lunedì 29 gennaio 2018

L’invisibile oltre il visibile





Vi è mai capitato di provare attrazione per un luogo fisico con il quale, prima di arrivarci, credevate di non aver nulla a che fare, ma dopo averci messo piede una sola volta vi siete sorpresi annodati da una relazione profonda, atavica e difficilmente spiegabile?

Bene, se avete voglia di seguire le mie strampalate elucubrazioni, toccheremo questi argomenti: vi voglio raccontare dei luoghi che chiamano, evocano e sembrano possedere un’essenza interiore.


Santa Fiora - Veduta della Peschiera 
Per introdurre la divagazione mi avvarrò delle parole del grande scrittore Antonio Tabucchi (Pisa, 23 settembre 1943 – Lisbona, 25 marzo 2012), il quale in una raccolta di riflessioni intitolata “Viaggi e altri viaggi”, scriveva:

«Un luogo non è mai solo quel luogo. Quel luogo siamo un po’ noi. In qualche modo, senza saperlo ce lo portavamo dentro…e un giorno per caso ci siamo arrivati. Ci siamo arrivati il giorno giusto o il giorno sbagliato, a seconda, ma questo non è responsabilità del luogo, dipende da noi. Dipende da come leggiamo quel luogo, dalla nostra disponibilità ad accoglierlo dentro gli occhi e dentro l’animo, se siamo allegri o malinconici, euforici o disforici, giovani o vecchi, se ci sentiamo bene o se abbiamo mal di pancia. Dipende da chi siamo nel momento in cui arriviamo in quel luogo. Queste cose si imparano col tempo, e soprattutto viaggiando…» 

Antonio Tabucchi

Come comprenderete, ciò di cui intendo parlarvi non è facilmente definibile. Non si tratta di una questione che si possa sviscerare ed esaurire partendo da un’analisi razionale che poggia su fatti concreti e oggettivi e sul concatenarsi di progressive conseguenze ad essi collegati.
È qualcosa di più sottile che ha a che vedere con la sensibilità e con la disponibilità interiore, insita in ciascuno di noi, a cogliere e decodificare alcuni segnali come una sorta di messaggio.
No, non temete, non ho nessuna intenzione di convertire chicchessia all’irrazionalismo, o a una visione mistica della realtà, o addirittura esoterica. Sono solo riflessioni su un’esperienza che personalmente ho vissuto più e più volte e sarò più chiara riportandovi un esempio su tutti.

Dovete sapere che diversi anni fa, da ragazzina, ho trascorso una vacanza in un paesino della provincia grossetana, sul Monte Amiata, ospite della famiglia di un’amica e compagna del liceo. 

Vi dico sin d’ora che, dal punto di vista paesaggistico, quel luogo è indubbiamente mirabile, come lo sono tanti altri borghi disseminati lungo il nostro Bel Paese. Non è una meta particolarmente rinomata, pur essendo importante sul piano del turismo locale e pur vantando alcuni nomi celebri tra i suoi residenti. Un po’ come ogni località italiana, del resto. 

Quello che, invece, fin dal principio, mi ha catturato di quel territorio, giocando un ruolo addirittura magnetico, è stato altro.
Non si tratta dell’influenza di qualche persona, sebbene ne abbia conosciute diverse e alcune di loro si siano rivelate senza dubbio importanti; non si tratta nemmeno dell’influenza del clima o della gastronomia locale, per quanto entrambi siano eccellenti.
Si tratta, bensì, dell’energia di quel luogo, di quell’energia che non scaturisce dall’uomo e dai suoi artefatti, ma che erompe direttamente dalla natura: dall’aria, dal suolo, dall’acqua, dai boschi,...

Saturnia. Le cascate del Mulino
Forse, sarà stato per via del panorama caratterizzato da sfumature di colori cangianti in ogni stagione, quello che si può ammirare nelle giornate più nitide, salendo sulla cima dell’Amiata: gli Appennini toscani, emiliani, umbri, marchigiani, laziali, le isole dell’Arcipelago dell’Argentario, la Sardegna e la Corsica. 

Saturnia. Le cascate del Gorello


Sarà stato per l’insolita presenza di uno sperone di roccia dall’aspetto lunare: il Monte Labbro. Dovete sapere che il Monte Labbro è un sito particolarmente suggestivo in cui, la notte, si riesce a osservare una quantità strabiliante di stelle; è anche un luogo che sin dal primo sguardo appare in netto contrasto con l’Amiata e il resto del paesaggio circostante. 
Sì, il Monte Labbro è anche il luogo in cui si insediò David Lazzaretti, il Profeta contadino di Arcidosso, il Cristo dell’Amiata, che venne ucciso nel 1878 da un carabiniere durante una processione. Al di là delle leggende ricamate intorno a Lazzaretti e ai suoi seguaci, i giurisdavidiani, occorre precisare che quello fu un periodo di grande tensione e anche di grande miseria, con le masse contadine che aspiravano a un miglior tenor di vita e con il Papa che, in seguito alla perdita del potere temporale, invitava i cattolici a non  partecipare alla vita politica del nuovo stato, il regno unito d’Italia (si era appena raggiunta l’unità del Paese). E proprio in quel momento storico quest’uomo predicava l’utopia socialista.

Monte Labbro. Ruderi della torre Giurisdavidica
Sarà stato per la conformazione vulcanica di quelle terre, per l’eco della loro potenza, per il fascino delle cascate d’acqua sulfurea che, calda e vigorosa, sgorga naturale dalla roccia di travertino presso le Terme di Saturnia.

Sarà stato per le selve, così ricche di castagni, così selvagge e autentiche. 

Sarà stato per quei sentieri intrisi dei segni del passaggio degli etruschi.

Sarà stato per tutto questo, o per altro ancora. Non lo so. 

Ma il messaggio che mi è giunto forte e chiaro da quei luoghi era che lì si trovava parte delle mie radici.

Eppure, se mi chiedeste di dare una spiegazione concreta a tutto ciò non saprei farlo, anzi, posso assicurarvi che le radici storiche della mia famiglia risiedono ben altrove…

Arcidosso
Ora, per ragioni di sintesi, vi dico che i miei soggiorni sull’Amiata sono durati un certo lasso di tempo per poi interrompersi bruscamente. La stessa amica e compagna di classe, che mi invitò laggiù la prima volta, è venuta a mancare diversi anni fa, in modo prematuro.

Malgrado ciò, posso dire che, ricorsivamente negli anni, quella terra mi ha chiamata a sé nei modi più imprevedibili, finché ho risposto, tornando a visitarla: un amico milanese tutt’a un tratto ha deciso di spostare lì, seppur temporaneamente, la propria residenza (pur non avendo alcun legame con quel luogo); mi sono imbattuta in un paio di bizzarre e sorprendenti conversazioni, durante le quali due perfetti sconosciuti, incrociati per caso, han fatto a gara per decantarmi la bellezza di quelle terre; per ultimo, proprio di recente, ho intercettato una lunga sequela di citazioni su Santa Fiora, Arcidosso, Castel del Piano, … e i relativi personaggi storici, artistici, e cosi via, pervenute da amici e conoscenti, non solo disgiunti l’uno dall’altro, ma che non sospettavo minimamente conoscessero quei posti,… (e forse, qualcuno tra loro mi sta leggendo). 

Castel del Piano
Insomma, arrivata a questo punto, ho pensato valesse la pena soffermarmi a riflettere sul potere che certi luoghi (non ve n’è uno solo, non c’è solo l’Amiata, per intenderci) hanno per entrare intensamente in comunicazione con noi.

E allora ho cercato risposte annidiate nei grovigli del tempo...

Per esempio, sapevate che gli antichi Greci consideravano alcuni luoghi, come incroci, sorgenti, pozzi, boschi,  dotati dell’anima di dèi, dee, ninfe, demoni, mentre gli antichi Romani avevano addirittura trovato il modo per definire l’entità naturale e soprannaturale legata a un luogo? 

L’hanno chiamata Genius Loci.

Se ci pensate, il Genius Loci è un pensiero illuminante, capace di spiegare molte cose.

Ma, come spesso capita, l'uomo riesce benissimo a complicarsi la vita e, infatti, ecco che, con l’avvento del razionalismo di Cartesio e la rivoluzione scientifica del Seicento, l’anima legata ai luoghi viene disconosciuta. Non solo. Secoli dopo, con la crescita esponenziale della tecnologia, l’uomo si è convinto sempre più della propria superiorità verso la natura.

Potrà mai esserci convincimento più ottuso e devastante?


Ma, soprattutto, secondo voi, poteva perdersi del tutto tanta maestosa bellezza, senza lasciare traccia del suo passaggio? 

No, non poteva. E, infatti, in mezzo a tanto materialismo, in mezzo alla visione antropocentrica dominante, le menti illuminate dei poeti hanno mantenuta accesa l’idea che l’uomo potesse assurgere a un grado di conoscenza superiore solo ponendosi in comunione con la natura. 
Grazie al loro magnifico linguaggio, visionario e immaginifico, ora siamo di nuovo consapevoli che esiste un legame indissolubile tra l’uomo e i luoghi.

Tra questi sapienti possiamo annoverare molti nomi illustri.
Oggi, oltre alla dichiarazione di Tabucchi, presentata poc’anzi, vorrei proporvi le riflessioni di altri tre capisaldi di questa corrente di pensiero filosofico: Rainer Maria Rilke, Thomas Eliot, Henry David Thoreau.

Rainer Maria Rilke

Lo scrittore, poeta e drammaturgo Rainer Maria Rilke (Praga, 4 dicembre 1875 – Montreux, 29 dicembre 1926) sosteneva che la ‘parola sacra’, la parola dei poeti, fosse in stretta relazione con il Genius Loci, e che essa fosse la testimonianza più immediata dell’energia del luogo e del mito d’origine.
Ecco cosa scriveva in Elegie Duinesi:

«Non soltanto tutti i mattini dell’estate, non soltanto/ come si fan giorno e come raggiano prima./ Non soltanto i giorni teneri e delicati intorno ai fiori,/ e su / intorno agli alberi formati, forti e possenti. Non soltanto la devozione di queste forze spiegate / non soltanto le vie non soltanto i prati di sera…/ ma le notti! Ma le notti alte dell’estate, / ma le stelle, le stelle della terra. / Oh, esser morti una volta, e saperle all’infinito / tutte le stelle perché come, come, come dimenticarle


Thomas Eliot
Thomas Eliot (Saint Louis, 26 settembre 1888 – Londra, 4 gennaio 1965), poeta, saggista, critico letterario e drammaturgo statunitense, in Quattro quartetti, a sua volta, si esprimeva così:

«Spunta l’alba e un altro giorno / Si prepara al calore e al silenzio. Laggiù sul mare il vento dell’alba / increspa e scivola. Io sono qui / O là, o altrove. Nel mio principio

Henry David Thoreau, (Concord, 12 luglio 1817 – Concord, 6 maggio 1862), filosofo, scrittore e poeta statunitense, nella sua opera, Camminare, affermava quanto segue:

Henry David Thoreau

«Camminavamo in una luce pura e fulgida, che ammantava d’oro l’erba e le foglie ormai secche, in una luminosità dolce e serena, e io pensai che mai mi ero trovato immerso in un tale flusso dorato, senza un’increspatura o un mormorio che lo turbassero. I pendii dei boschi e delle colline, a ponente, risplendevano come i confini dei Campi Elisi, e il sole, posandosi sulle nostre spalle, sembrava un pastore gentile che guidasse, la sera, il nostro ritorno a casa

Ecco, soprattutto dopo la lettura di questi versi, anch’io nel mio piccolo credo che il legame indissolubile tra l’uomo e i luoghi si riassuma nel percepire l’invisibile oltre il visibile: avvertire e (ri)-conoscere un luogo come un’anima a cui rendere omaggio, come una meraviglia della natura, come qualcosa di miracoloso e straordinario che ci riempie il cuore di immensa emozione.

E voi, miei cari, cosa ne pensate? 

Avete mai sperimentato questo genere di emozioni? 



BIBLIOGRAFIA:
Antonio Tabucchi, Viaggi e altri viaggi, Feltrinelli, 2010
Rainer Maria Rilke, Elegie Duinesi, Einaudi, 1978 p.p. 40-43
T.S. Eliot, Quattro quartetti, Garzanti; 1979, p. 23
Henry David Thoreau, Camminare, Mondadori, 1991, p. 63
David Lazzaretti, Wikipedia

ICONOGRAFIA:
Le immagini utilizzate nel post provengono da Wikipedia e WikiCommons:
Santa Fiora - Veduta della Peschiera
Arcidosso -  Veduta della rocca  
Monte Labbro - Ruderi 
Castel Del Piano
Saturnia - Le cascate del Mulino e le cascate del Gorello
Rainer Maria Rilke
T.S. Eliot
Henry David Thoreau

  

lunedì 22 gennaio 2018

La donna nel XIX secolo – 5





Ben ritrovati!

Continua la serie dedicata alle donne del 1800, chi desiderasse recuperare le parti precedenti può cliccare direttamente QUI. QUI. QUI. QUI


Riprendiamo il filo del discorso dell’analisi della metafisica dell’amore per incontrare il punto di vista di altri autori, ma prima di procedere, desidero offrirvi qualche breve cenno che aiuterà a contestualizzare il tema.

Eccomi tra i dipinti di Grosso e di Corcos
alla Pinacoteca Zuest

Dovete sapere che verso la metà del XIX secolo accade qualcosa di unico e straordinario che sconquassa l’intera società occidentale.
Da lì in poi, lo spazio del diritto viene attraversato dalla riflessione sulle donne e anche la misoginia dei filosofi cambia: alcuni di questi assumono un atteggiamento favorevole, altri, si allineano al pensiero di Shopenhauer (che, in fondo, ricalca l’ideologia rivoluzionaria francese… ricordate?). 
Cosa accade?
Accade che l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro, affiancato dalla richiesta di queste ultime di contare di più nella società, viene vissuto come una grande minaccia.
Il femminismo, come movimento sociale e politico, sta diventando una realtà pubblica e l’emancipazione femminile si sta concretamente affacciando, ponendo in discussione l’egemonia maschile. A questo punto, l’ordine borghese inizia, pian piano, a incrinarsi e molti rappresentanti della élite intellettuale e politica reagiscono violentemente.
Ebbene, per dipanare questo groviglio possiamo andare a recuperare il pensiero di cinque filosofi, attraverso cui recupereremo i temi dei dibattiti in corso. Ecco dunque i punti di vista di Pierre Leroux, Karl Marx, Harriet Taylor, Stuart Mill e Pierre-Joseph Proudhon.


Casalinghe inglesi della metà del 1800 con il vestito "della festa", ma le mani tradiscono l'abito svelando una realtà di dura fatica quotidianaFoto dal libro Victorian Working Women, di Michael Hiley.


Lavandaie londinesi.Foto di Rejlander, 1854 -56, Victorian Working Women 





Pierre Leroux. Foto Wiki Commons


Iniziamo con Pierre Leroux (Parigi, 7 aprile 1797 – Parigi, 12 aprile 1871). Tutto il pensiero di Leroux si dispiega intorno all’opposizione tra il principio di libertà e il principio di associazione e, partendo da questi presupposti, egli tenta di portare nuovi elementi di discussione intorno al tema della emancipazione delle donne muovendosi sul doppio binario del diritto e dell’amore, dell’identità e della differenza dei sessi. Partendo dal concetto di amore, egli introduce un passaggio alquanto ardito per quei tempi:
“Dio non è né uomo né donna”.
Pertanto, prima dell’amore e della coppia, la donna è semplicemente un essere umano. Ricorrendo a questo principio, egli concepisce contemporaneamente l’identità e la differenza tra i due sessi, distinguendo due sfere del rapporto uomo-donna: il rapporto sessuale e amoroso, da una parte; la condizione sociale degli individui donne, dall’altra.  
Secondo Leroux, dunque, la donna e l’uomo devono essere considerati due esseri umani uguali, pertanto ne consegue che la donna emanciperà l’uomo e l’uomo emanciperà la donna e, ancora una volta, la relazione tra i due sessi non potrà che essere egualitaria.


Karl Marx. Foto Wikipedia

Diversa è la posizione del filosofo ed economista tedesco Karl Marx (Treviri, 5 maggio 1818 – Londra, 14 marzo 1883) il quale sposa l’idea presentata da Fourier, secondo cui il matrimonio e la famiglia vengono additati come un sistema di proprietà che fanno della donna una merce, per portare avanti il proprio pensiero. Egli, pur pronunciandosi a favore della monogamia, si discosta dall’idea del matrimonio come istituzione ammantata di sacralità, si pone a favore del divorzio e, allo stesso tempo, rifiuta l’idea della comunanza delle donne, teorizzata dal comunismo primario. In pratica, secondo Marx, la cosiddetta “comunanza delle donne” tanto auspicata dal comunismo primario esiste già e va sotto il nome di “prostituzione”, essa è cioè una forma commerciale di circolazione delle donne tra gli uomini che ne detengono il loro possesso, come se queste fossero oggetti.
Oltre a ciò, Marx sottolinea che il capitalismo moderno, dissolvendo la famiglia proletaria e immettendo le donne nel mercato del lavoro, le sottrae allo spazio della proprietà privata familiare, e avvia in tal modo, senza saperlo, un processo di liberazione delle donne.
Infatti, il lavoro salariato, costituisce il primo passo verso l’autonomia delle donne che potrà arrivare a compimento dal comunismo con la fine della proprietà privata e il mutamento del sistema di produzione.
Al di là di come si svolgeranno i fatti in seguito, l’economia viene in questo modo ad assumere una valenza del tutto nuova, che fino ad allora sembrava appannaggio esclusivo del diritto: diventa la base dell’emancipazione femminile.
In pratica, Marx rende il dibattito estremamente concreto dichiarando che la donna può cessare di essere uno strumento di produzione (familiare e sociale) per diventare una lavoratrice all’interno del sistema produttivo e diventando, altresì, un essere autonomo nella vita privata.

Nella realtà dei fatti, il periodo in cui tracciare una vera e propria storia della famiglia non è ancora maturo.
Vedremo, in seguito, come la figlia di Marx, Eleanor Marx, si distinguerà tra le più importanti personalità del movimento femminista, a partire da una sua pubblicazione risalente al 1886, The Woman Question: From a Socialist Point of View.

A questo punto, però, proseguendo la nostra narrazione intorno ai filosofi, troviamo un contemporaneo, oltre che un oppositore di Marx che tratterà il tema della famiglia e del matrimonio come un luogo specifico di una immutabilità di rapporti tra uomo e donna.


Pierre Joseph Proudhon.
foto Wikipedia
Stiamo parlando del filosofo francese Pierre-Joseph Proudhon (Besançon, 15 gennaio 1809 – Passy, 19 gennaio 1865).
Per Proudhon la famiglia è il luogo in cui regna una pace basata sull’ineguaglianza e il filosofo fa di tutto, intreccia persino i legami tra economia e metafisica, per avvalorare la propria tesi sull’inferiorità femminile. Per Proudhon il ruolo delle donne è legato all’importanza del loro ruolo nella famiglia e la loro emancipazione è possibile solo quando l’uomo sarà in grado di “emanciparsi” nei lavori domestici. Cioè mai.
Per costui la donna è il complemento dell’uomo che contribuisce alla vita di coppia con la propria bellezza, ma la sua bellezza è anche un deterrente per il suo sviluppo e, pertanto, ella rimane costantemente in condizioni di inferiorità, un essere intermedio tra l’uomo e l’animale.

Leggiamo insieme cosa scrive a riguardo nel suo breve trattato “Systéme des contradictions économiques ou Philosophie de la misère”, ovvero “Sistema delle contraddizioni economiche o Filosofia della miseria”, più comunemente conosciuto come “Filosofia della miseria” (pp. 21-22):

Tra l’uomo e la donna può esistere amore, passione, un legame di abitudine, tutto quello che si vuole, ma non vi è autentica parità. L’uomo e la donna non procedono all’unisono, la differenza dei sessi innalza tra loro una barriera non diversa da quella che la differenza delle razze pone tra gli animali. […] Così, lungi dall’applaudire a quella che oggi viene definita emancipazione delle donne, io inclinerei piuttosto, se si dovesse giungere a questi estremi, a chiudere le donne in prigione.”

Un gran simpaticone, no?
Ebbene, in Francia il movimento operaio fa proprie le posizioni di Proudhon – no, non sto scherzando, è tutto vero – e lo slogan diventa:
“Donna di casa o cortigiana, non serva”.

Sembra una presa in giro, ma è esattamente ciò che è successo e questo motto va inteso nei seguenti termini: nella vita domestica la donna di casa effettua un lavoro non salariato, ma non servile. Nello spazio pubblico la donna è presa in un ingranaggio commerciale che la trasforma in merce. Invece, il dualismo sessuale nella coppia marito-moglie, malgrado l’ineguaglianza, si basa sul reciproco rispetto.
Dove sarebbe poi questo rispetto tanto sventagliato è davvero un mistero, visto che le donne, non solo svolgevano gratuitamente i lavori domestici, ma non potevano nemmeno tener per sé il salario ottenuto andando a lavorare in fabbrica, perché erano obbligate a porlo nelle mani del consorte, che lo amministrava a sua discrezione.


Lattaie londinesi. Le foto, tratte da Victorian Working Women, risalgono al 1864.  



Donne che lavorano presso la miniera di Wigan. Foto della collezione Munby (1867-78 circa)



Dai, passiamo ad altro, che è meglio!


Ora vi parlo di un paio di persone che, senza alcun dubbio, possiamo porre agli antipodi rispetto a Proudhon: Harriet Taylor e suo marito Stuart Mill.

Stuart Mill. Foto Wikipedia

Stuart Mill (Londra, 20 maggio 1806 – Avignone, 8 maggio 1873), filosofo ed economista inglese, si è sempre impegnato in una continua lotta in difesa dei diritti civili.
Alla formazione del suo pensiero ideologico e politico sulla questione contribuiscono tre fattori: il disagio familiare in cui cresce, dovuto alla durezza con cui suo padre agisce nei confronti di sua madre; l’essere stato trattenuto in carcere per una notte, ancora adolescente, per aver distribuito alle operaie che uscivano da una fabbrica dei volantini attraverso cui si parlava di controllo responsabile delle nascite; il rapporto anticonformista con Harriet Taylor.



ritratto di Harriet Taylor Mill,
 National Portrait Gallery, London

Hariet Taylor (Londra, 10 ottobre 1807 – Avignone, 3 novembre 1858) filosofa inglese ed esponente del primo femminismo liberale.

Dovete sapere che Harriet Taylor e Stuart Mill si conoscono e iniziano una relazione venti anni prima che la morte del primo marito della Taylor rendesse possibile il loro matrimonio. Insieme scriveranno tre saggi, uno sul matrimonio e il divorzio, uno sull’emancipazione delle donne, e uno sulla servitù delle donne.
Lo stesso Mill, nella propria autobiografia affermerà che il contributo filosofico della moglie in ciascuna di queste opere è stato fondamentale.

Ebbene, per spiegarvi chi fosse costui vi dico che per tutta la durata della sua carriera politica Mill si batte per estendere il suffragio alle donne. Egli considera la parità di genere, in cui regna la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, una condizione imprescindibile al buon governo.
Si sofferma a lungo sul ruolo della donna all’interno della famiglia, e la famiglia viene concepita come alveo della vita quotidiana in grado di trasformare l’individuo in attore sociale.

Secondo Mill e la Taylor, l’educazione ricevuta dalle bambine e dalle ragazze della loro epoca e di quelle precedenti, gioca e ha giocato un ruolo fondamentale nel perpetuare la sottomissione delle donne.

Leggiamo insieme uno stralcio di Sull’uguaglianza e l’emancipazione femminile, Torino, Einaudi, 2001, pp. 85-91, scritto da S. Mill e H. Taylor:

“[…]il dominio degli uomini sulle donne differisce da tutti questi perché non è un dominio basato sulla forza: è accettato volontariamente; le donne non se ne lamentano e ne sono parti consenzienti. Ora, in primo luogo, un gran numero di donne non lo accetta affatto. Dal momento in cui le donne sono state in grado di far conoscere i propri sentimenti con i propri scritti (unica forma di azione pubblica che la società consente loro), in numero sempre crescente hanno messo per iscritto la loro protesta contro la loro attuale condizione sociale: e recentemente molte migliaia di donne, guidate dalle più eminenti tra quelle note al pubblico, hanno presentato una petizione al Parlamento per essere ammesse al suffragio nelle elezioni parlamentari. La richiesta delle donne di ricevere un’istruzione altrettanto solida e negli stessi ambiti del sapere di quella degli uomini, viene avanzata con intensità crescente, e con grandi prospettive di successo; e la richiesta di essere ammesse alle professioni e occupazioni da cui finora sono state escluse diviene ogni anno più urgente.
[…]Nessuno potrebbe dire quante altre donne coltivino silenziosamente aspirazioni simili; ma vi sono abbondanti prove di quanto coltiverebbero tali aspirazioni se non si insegnasse loro così strenuamente a reprimerle perché non si addicono alle prerogative del loro sesso.
[…]I padroni di tutti gli altri schiavi si affidano, per mantenere l’obbedienza, alla paura; la paura che loro stessi incutono, oppure una paura di tipo religioso. I padroni delle donne vogliono più della semplice obbedienza e impiegano tutta la forza dell’educazione per perseguire il loro scopo. Tutte le donne vengono educate fin dai primissimi anni a credere che il loro carattere ideale sia opposto a quello degli uomini; non volontà autonoma o governo di sé attraverso l’autocontrollo, ma sottomissione e arrendevolezza al controllo di altri. Tutte le morali dicono loro che è dovere delle donne vivere per gli altri, fare atto di completa abnegazione di sé, e non avere altra vita se non negli affetti; e tutti gli odierni discorsi sentimentali concordano che in ciò consista la loro natura […], presentando loro la mansuetudine, la sottomissione e la rassegnazione di ogni volontà individuale nelle mani di un uomo come una parte essenziale dell’attrattiva sessuale. Si può dubitare che qualcuno degli altri gioghi che l’umanità è riuscita a spezzare sarebbero sopravvissuti fino ad oggi se fossero esistiti gli stessi mezzi per piegare le menti ad essi e fossero stati utilizzati altrettanto assiduamente?


Ecco!
Con queste premesse, nell'Inghilterra del 1869, Stuart Mill, Hariet Taylor e altre grandi personalità, si fanno portavoce del movimento che nel 1900 prenderà il nome di movimento delle Suffragette.

1908: le due suffragette inglesi, Annie Kenney e Christabel Pankhurst.



Orbene, miei cari, il post si conclude qui
Mi auguro che sia stato di vostro gradimento e come sempre vi invito a lasciare un commento.

Prossimamente, se vi va, continueremo la nostra analisi.

Un caro saluto dalla vostra Cle e dal gruppo Incipit Reading,
intento a raccontare la storia delle donne della metà dell'Ottocento,
presso la pinacoteca Zuest


Vi auguro una bellissima settimana e a presto! ^__^




lunedì 15 gennaio 2018

Creatività, follia e gatti a volontà





Vi siete mai chiesti quali connessioni esistano tra creatività, follia e gatti?
Io sì e sono sicura che anche qualcuno tra voi abbia fatto lo stesso.

Per questa ragione oggi vi voglio parlare di scrittori, pittori, registi, attori, musicisti,… insomma di una gran quantità di artisti i quali, attraverso le loro opere, sono riusciti a cambiare anche il nostro punto di vista sul mondo e che, inoltre, hanno voluto lasciare testimonianza della propria spiccata predilezione per i gatti.

Amici gattofili è arrivato il momento della riscossa! :-D


le mie body-guards, Kiki e Pallina


Se avete voglia di seguirmi, inizierei a introdurre il tema della creatività.

Partiamo dalla definizione del termine, attingendo direttamente al dizionario Treccani: 
“Virtù creativa, capacità di creare con l’intelletto, con la fantasia. In psicologia, il termine è stato assunto a indicare un processo di dinamica intellettuale che ha come fattori caratterizzanti: particolare sensibilità ai problemi, capacità di produrre idee, originalità nell’ideare, capacità di sintesi e di analisi, capacità di definire e strutturare in modo nuovo le proprie esperienze e conoscenze.”

Andy Warhol, Sam
(uno dei 25 gatti Sam di Warhol)

In realtà il concetto di creatività ha assunto molteplici sfumature di significato  a seconda del periodo e del luogo in cui esso veniva accolto. 
Per esempio, gli antichi Greci identificavano la creatività con la capacità poetica, legata a moduli e scansioni ritmiche. La condizione per l’emersione di atti creativi era per essi collegata allo stato d’animo della malinconia
Aristotele, infatti, parla di malinconia in termini di situazione di perenne indecisione quale condizione imprescindibile per poter decidere effettivamente, istituendo in questo modo una regola nuova.

Sempre in Occidente, con l’avvento della cristianità, si rafforza la visione di creatività in termini di “dono divino”, tra l’altro visto come “virtù” prevalentemente maschile.
Con il passare dei secoli l’Illuminismo afferma l’idea di scienza in senso moderno e il Romanticismo inizia l’esplorazione della “sfera irrazionale”: sogno, visione, immaginazione, follia.

Renoir, Ragazzo con gatto, 1868,
Musée d'Orsay, Paris
Avanzando di questo passo, dunque, verso la fine del ‘700, il filosofo Kant introduce l’immaginazione come anello intermedio tra sensibilità ed intelletto.
Agli inizi del 1900 Henri-Louis Bergson mette a punto il suo terzo grande lavoro, L’evoluzione creatrice, attraverso cui sostiene che l’intelligenza non è mai del tutto staccata dall’istinto e quando questa torna consapevolmente all’istinto abbiamo l’intuizione. L’intuizione (intelligenza che riprende l’istinto) ci permette di penetrare nel profondo della materia; ci permette di cogliere la coscienza, il tempo come durata e la libertà. Quindi, la creatività, dal suo punto di vista, è espressione di qualcosa di archetipico, già esistente in forma latente: corrisponde allo slancio vitale.
L’effetto più clamoroso della teoria bergsoniana dello slancio vitale colpisce le avanguardie moderne, come il dadaismo, che tenta il superamento della  distinzione tra l’opera artistica e il suo creatore, esprimendo così nell’arte la naturale “gioia di vivere”.

Ma come già accennato, il concetto si modifica di continuo e alla sua trasformazione contribuisce molto anche la contaminazione con il pensiero filosofico orientale.
Per questa filosofia, nulla è fisso o immutabile. Essere, in questo caso, significa “inter-essere”, quindi implica un legame inscindibile tra la persona e l’ambiente in cui vive. Di conseguenza, diversamente dal punto di vista occidentale, il vuoto non corrisponde affatto al nulla e la creatività, come l’arte, non è affatto un movimento isolato dell’io, bensì un cammino, un evento spontaneo.
Ne consegue che, secondo questa speculazione, più un artista riesce a creare il vuoto nella sua mente, più la sua opera d’arte è perfetta. 

Paul Gauguin, Tahitiane nella stanza, 1896, 
Museo Pushkin, Mosca

Intanto, ancora in Occidente, ma nell’arco del Novecento, gli studiosi della Gestaltdimostrano in campo psicologico che alcuni fra processi di apprendimento più comuni, in particolare nel campo della soluzione di problemi, avvengono precisamente per una ristrutturazione brusca del campo cognitivo globale.
Sulla base di questa teoria la chiave della creatività starebbe nella percezione. Infatti, è la percezione che fornisce gli stimoli che possono essere elaborati tramite varie forme di logica e percezioni diverse dello stesso fenomeno portano a conclusioni diverse.

Non è certo questo l’ambito per approfondire in modo scrupoloso l’evoluzione del concetto di creatività, perché ciò richiederebbe un’analisi lunghissima che tenga conto del frutto di innumerevoli contributi intellettuali pervenuti attraverso discipline differenti. Mi limito a segnalare che, allo stato dell’arte, per quanto riguarda l’Occidente, prevale la visione secondo la quale non si può essere veramente creativi senza percepire compiutamente la realtà. Detto ciò, ritengo doveroso aggiungere anche che, tradizionalmente l’essenza della percezione viene collegata all’attenzione e l’essenza dell’attenzione viene congiunta alla curiosità.

Però, cosa muova una persona alla curiosità, all’attenzione e, di conseguenza, alla creatività rimane ancora un mistero… ^_^ 

Paul Klee, Gatto e uccello, 1928, Museum of Modern Art, New York

Detto ciò, bisogna aggiungere che il contributo più significativo a questa indagine risale agli anni 1860-70, quando un certo Eugen Bleuler, studiando la demenza precoce ne sottolinea quattro aspetti particolari: allentamento delle associazioni mentali; anaffettività; ambivalenza; autismo.
L'ipotesi naturale dopo Bleuler fu che la tendenza a formulare associazioni inusuali fosse alla base di questo disturbo, che egli battezzò schizofrenia.
Altri scienziati avevano concluso che uno stile di pensiero schizofrenico senza l’angoscia e senza la destrutturazione della patologia corrispondente potesse essere alla base dell'atto creativo.

Allo scopo di approfondire tale ipotesi, circa un secolo più tardi, intorno al 1970 sono stati messi a punto una serie di studi in ambito neuropsicologico. Le teorie correnti per una neuropsicologia della creatività si basano in buona parte sul modello dell'information processing di Lindsay & Norman

Balthus, The king of cats, 1935,
collezione privata

Sulla base di queste ricerche, secondo alcuni studiosi, il cervello contiene informazioni memorizzate in forma isolata, mentre determinati stati mentali potrebbero favorire associazioni nuove tra gli elementi esistenti. Per esempio chi pensa per immagini potrebbe notare elementi figurativi comuni in due esperienze che sono trascurati da chi pensa per parole. 

E arriviamo ai nostri giorni.

Una ricerca condotta nel 2015 dall’Imagination Institute del Positive Psychology Center dell'Università della Pennsylvania, il cui direttore è Scott Barry Kaufmansostiene l’esistenza di un legame genetico tra creatività e disturbi psichici quali schizofrenia e disturbo bipolare. Secondo questa analisi sembra che le inclinazioni artistiche siano effettivamente legate ad alcune caratteristiche di tipo schizoide. In tutto questo processo la produzione di dopamina avrebbe un ruolo centrale: la creatività artistica pare essere associata alle persone costantemente sovraeccitate, che hanno bisogno di uno sfogo per esplorare una vasta gamma di idee, sensazioni ed emozioni e per arrivare a questo risultato serve produrre molta dopamina. 

arriviamo al “dunque”

Un recente studio, condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università La Sapienza di Roma, dell’IRCCS Santa Lucia e dell’Università de L'Aquilarinforza l’ipotesi di una diretta implicazione del neurotrasmettitore dopamina negli aspetti salienti dell’esperienza onirica.

I sogni sono dunque regolati dalla produzione di dopamina che avviene durante le ore notturne.

A ogni modo, quel che emerge con chiarezza da questi studi è che il primo postulato per essere considerati dei creativi è di possedere una corteccia celebrale espansa e il secondo è quello di sognare.

In pratica, durante il giorno riceviamo stimoli di tutti i tipi e di notte, durante la fase di sonno REM, il cervello genera una serie di impulsi elettrici che lo “auto-bombardano” dando origine ai sogni.

Ebbene, se c’è qualcuno che oltre all’uomo utilizza lo stesso identico meccanismo del sonno REM costoro sono il gatto e il cane. Ma il gatto ancor più del cane!  *__*

Come il nostro cervello, quello dei gatti non si può permettere di rimanere inattivo. Anch’esso ha costantemente bisogno di “macinare informazioni” anche di notte in modo che non decadano le memorie in esso depositate, durante il giorno, nei suoi circuiti, nelle sue sinapsi.

Oh, dopo questa lunga ma doverosa premessa, sulla quale vi lascio liberi di tirare le vostre conclusioni, passiamo a trattare il tema clou del post: il legame tra artisti e gatti.

Come già saprete, sono numerosissimi gli scrittori, i pittori, i musicisti, i registi, gli attori,… che hanno eletto il gatto a compagno della propria vita. 
Forse non a caso questa creatura dal fascino sottile, dallo spirito insubordinato e indipendente, dalla personalità enigmatica e a volte indecifrabile, ha ispirato le opere di tantissimi autori.


Genio e follia vanno dunque a braccetto? Chissà,… teniamo comunque a mente le parole che Edgar Allan Poe scrisse, nel 1842, per il racconto intitolato Eleonora:

“Gli uomini mi hanno definito pazzo, sebbene non risulti ancora chiaro se la pazzia sia, o no, il grado più alto dell'intelletto, e se molto di quanto dà gloria e tutto ciò che rende profondi non nasca da una malattia della mente, da stati di esaltazione dello spirito, a spese dell'intelletto in genere.” [Traduzione di Franco Della Pergola, De Agostini, 1985]

E il ruolo dei gatti in questo bizzarro contesto quale sarà?

Ah, a proposito... so che qualcuno obietterà, sostenendo che anche i cani hanno ricevuto l’amore e l’attenzione di altrettanti artisti e scrittori e non intendo affatto negarlo. 
Tuttavia, chi vi scrive, pur amando profondamente tutti gli animali, cani compresi, nutre da sempre una spiccata preferenza per i gatti, ha vissuto fin dalla prima infanzia insieme a loro e tuttora se ne circonda.
Pallina 
In fondo questo post è dedicato anche ai miei amici gatti: Rossino, Celestino, Pinco, Susi, che seppure non sono più materialmente accanto a me, lo rimangono in perpetuo, pulsando forte nel mio cuore. 
Ma esso è soprattutto un omaggio alle due “befanelle”, Kiki e Pallina che, da un decennio a questa parte, con le loro fusa, i loro capricci, la loro voglia di giocare, accompagnano il ritmo delle mie giornate, allietandole immensamente. 

Da amante dei gatti quale sono mi sento di puntualizzare che, per quanto noi tentiamo in vari modi di regolare la vita di queste misteriose creature, esse riescono sempre a farci sentire il dolce profumo di anarchia e libertà. E vi confesso che quella fragranza mi è tanto, tanto cara!

Kiki






Quindi, per tornare al tema iniziale e concludere la mia dissertazione, vi propongo una serie di immagini, aneddoti, citazioni, raccolte per voi attraverso più di una fonte narrativa, che testimoniano l’amore di una moltitudine di grandi personaggi geniali (e, a detta di qualcuno, anche un po' folli), della letteratura, dell’arte, della musica e del cinema, verso i nostri meravigliosi amici felini.

Et voilà!… ^__^ 




Mark Twain e il suo gatto
Mark Twain, il quale scrisse molte storie per ragazzi che avevano come protagonisti gatti dai nomi bizzarri, amava a tal punto questi felini da sostenere:
“Se fosse possibile incrociare l'uomo con un gatto, la cosa migliorerebbe l'uomo, ma di certo peggiorerebbe il gatto”.

Charles Dickens, invece, aveva battezzato il proprio peloso William, in onore di Shakespeare, salvo poi scoprire che si trattava di una femmina… ^_^


Doris Lessing




Doris Lessing, con la sua insuperabile grazia, scriveva:
“Se un pesce è l’incarnazione del movimento dell’acqua, il gatto è la materializzazione dell’aria”.


William Burroughs 







William Burroughs, figura controversa, censurata per pornografia, accusata di misoginia, criticata per l’adesione alla potente organizzazione che promuove l’uso delle armi,… insomma uno dei più radicali scrittori americani che amava trastullarsi ai margini del delitto, era, nonostante tutto questo, un grandissimo amante dei gatti. Ecco cosa pensava di loro:
“Il gatto non offre servigi. Il gatto offre se stesso. Naturalmente vuole cura ed un tetto. Non si compra l'amore con niente. Come tutte le creature pure, i gatti sono pratici… I gatti mi rispecchiano in modo profondo. Sono riusciti ad aprire in me una vasta area di compassione. Ricordo di aver passato ore ed ore a piangere nel mio letto al pensiero che una catastrofe avrebbe potuto distruggerli… La rabbia di un gatto è meravigliosa: brucia di pura fiamma felina, il pelo ritto e scintille sfavillanti di blu, gli occhi fiammeggianti che lanciano saette… Chi odia i gatti rispecchia uno spirito brutto, stupido, grossolano e bigotto.”

Ernest Hemingway
Ernest Hemingway, forse l’autore che più di ogni altro si è caratterizzato per l’essenzialità e l’asciuttezza del linguaggio, pare che non potesse scrivere senza la presenza della sua musa felina. Anche i duri hanno un cuore tenero?... Pare di sì! Pensate che a Cuba viveva con una trentina di gatti che adorava più che mai. Ebbene, in una lettera lasciò scritto quanto segue:
“I gatti dimostrano di avere un'assoluta onestà emotiva. Gli esseri umani, per una ragione o per l'altra, quasi sempre riescono a nascondere i propri sentimenti. I gatti no”.



H.P. Lovercraft
H.P. Lovecraft, riconosciuto tra i maggiori scrittori di letteratura horror insieme ad Edgar Allan Poe e considerato da molti uno dei precursori della fantascienza angloamericana, oltre che uno degli autori più reazionari, pessimisti, e anti-yankee, nel terrificante racconto, I Gatti di Ulthar, descrive così queste creature:
“Si racconta che a Ulthar, la città oltre il fiume Skai, la legge proibisca di uccidere i gatti. A me basta osservarli quando fanno le fusa accanto al fuoco per capire il perché: il gatto è misterioso e affine alle cose invisibili che l'uomo non potrà mai conoscere; è l'animo dell'antico Egitto, è il depositario di racconti che risalgono alle città dimenticate di Meroe ed Ophir, è parente dei signori della giungla ed erede dei segreti dell’Africa oscura e misteriosa. La Sfinge è cugina del gatto, che parla la stessa lingua ma è più antico e ricorda cose che essa ha dimenticato”.

Edgar Allan Poe
Edgar Allan Poe, considerato il padre della moderna letteratura dell’orrore, basata non più su una serie di trame e personaggi fissi, ma sull’orrore stesso, declinato in una estrema varietà di situazioni, era un grande fan dei gatti e ne aveva uno che viveva con lui, chiamato Catterina.

Guy de Maupassant, scrittore, drammaturgo, reporter di viaggio, saggista e poeta francese, nonché uno dei padri del racconto moderno, nel racconto Sui gatti, ne tratteggia così l’essenza:
“È a casa dappertutto, visto che dappertutto può entrare, l’animale che passa senza un rumore, vagabondo silenzioso, errante notturno dei muri vuoti”



Colette
Colette, una delle grandi protagoniste della sua epoca, scrittrice prolifica, autrice e critica teatrale, giornalista e caporedattrice, sceneggiatrice e critica cinematografica, si faceva spesso ritrarre insieme al suo gatto. Nel racconto “La gatta”, narra la storia di Saha, una gatta di razza Blu di Russia che conquista il cuore del suo padrone dopo che la moglie, gelosa, cerca di sopprimerla:
“La sentì sgattaiolare fuori dal paniere e, per tenerezza, smise di occuparsi di lei. Le restituì, dedicandogliele, la notte, la libertà, la terra morbida e spugnosa, gli insetti notturni e gli uccelli addormentati”.

Elsa Morante
Elsa Morante scrisse una poesia per la sua gattina.
“Ho una bestiola, una gatta, si chiama Minna. (…) Il cielo, per armarla, unghie le ha dato, e denti: / ma lei, tanto è gentile, sol per gioco li adopra. / Pietà mi viene al pensiero che, se pur la uccidessi, / processo io non avrei, né inferno, né prigione”.

Jean-Paul Sartre, forse il più importante rappresentante dell’esistenzialismo, usava ricevere i suoi ospiti e i giornalisti sempre attorniato dai suoi gatti, in particolare uno bianco, chiamato Nada.

Anche Jorge Luis Borges condivideva la sua abitazione con un gatto bianco. Lo scrittore sosteneva che il carattere dei gatti fosse superiore a quello di altri animali e che quando si concedono alle carezze lo fanno solo per farci piacere.

Jorge Luis Borges

Haruki Murakami
Forse non tutti sanno che il grande scrittore Haruki Murakami, agli inizi degli anni ’70 aprì un jazz bar a Kokubunji (Tokyo). Il nome del locale era “Peter Cat”, dal nome del gatto col quale aveva vissuto alcuni anni prima e che aveva dovuto lasciare a un amico in campagna.
Al Peter Cat, Murakami preparava drink, lavava piatti, metteva dischi di musica jazz, osservava le persone e leggeva libri. Egli stesso, in seguito, ha dichiarato che se non avesse avuto quel bar, non sarebbe mai diventato scrittore.


E probabilmente non tutti sanno anche che Andy Warhol  viveva a New York al 1342 di Lexington Avenue in una casa di 400 metri quadri distribuiti su cinque piani, occupata da 25 gatti siamesi, tutti di nome Sam. Il genio della Pop Art perciò realizzò una nutrita serie di ritratti dei tanti gatti Sam, in pose diverse e con diversi colori! Nel 1954, le tante litografie confluirono in un libro d’arte auto-pubblicato in edizione limitatadal titolo 25 Cats name Sam and One Blue Pussy (25 gatti chiamati Sam e una gattina azzurra). Nel titolo vi era quindi un errore di ortografia: avrebbe dovuto riportare la scritta “named”, ma passò alla stampa senza la “d”…  anche i geni hanno delle sviste ;-)

Andy Warhol con uno dei suoi amati gatti

Ma non abbiamo ancora finito… 


Provate a guardare l’opera di Kandinski, Giallo, rosso e blu, al rovescio… cosa vi sembra di vedere?... ^-^

la tela è girata di proposito capovolta: Wassily Kandinski, Giallo, rosso, blu, 1925,
Musée national d'art moderne, Paris


Forte, vero? 

Per chiudere il post vi ho preparato una nuova carrellata di immagini di personaggi famosi ritratti insieme ai loro gatti:  buona visione e buon divertimento! :-)



Walt Disney
Syd Barrett
Kandinski
Freddy Mercury

Jack Keruac
Ezra Pound e i suoi gatti
Herman Hesse
Stephen King
Joey Ramone


















Truman Capote


Giorgio De Chirico


Samuel Beckett


Nadine Gordimer





























Frank Zappa
Picasso 


David Bowie


A. Jodorowski


Basquiat






















Paul Klee, la moglie Lyly e il loro gatto

Bob Dylan
Johnny Cash





























Federico Fellini




Bette Davis

Brigitte Bardot

Man Ray


















































Gustave Klimt










































Cosa ne pensate? Vi è piaciuto il post? Aspetto i vostri commenti :-)


Vi abbraccio e vi do appuntamento a lunedì prossimo: ciao!




















BIBLIOGRAFIA:


  • Dizionario Treccani, Creatività
  • Enciclopedia Treccani, Creatività
  • Wikipedia, Sonno
  • James Horne, Perché dormiamo, Psicologia e Psicologia clinica, Armando editore
  • Hobson J.A., La macchina dei sogni, Giunti editore.
  • Le Scienze, rivista mensile di divulgazione scientifica, articolo di Giugno 2015: Creatività e follia
  • Articolo pubblicato sul sito dell’Università di Roma il 21 febbraio 2016: RICERCA - La qualità dei sogni è una questione di chimica
  • Edgar Allan Poe, Eleonora, breve racconto pubblicato nel 1842 nell’annuale testo di letteratura The Gift, da Carey e Hart
  • A.A. V.V., Gatti, I racconti più belli, ed. Einaudi, ET Biblioteca. Le biografie degli autori citati nel post provengono prevalentemente da questo testo, oltre che in piccola parte da Wikipedia



INFOGRAFICA:


  • Wassily Kandinski, Giallo, rosso, blu, 1925, Musée national d'art moderne, Paris, WikiCommons
  • Andy Warhol, Sam, Wiki Art
  • Renoir, Ragazzo con gatto, 1868, Musée d'Orsay, Paris, Wiki Commons
  • Paul Gauguin, Tahitiane nella stanza, 1896, Museo Pushkin, Mosca, Wiki Commons
  • Paul Klee, Gatto e uccello, 1928, Museum of Modern Art, New York, Wiki Art
  • Balthus, The king of cats, 1935, collezione privata, Wiki Art
  • Tutte le altre immagini, salvo quelle relative alle mie gatte, provengono da WikiCommons e WikiArt