalmente
anonime. Questo evento storico mi ha particolarmente interessato e, per citare
una mia amica, la partigiana Lidia Menapace, lei sostiene che la Resistenza è
stato l’unico episodio nella storia del nostro Paese in cui l’italiano non ha
pensato giucciardianamente al suo particulare,
ma ha pensato in maniera disinteressata e assai coraggiosa alla conquista di
una speranza di libertà.
Ha
ancora senso difendere i partigiani oggi? Certamente sono cambiate
completamente le condizioni storiche, però nello stesso tempo possiamo vedere,
più all’estero che da noi, un riaffermarsi di ideologie che sembravano
completamente tramontate. Basti vedere come anche recentemente in paesi
democratici, come la Germania e l’Austria, ci sia un’affermazione così decisa
di una salita di formazioni xenofobe, razziste, che si richiamano spesso ad
ideali di natura neonazista. Addirittura ancora più clamoroso è il caso di
paesi che hanno avuto a lungo governi comunisti, come l’Ungheria e l’Ucraina,
dove vi sono al governo formazioni di estrema destra. Ecco, questo significa
che, purtroppo, bisogna mantenere ancora alta la vigilanza e credo che noi
abbiamo bisogno continuamente di rilanciare la democrazia. La democrazia non è
mai qualcosa di definitivamente acquisito. Parlare oggi di quel periodo così
importante, in cui il Paese ebbe uno slancio ideale così rilevante, serve molto
per riaffermare i principi di libertà che hanno portato alla nostra
Costituzione e alla nostra democrazia. Questi
concetti non devono rimanere dei contenitori vuoti, per cui bisogna riempire
questi contenitori. Credo che siamo in una situazione storica abbastanza
pericolosa.
Com’è nata l’idea di
dar vita allo spettacolo Storie minime in
una vicenda massima? Sono circa sei o sette anni che mi
sono avvicinato alla scrittura teatrale. Mi è capitato di occuparmi di eventi
riguardanti la Seconda Guerra Mondiale in Russia. Me ne ero occupato per due
motivi: mio padre era un reduce della ritirata di Russia, mia madre aveva avuto
un fratello morto in Russia, un ufficiale degli Alpini che era stato anche
decorato. Quindi, di questi fatti ho sempre sentito parlare nella mia infanzia
e adolescenza e di queste cose ho scritto. Un amico mi disse che un cantautore
veneziano, Massimo Priviero, aveva scritto delle belle canzoni, con dei bei
testi, sullo stesso tema. Ci siamo messi in contatto, conosciuti e piaciuti e
in questo modo è nata l’idea di mettere insieme i miei testi e le sue canzoni.
Così è nato Dall’Adige al Don.
Cosa volevi mettere in
luce con quest’ultima opera e come sono nati i vari personaggi? Una
caratteristica che accomuna il lavoro sul tema degli Alpini all’opera teatrale
più recente è la volontà di dare rilievo alla figura femminile. Parlando della
guerra, che è sempre stata raccontata dai maschi, i soldati erano maschi e gli
storici erano maschi, c’è stato un occhio poco attento alle figure femminili.
Per esempio, se per un soldato che torna dal fronte la guerra ad un certo punto
finisce, per una madre che ha perso il figlio, una moglie, una fidanzata che ha
perso il fidanzato, la guerra rimane un segno indelebile. Anche in quest’opera
teatrale ho pertanto ritagliato dei ruoli femminili ad hoc: la ventenne che decide
di fare la staffetta partigiana e di rischiare la propria vita per un ideale di
libertà; successivamente c’è la figura di una madre di un giovane che è stato
trasportato a Villa Triste, dove avvenivano torture contro i partigiani o
sospetti partigiani e vediamo la disperazione di questa madre che dice: “mio
figlio non ha fatto niente, aveva solo delle idee”. Del resto il ruolo
femminile nella Resistenza è stato decisivo per quella rete di supporto, non
solo di trasferimento di messaggi o materiali, ma anche supporto
infermieristico, logistico, vestiario, alimenti, eccetera, che ha fato ‘sì che queste formazioni
partigiane potessero resistere nelle condizioni drammatiche in cui si
trovavano. Oltre ad essermi appassionato nuovamente al teatro, ho rispolverato
una vecchia passione, che è quella della recitazione che risale molto in là nel
tempo, perché quando avevo sei o sette anni andava di moda un film che si
chiamava Marcellino pane e vino e avevano deciso di fare un casting per una
rappresentazione teatrale. Mia madre, che si era sempre tenuta lontana da
queste cose, mi accompagnò a partecipare al casting e fui scelto per il ruolo
di Marcellino. Da allora, anche se in maniera intermittente, ho fatto qualcosa
a teatro e ora mi diverto a recitare in occasione delle mie rappresentazioni.
Un altro aspetto che
ho colto durante la rappresentazione di Storie minime è che tu non intendi
fornire una visione manichea della storia. Cerco sempre di evitare la retorica e credo che in tutte le
guerre ci siano luci ed ombre, l’oro e il fango, come direbbe Lidia Menapace.
Seppure non ho dubbi sulla scelta di dove schierarmi, tra chi difese la libertà
e chi si mise al fianco degli occupanti e dei torturatori, non mi piace una
visione oleografica della Resistenza. Ci sono stati episodi di violenza a volte
gratuita e ho inserito, pertanto, l’episodio che hai citato tu, di una persona
che pur avendo dato il meglio di sé, ha commesso, spinto anche da chi lo
dirigeva, un errore molto grave e involontario, cioè l’esecuzione di una persona
individuata per errore come il capo della polizia segreta fascista e ho inteso
con questo rappresentare la possibilità che ci siano stati degli errori, anche
se minoritari. Mi interessava inserire nel mio lavoro anche questo aspetto.
Diciamo che l’inserimento di questo racconto nell’opera teatrale non è stato
molto gradito da alcuni esponenti dell’Anpi, che mi hanno un pochino criticato per aver
inserito una pagina oscura, però io non ho paura di questo. Non sono questi
episodi, tra l’altro questo nel caso specifico è frutto della mia creazione
letteraria, che inficiano la bontà globale di un evento storico così rilevante.
Devo dire che io ho molto apprezzato quest’inserimento. Continuando con la genesi dei
personaggi, cosa aggiungeresti?
Il primo racconto nasce da un testo che avevo scritto qualche anno fa e si
concentra sul tema dell’amicizia, molto presente nelle realtà belliche. Per
uscire dalla retorica ho voluto sottolineare che l’amicizia resiste anche senza
passare attraverso il sacrificio gratuito. Il secondo racconto è ispirato a
Onorina Brambilla, moglie di Giovanni Pesce e mi serviva per valorizzare le
donne giovani che hanno scelto di diventare partigiane. Il terzo è quello del
giustiziere, di cui abbiamo parlato poco fa. Il quarto è quello di Villa Triste
ed il racconto più vicino alla storia vera. Si parla esplicitamente di Pietro
Koch, il capo dei torturatori e di Epaminonda Troya, Padre Ildefonso, che
suonava durante le torture. Tra l’altro l’amnistia del ’46 fece ‘sì che quest'ultimo uscisse dal carcere. Cito anche Osvaldo Valenti, attore famoso a quei tempi, che
frequentava la villa. Con il quinto racconto ho cercato di chiudere il cerchio.
Qui la donna protagonista si chiede quale sia il significato del sacrificio di
tante vite partigiane. Io credo che il significato ci fosse. Non sono
disfattista. Se abbiamo vissuto in pace per tutti questi anni è grazie a quei sacrifici.
Quali sono i tuoi
progetti per il futuro?
Al di là del fatto che le iniziative teatrali si scontrano con la mancanza di
fondi per la cultura (…) ho promesso a me stesso di portare avanti il massimo
impegno per lo sviluppo culturale. Purtroppo l’ipocultura è dilagante e mi fa
molto paura. Quindi il proposito è di portare avanti il lavoro letterario, non
solo il mio, per far arrivare a più persone dei semi culturali. Soprattutto mi
interrogo su quali strumenti usare per far breccia negli interessi dei più
giovani.