Roberto
Curatolo è l’autore del testo di Storie
minime in una vicenda massima un’importante opera imperniata sul tema della
Resistenza, nella quale si alternano il linguaggio della prosa – attraverso la
recitazione di cinque racconti letti dallo stesso Curatolo insieme a due attori
pieni di talenti straordinari, Federica Toti e Ignazio Occhipinti – e il linguaggio musicale – con musiche e
liriche di Tiziano Mazzoni, coadiuvato dai musicisti Ettore Bonafé e
Gianfilippo Boni.
Lo
spettacolo, presentato lo scorso 23 settembre presso l’Auditorium di
Rescaldina, è stato patrocinato dal Comune di Rescaldina – Assessorato alla
cultura e si inserisce nell’alveo di un
programma ricco di appuntamenti messi a punto dalla sede ANPI Rescaldina.
Impetuoso
e pieno di situazioni incalzanti e febbrili, come devono essere stati i giorni
della Resistenza, Storie minime in una
vicenda massima offre grande protagonismo alla figura femminile, nel suo
ruolo decisivo in quel particolare contesto memorabile, e riflette in modo
mirabile le passioni e i dubbi di questi giovani partigiani.
Il
testo riscopre la potenza di un dramma storico nel quale coesistono sia lo
sdegno che anima la lotta partigiana, quanto il vicolo cieco in cui, talvolta,
questo sdegno può incappare.
È
per questo che Curatolo mette al centro dei suoi racconti la tragedia umana che
ha travolto l’esistenza di tutti coloro che sono stati coinvolti, direttamente
o indirettamente, nello scontro tra difensori della libertà e oppressori. Un
dramma che non si esaurisce con la fine degli avvicendamenti, con la fine della
guerra, o con la fine della vita degli stessi protagonisti, ma che prosegue di
generazione in generazione, fino ad oggi.
Tuttavia,
all’autore non interessa fornire una visione manichea, dove i buoni sono
nettamente distinti dai cattivi (per quanto sia chiarissimo il suo schieramento
dalla parte di chi ha lottato – anche a costo della propria vita – per i valori
di libertà e giustizia) ma semmai intende restituire un quadro dal quale si
evince che il delicato passaggio dalla dittatura alla democrazia nasce dalla
sommatoria di microscopiche storie di personaggi che, pur avendo contribuito in
varie forme alla lotta partigiana, sono rimasti nel cono d’ombra dell’anonimato.
Curatolo
in quest’opera si rivela affascinato dalla condizione umana, dalla coesistenza
di fattori opposti, come la forza e la fragilità, negli uomini e le donne che hanno
scelto di mettersi in gioco sfidando il proprio destino e lo spettatore non può
fare a meno di seguirlo in questa avventura.
Nel
primo racconto incontriamo Gigi e il Moro, due ragazzi uniti, da sempre, dalla
passione per la montagna, che si ritrovano a vivere l’esperienza della guerra e,
dopo la fatidica data dell’8 settembre del ’43, sentendosi traditi e
abbandonati al massacro, vivranno anche quella della lotta partigiana. La loro
è la storia di una grande amicizia, di un sentimento profondo che continuerà ad
esistere anche dopo la morte di uno dei due, coltivata dall’affetto e dal
ricordo della condivisione di grandi ideali.
Nel
secondo testo narrativo troviamo la prima figura femminile: una giovane
ventenne che sceglie di rischiare la propria vita per la libertà. Lori, figlia
di un operaio della Breda e di una sarta, da quattro anni fa i conti ogni
giorno con i costanti coprifuoco cittadini, i bombardamenti, la disperazione,
la depressione e la miseria della gente che la circonda. Nonostante la sua
giovinezza, quando le viene chiesto di prestarsi alla lotta partigiana,
svolgendo il ruolo di staffetta, fa emergere tutta la sua tempra morale e accetta
senza paura. “La libertà del mio Paese dipende anche da me”, le fa dire
Curatolo, prima di lasciarla al suo destino per presentarci gli altri
protagonisti.
Ma
come già accennato in precedenza, non esiste retorica nella narrazione di
Curatolo e per comprenderlo appieno basta guardare la figura del “il
giustiziere”, il protagonista del terzo racconto, per rendercene conto. Qui ci
viene raccontata la storia di un gappista – cui l’autore decide di non
assegnare un nome – che per obbedire agli ordini del suo comandante uccide, con
un colpo di pistola alla nuca, un uomo accusato di essere un aguzzino, un turpe
torturatore. Da quel momento vive nel brivido del rimorso e non si darà mai
pace, soprattutto dopo che scoprirà, diversi anni più tardi, che quella vittima
era un povero innocente erroneamente scambiato per un’altra persona, oltre che
padre della sua futura compagna, la madre dei suoi figli.
Nel
quarto episodio ricompare il protagonismo femminile che torna rivestendo i
panni della madre di Rodolfo, un giovane sospettato di aderire all’ideologia
partigiana. Di lui si sa soltanto che aveva partecipato a riunioni partigiane, niente
di più. “Aveva solo delle idee” ripete più volte la donna. Vengono, pertanto
messe in luce, da una parte, la disperazione di questa donna freneticamente
alla ricerca del proprio figlio e , dall’altra, le sevizie e le torture cui
venivano sottoposti gli oppositori del regime fascista. Dopo aver invano
tentato di ritrovare il figlio, setacciando tutta Milano e rivolgendosi anche al
carcere di S. Vittore, le viene consigliato di orientare le ricerche in via
Paolo Uccello, a Villa Fossati, il lugubre luogo che i milanesi avevano ormai ribattezzato
con il nome di “Villa Triste”. Sarà
un’altra donna, un’anziana signora incrociata per caso accanto alla mesta
dimora, che le svelerà le atrocità compiute dal reparto speciale della polizia
capeggiato dal comandante Koch e coadiuvato dal frate Epaminonda Troya,
conosciuto ai più con lo pseudonimo di Padre Ildefonso.
Chiude
il ciclo delle narrazioni un’altra donna. Questa volta si tratta della moglie
di un giovane combattente, da poco divenuto padre, catturato e ucciso nel ’44
sulle alture dell’Appennino emiliano. Voce narrante di quest’ultimo episodio è
il nipote che, a distanza di quarant’anni, ripercorre insieme al padre il
sentiero che conduce al luogo della fucilazione del nonno. La presenza di un
testimone oculare, incontrato casualmente, aiuterà i protagonisti a
riappropriarsi dell’agghiacciante dinamica che ha segnato le ultime ore di vita
del proprio congiunto. Il racconto si conclude ai nostri giorni con la donna che,
ormai novantenne e profondamente amareggiata dalla situazione in cui versa il
nostro Paese, rivolgendosi al nipote si interroga sull’utilità del sacrificio
suo e del marito.
Ma Storie minime in una vicenda massima non è solo la somma di tante
piccole, grandi, realtà, ma è anche un affresco corale di un momento
assolutamente generativo della nostra storia caratterizzato da scelte coraggiose
e disinteressate.
Ed è così che le due ore di spettacolo, tra i racconti intercalati da splendide canzoni ed un eccellente accompagnamento musicale,
scorrono via veloci lasciando tutti fortemente emozionati.
E per non farci
mancare proprio niente arriva il saluto finale sulle note di una struggente e
meravigliosa Bella Ciao, nella quale
il virtuoso violino di Pietro Castelli si incrocia con le sonorità degli altri
strumenti.
Dopo questa recensione ho scelto di coinvolgere l’autore proponendogli di rispondere ad alcune domande su Storie minime in una vicenda massima. Prima di mostrarvi cosa mi ha raccontato di sé e della sua opera vi restituisco una sua BREVE BIOGRAFIA:
Roberto Curatolo, scrittore, Medico del Lavoro, studioso di Psicologia dei Comportamenti, nasce a Verona, dove trascorre l’infanzia.
Poco
più tardi si trasferisce a Milano, città dove tuttora risiede e cui si lega la
sua formazione intellettuale.
Sempre
a Milano incontra Giuseppe Pontiggia e diventa suo allievo, seguendo i corsi di
scrittura creativa che il grande saggista e narratore aveva fondato.
Da
sempre interessato alla realtà di coloro che rimangono ai margini della
società, ai chiaroscuri dell’esistenza, al disagio esistenziale e, dunque, alla
vasta zona d’ombra in cui si situa la maggior parte dell’umanità, lega
prevalentemente a questo nucleo tematico gran parte della sua produzione
letteraria.
Nel
2001 pubblica, con Manni Editore, il romanzo Ai margini dell’ombra e nel 2006, sempre con lo stesso editore, dà
alle stampe una superba raccolta di racconti, Lampi di buio.
Nel
2009, con la collaborazione del cantautore Massimo Priviero, dà vita allo
spettacolo musical letterario Dall’Adige
al Don nel quale narra il dramma degli Alpini in Russia, durante la Seconda
Guerra Mondiale.
Nel
2015 edita il testo teatrale Storie
minime in una vicenda massima
Il
mese venturo uscirà, edito da Manni Editore, Vite in
chiaroscuro, che chiuderà la sua trilogia sull’ombra e la luce
Ed
ecco ora il contenuto dell’INTERVISTA:
Com’è nata la
relazione con Anpi Rescaldina?
È una relazione piuttosto recente. Anni fa, con alcuni amici, avevamo dato vita
ad un’associazione culturale chiamata Cultural Box e con la quale proponevamo
la presentazione di alcuni libri. Uno di questi era un diario di straordinaria
efficacia e livello letterario scritto da un intellettuale, Eros Sequi, partigiano
e addetto culturale dell’ambasciata italiana a Zagabria, nel 1943. Lo pubblicammo
e iniziammo a presentarlo nelle varie sedi Anpi e tra queste c’era anche
Rescaldina. Da allora, circa tre anni e mezzo fa, è nata una collaborazione
incessante. Mi sono anche iscritto all’Anpi di Rescaldina, pur abitando a
Milano.
Qual è il tuo rapporto
con l’universo dei partigiani?
Avevo scritto e pubblicato alcuni racconti che si occupavano di questo tema. Mi
ha sempre molto interessato una visione antiretorica della Resistenza, le
storie minime, tant’è che questo spettacolo che ho messo in scena si chiama
appunto Storie minime in una vicenda
massima perché credo che la vicenda storica della Resistenza sia una
vicenda di grandissimo rilievo, ma che è nata da questo serbatoio di
piccolissime storie. Non dobbiamo pensare solo agli episodi più noti, storici e
drammatici, ma anche a quella straordinaria rete di supporto, aiuto e
collaborazione che c’è stata da parte di persone che sono rimaste totalmente
anonime. Questo evento storico mi ha particolarmente interessato e, per citare
una mia amica, la partigiana Lidia Menapace, lei sostiene che la Resistenza è
stato l’unico episodio nella storia del nostro Paese in cui l’italiano non ha
pensato giucciardianamente al suo particulare,
ma ha pensato in maniera disinteressata e assai coraggiosa alla conquista di
una speranza di libertà.
Ha
ancora senso difendere i partigiani oggi? Certamente sono cambiate
completamente le condizioni storiche, però nello stesso tempo possiamo vedere,
più all’estero che da noi, un riaffermarsi di ideologie che sembravano
completamente tramontate. Basti vedere come anche recentemente in paesi
democratici, come la Germania e l’Austria, ci sia un’affermazione così decisa
di una salita di formazioni xenofobe, razziste, che si richiamano spesso ad
ideali di natura neonazista. Addirittura ancora più clamoroso è il caso di
paesi che hanno avuto a lungo governi comunisti, come l’Ungheria e l’Ucraina,
dove vi sono al governo formazioni di estrema destra. Ecco, questo significa
che, purtroppo, bisogna mantenere ancora alta la vigilanza e credo che noi
abbiamo bisogno continuamente di rilanciare la democrazia. La democrazia non è
mai qualcosa di definitivamente acquisito. Parlare oggi di quel periodo così
importante, in cui il Paese ebbe uno slancio ideale così rilevante, serve molto
per riaffermare i principi di libertà che hanno portato alla nostra
Costituzione e alla nostra democrazia. Questi
concetti non devono rimanere dei contenitori vuoti, per cui bisogna riempire
questi contenitori. Credo che siamo in una situazione storica abbastanza
pericolosa.
Com’è nata l’idea di
dar vita allo spettacolo Storie minime in
una vicenda massima? Sono circa sei o sette anni che mi
sono avvicinato alla scrittura teatrale. Mi è capitato di occuparmi di eventi
riguardanti la Seconda Guerra Mondiale in Russia. Me ne ero occupato per due
motivi: mio padre era un reduce della ritirata di Russia, mia madre aveva avuto
un fratello morto in Russia, un ufficiale degli Alpini che era stato anche
decorato. Quindi, di questi fatti ho sempre sentito parlare nella mia infanzia
e adolescenza e di queste cose ho scritto. Un amico mi disse che un cantautore
veneziano, Massimo Priviero, aveva scritto delle belle canzoni, con dei bei
testi, sullo stesso tema. Ci siamo messi in contatto, conosciuti e piaciuti e
in questo modo è nata l’idea di mettere insieme i miei testi e le sue canzoni.
Così è nato Dall’Adige al Don.
Cosa volevi mettere in
luce con quest’ultima opera e come sono nati i vari personaggi? Una
caratteristica che accomuna il lavoro sul tema degli Alpini all’opera teatrale
più recente è la volontà di dare rilievo alla figura femminile. Parlando della
guerra, che è sempre stata raccontata dai maschi, i soldati erano maschi e gli
storici erano maschi, c’è stato un occhio poco attento alle figure femminili.
Per esempio, se per un soldato che torna dal fronte la guerra ad un certo punto
finisce, per una madre che ha perso il figlio, una moglie, una fidanzata che ha
perso il fidanzato, la guerra rimane un segno indelebile. Anche in quest’opera
teatrale ho pertanto ritagliato dei ruoli femminili ad hoc: la ventenne che decide
di fare la staffetta partigiana e di rischiare la propria vita per un ideale di
libertà; successivamente c’è la figura di una madre di un giovane che è stato
trasportato a Villa Triste, dove avvenivano torture contro i partigiani o
sospetti partigiani e vediamo la disperazione di questa madre che dice: “mio
figlio non ha fatto niente, aveva solo delle idee”. Del resto il ruolo
femminile nella Resistenza è stato decisivo per quella rete di supporto, non
solo di trasferimento di messaggi o materiali, ma anche supporto
infermieristico, logistico, vestiario, alimenti, eccetera, che ha fato ‘sì che queste formazioni
partigiane potessero resistere nelle condizioni drammatiche in cui si
trovavano. Oltre ad essermi appassionato nuovamente al teatro, ho rispolverato
una vecchia passione, che è quella della recitazione che risale molto in là nel
tempo, perché quando avevo sei o sette anni andava di moda un film che si
chiamava Marcellino pane e vino e avevano deciso di fare un casting per una
rappresentazione teatrale. Mia madre, che si era sempre tenuta lontana da
queste cose, mi accompagnò a partecipare al casting e fui scelto per il ruolo
di Marcellino. Da allora, anche se in maniera intermittente, ho fatto qualcosa
a teatro e ora mi diverto a recitare in occasione delle mie rappresentazioni.
Un altro aspetto che
ho colto durante la rappresentazione di Storie minime è che tu non intendi
fornire una visione manichea della storia. Cerco sempre di evitare la retorica e credo che in tutte le
guerre ci siano luci ed ombre, l’oro e il fango, come direbbe Lidia Menapace.
Seppure non ho dubbi sulla scelta di dove schierarmi, tra chi difese la libertà
e chi si mise al fianco degli occupanti e dei torturatori, non mi piace una
visione oleografica della Resistenza. Ci sono stati episodi di violenza a volte
gratuita e ho inserito, pertanto, l’episodio che hai citato tu, di una persona
che pur avendo dato il meglio di sé, ha commesso, spinto anche da chi lo
dirigeva, un errore molto grave e involontario, cioè l’esecuzione di una persona
individuata per errore come il capo della polizia segreta fascista e ho inteso
con questo rappresentare la possibilità che ci siano stati degli errori, anche
se minoritari. Mi interessava inserire nel mio lavoro anche questo aspetto.
Diciamo che l’inserimento di questo racconto nell’opera teatrale non è stato
molto gradito da alcuni esponenti dell’Anpi, che mi hanno un pochino criticato per aver
inserito una pagina oscura, però io non ho paura di questo. Non sono questi
episodi, tra l’altro questo nel caso specifico è frutto della mia creazione
letteraria, che inficiano la bontà globale di un evento storico così rilevante.
Devo dire che io ho molto apprezzato quest’inserimento. Continuando con la genesi dei
personaggi, cosa aggiungeresti?
Il primo racconto nasce da un testo che avevo scritto qualche anno fa e si
concentra sul tema dell’amicizia, molto presente nelle realtà belliche. Per
uscire dalla retorica ho voluto sottolineare che l’amicizia resiste anche senza
passare attraverso il sacrificio gratuito. Il secondo racconto è ispirato a
Onorina Brambilla, moglie di Giovanni Pesce e mi serviva per valorizzare le
donne giovani che hanno scelto di diventare partigiane. Il terzo è quello del
giustiziere, di cui abbiamo parlato poco fa. Il quarto è quello di Villa Triste
ed il racconto più vicino alla storia vera. Si parla esplicitamente di Pietro
Koch, il capo dei torturatori e di Epaminonda Troya, Padre Ildefonso, che
suonava durante le torture. Tra l’altro l’amnistia del ’46 fece ‘sì che quest'ultimo uscisse dal carcere. Cito anche Osvaldo Valenti, attore famoso a quei tempi, che
frequentava la villa. Con il quinto racconto ho cercato di chiudere il cerchio.
Qui la donna protagonista si chiede quale sia il significato del sacrificio di
tante vite partigiane. Io credo che il significato ci fosse. Non sono
disfattista. Se abbiamo vissuto in pace per tutti questi anni è grazie a quei sacrifici.
Quali sono i tuoi
progetti per il futuro?
Al di là del fatto che le iniziative teatrali si scontrano con la mancanza di
fondi per la cultura (…) ho promesso a me stesso di portare avanti il massimo
impegno per lo sviluppo culturale. Purtroppo l’ipocultura è dilagante e mi fa
molto paura. Quindi il proposito è di portare avanti il lavoro letterario, non
solo il mio, per far arrivare a più persone dei semi culturali. Soprattutto mi
interrogo su quali strumenti usare per far breccia negli interessi dei più
giovani.
Pagina bella, ampia ed esauriente, di grande interesse.
RispondiEliminaTi ringrazio, cara Nadia e sono onorata di ospitarti in questo salotto! Sei la prima a commentare questo post, che oltretutto tratta un tema tutto sommato divisivo, e sapere che lo hai apprezzato mi riempie di soddisfazione (ma tanta!).
EliminaLa visione manichea è sempre un pericolo quando si parla di periodi storici tribolati e di personaggi controversi del passato.
RispondiEliminaNon sospettavo che Curatolo fosse stato l'interprete di Marcellino Pane e Vino. Lo spettacolo dev'essere stato molto bello!
Ciao Cristina! Lo spettacolo è stato appassionante, davvero coinvolgente. Certo, quando si sente parlare della Resistenza coi toni roboanti del fanatismo estremista si scappa a gambe levate. Con Curatolo, invece, è tutta un'altra cosa: lui dà voce alla storia della gente semplice, vera, non certo quella che crede di aver la verità in tasca e soprattutto è cosciente che in ogni situazione critica esistono sempre luci e ombre. E le affronta entrambe. Rispetto a Marcellino pane e vino ti confesso che è stata una deliziosa sorpresa anche per me! Se ci pensi, però è buffo il destino: fin da bambino gli ha indicato il palcoscenico :)
EliminaDevo necessariamente fare una precisazione: non sono l'interprete del film, il piccolo attore era un bambino spagnolo, Pablito Calvo. Molto più modestamente io ho interpretato il personaggio in una rappresentazione teatrale di provincia.
EliminaApprofitto di questa risposta per ringraziare Clem per la sua lusinghiera recensione e per la bella intervista.
Roberto Curatolo
Sono io che ti ringrazio, Roberto. Mi scuso in anticipo per le risposte fin troppo sintetiche che riesco a introdurre, ma il pc mi sta dando problemi e sono costretta ad usare il cellulare, con tutti i limiti del caso. Al di là dei possibili equivoci in merito alla esperienza di Marcellino (premettendo che avevo ben capito che si riferisse ad una rappresentazione teatrale e non televisiva) penso che il punto interessante fosse la bizzarria del destino, o come si preferisce chiamarlo, nell'indicarti la via del teatro fin dalla tenera età. La circostanza mi ha strappato un sorriso di grande tenerezza e penso che anche l'intervento di Cristina fosse orientato in questa direzione :)
EliminaGrazie a Roberto per la precisazione, e comunque rinnovo i miei complimenti a entrambi. :-)
EliminaGrazie a te, Cristina!!! :-)
EliminaBrava Dany, nonostante la facilità di cadere nel trito,vista la vastità dei trattati su questo argomento, sei riuscita a muoverti con grazia e leggerezza. Continua così
RispondiEliminaIl merito va soprattutto all'autore dell'opera perché ha dimostrato egregiamente che è possibile trattare argomenti emotivamente (e non solo)impegnativi e pesanti con un approccio serio e delicato al tempo stesso. Grazie, Eli, sei sempre una grande amica!
EliminaBellissimo articolo, Clementina. Concordo in pieno con quanto dice Curatolo "l'ipocultura è dilagante", fa paura anche a me. E "quali strumenti usare per far breccia negli interessi dei più giovani", questo è un bel quesito: cominciamo con la Scuola, portiamo questi spettacoli nelle scuole, coinvolgiamo i ragazzi e le ragazze. Che non sono solo ed esclusivamente "digitalizzati", se li coinvolgiamo scopriranno di avere un cuore e dei sentimenti e scopriranno le loro radici. Bisogna tentare e continuare; strada impervia, ma va affrontata.
RispondiElimina(Chiedo scusa perché trovandomi costretta a rispondere dal cellulare mi sento limitata nelle risposte ) Cara Lauretta, concordo totalmente con ciò che scrivi. Esiste, nonostante la difficoltà di trovare i giusti mezzi per farlo, il bisogno di raggiungere i più giovani coinvolgendoli nelle vicende che hanno caratterizzato la nostra storia. Di fatto, ho anch'io l'impressione che i ragazzi di oggi abbiano perso il contatto con le proprie radici. Ciò dipende sicuramente da noi ed è altrettanto doveroso che a tutto ciò si ponga rimedio. Gli ostacoli sono tantissimi, però. A cominciare dalla mancanza di fondi necessari ad allestire spettacoli come questo. Avrei piacere che Roberto intervenisse in questo spazio per apportare il suo punto di vista. Nel frattempo, ti ringrazio e ti abbraccio
EliminaBrava Cle, post molto bello, sei riuscita a camminare sulle sabbie mobili senza sprofondare nella banalità e nella retorica, diretta e senza fare sconti a nessuno, continua così e ti seguirò con molto interesse.
RispondiEliminaGrazie mille! Non vedo il tuo nome, purtroppo :)
EliminaDalla recenzione prima e dall'intervista dopo, emerge il profilo di un autore di grande sensibilità.
RispondiEliminaRingrazio Clementina Daniela Sanguanini per avermi offerto l'opportunità di sentirmi ancora più vicina ad una realtà non sconosciuta, avendo avuto parenti partigiani.
Mi ritengo una figlia del dopoguerra, ho ascoltato spesso racconti di ingiustizie e sofferenze del conflitto.
Porgo i miei auguri all'autore, certa che il suo lavoro susciterà interesse in tanti giovani desiderosi di sapere cosa è davvero accaduto dietro le " quinte della guerra".
Enza Santoro
Grazie a te, carissima Enza. Sembra che siate tutti d'accordo sulla necessità di trasferire ai giovani la memoria del nostro passato e credo che la grande sfida sarà proprio questa! Grazie! !!!
EliminaIn un precedente lavoro teatrale ho trattato il tema della disfatta italiana nella campagna di Russia. Si intitola "Dall'Adige al Don". Anche in quel lavoro c'è una particolare attenzione alla condizione femminile durante e dopo la guerra.
RispondiEliminaGrazie alla tenacia di una professoressa di lettere che aveva visto lo spettacolo e si era ripromessa di portarlo nella sua scuola, il Liceo Classico Volta di Como, sono stati superati tutti gli ostacoli di tipo burocratico e siamo riusciti a rappresentarlo nella prestigiosa biblioteca del Liceo. Ero molto preoccupato: pensavo che i ragazzi avrebbero smanettato sul cellulare per tutta la durata delo spettacolo o che avrebbero chiacchierato tra loro. Nulla di tutto questo: un'attenzione spasmodica e una straordinaria capacità di immedesimazione nel testo.
Conclusione: se dai ai ragazzi qualcosa di "buono", loro lo mangiano più che volentieri e lo assimilano. Se invece dai loro solo Amici e X Factor, loro mangiano quella sbobba e arretrano nel loro sviluppo culturale e nella possibilità di affinare la loro sensibilità e nello stimolo ad ampliare il loro raggio d'azione mentale.
Non dimenticherò mai i loro commenti, sia quelli diretti, sia quelli inviati alla loro professoressa e che lei poi mi ha girato. Commenti di straordinaria profondità e intensità.
Roberto Curatolo
Ma sicuramente! Del resto, oggi ci troviamo nel mezzo di una profonda crisi della politica, con la disgregazione delle ideologie, la crisi degli ideali, e i ragazzi hanno bisogno di punti di riferimento. Non mi stupisce che in quella circostanza gli studenti abbiano apprezzato. In fondo, la storia dei partigiani è la storia di ragazzi e ragazze come loro e proprio per questo è facile l'immedesimazione.
EliminaE senza trascurare che la Resistenza parla di valori intramontabili come la pace, la libertà e l'uguaglianza.
E concordo ancora. Quando, solo pochi anni fa, il mio secondogenito frequentava il quarto anno di Liceo (Il Liceo Classico Ugo Foscolo, di Albano Laziale), grazie alla passione e all'impegno di una docente, i ragazzi sono stati coinvolti nella ricerca dei partigiani ancora in vita nei Castelli Romani, per realizzare una mostra con foto, video e pagine e pagine di racconti che sono memorie preziosissime. I ragazzi e le ragazze hanno lavorato con lena e anche con grande interesse. A riprova di quello che scrive Curatolo "se dai ai ragazzi qualcosa di "buono", loro lo mangiano più che volentieri e lo assimilano."
EliminaMi inchino dinanzi ai bravi insegnanti animati dalla passione di ripercorrere e spiegare una pagina tanto importante della nostra storia. Ciao Lauretta e grazie ancora per questa bella testimonianza, davvero!
EliminaIl mio vuole essere un commento più generale al blog di "Cle" e a tutti gli spunti presentati (appena avrò un attimo mi dedicherò a quest'ultimo approfondimento): complimenti davvero per l'eleganza dello stile, la grafica, l'originalità dell'idea e delle chicche presentate e per l'appeal generale dell'iniziativa. Bravissima!
RispondiEliminaOh, che meraviglia questo complimento, grazie Baba!!!
EliminaAncora una volta mi hai rapita, Clem! Dalla tua recensione traspare la bellezza e la profondità del testo, così come la carica emotiva dello spettacolo taetrale. Molto interessante anche l'intervista con l'autore. Purtroppo la Storia passata e recente ci insegna come l'umanità tenda a ripetere i suoi errori: concordo sul bisogno di "rilanciare continuamente la democrazia" e di "mantenere alta la vigilanza". Ammiro anche la volontà dell'autore di ribadire la rilevanza del ruolo femminile nella Resistenza e il fatto che abbia ritagliato dei significativi ruoli femminili nella sua opera.
RispondiEliminaGrazie dell'apprezzamento, Stella, ne sono molto lusingata! Purtroppo è vero che l'umanità ripete i suoi errori, anzi, a questo proposito mi torna in mente Gogol quando ne Le anime morte diceva, più o meno, che la generazione che passa ride della semplicità dei suoi antenati per poi dare inizio ad errori sui quali rideranno i posteri. Tuttavia, io sono convinta che l'uomo sia artefice del proprio destino e pertanto condivido appieno, come te e come Roberto, la necessità di mantenere alta la vigilanza affinché la democrazia, la libertà e l'uguaglianza non si riducano a mere parole svuotate del loro significato (a ragione di più per noi donne)!
Elimina