lunedì 9 luglio 2018

La donna del XX secolo 3: le italiane nel regime fascista - Prima parte




L’angolo di Cle torna a occuparsi di storia delle donne.

Nel precedente post (QUI è possibile trovare tutti gli articoli della rubrica dedicata alla storia delle donne) abbiamo affrontato le tematiche del consumo e della cultura di massa nel periodo che va dagli inizi del Novecento fino agli anni ’40, in America e in Francia. Ora, mantenendo la stessa rotta e procedendo quindi nello stesso solco, volgeremo lo sguardo verso il nostro Paese.
Ciò che accade in Italia a quel tempo si differenzia dalle altre due realtà prese finora in esame, sia per il diverso livello di sviluppo economico, che per la presenza del regime autoritario.

Giornata della Madre e del Fanciullo,
istituita nel 1933 dal regime fascista
Detto questo, prima di procedere all’esposizione della situazione femminile, vorrei restituire una sintesi del quadro storico dell’Italia di quel periodo. 

Cito testualmente lo storico Federico Chabod dal suo L’Italia Contemporanea 1918-1948 (che raccoglie le lezioni tenute da Chabod alla Sorbona), Piccola Biblioteca Einaudi, 1970, pag. 27, per fornire alcuni riferimenti utili alla comprensione della situazione in cui volgeva il Paese: 

L’alimentazione media di un italiano nel 1914 prevedeva un consumo di calorie giornaliere inferiore di più di un quinto a quella dell’alimentazione di un inglese. Il reddito medio per abitante era (calcolato  in unità internazionali, secondo il metodo di Collin Clark), nel 1911-13, di 549 per gli Stati Uniti, 481 per la Gran Bretagna, 351 per la Francia, 301 per la Germania e 158 soltanto per l’Italia. Ciononostante l’Italia consumava più di quanto producesse: fra il 1909 e il 1913 si registra in media un’eccedenza delle importazioni sulle esportazioni di 1 miliardo e duecentocinquanta milioni. Come poteva colmarlo? Gli emigranti che lasciano l’Italia (in quegli anni si calcolano fino a 873000 partenze l’anno, e la media del periodo 1909-13 è di 650000 l’anno) e che inviano alle famiglie rimaste in Italia quel che riescono a risparmiare, rappresentano uno dei mezzi per far fronte al deficit; l’altro è il turismo.”

Già nel 1914 le condizioni economiche del Paese versavano in uno stato di profonda arretratezza, nonostante i notevolissimi progressi compiuti dopo l’unità, e il clima si presentava ostile, con  partiti politici, stampa e opinione pubblica divisi tra sostenitori del neutralismo e ferventi interventisti. In quest’ultimo gruppo i dirigenti di alcuni comparti dell’industria pesante, che contavano sui profitti derivanti dall’entrata in guerra, erano senza dubbio i più agguerriti.

1914 La Difesa delle Lavoratrici
Con l’ingresso in guerra nel 1915 la spesa italiana per le forniture militari iniziò a lievitare. Nel 1916 era già raddoppiata e nel 1917 aumentò ancora di un terzo, continuando a crescere. La nazione, per coprire una così ingente massa di equipaggiamenti bellici, si indebitò sia all’interno che all’estero.

Le imprese più forti – come la Montecatini, l’Ansaldo, l’Ilva, la Fiat – che avevano visto crescere produzione e profitti, fanno affari d’oro. Nel commercio, senza dimenticare il mercato nero, nascevano intere fortune da un giorno all’altro. Per taluni, dunque sopraggiunse un arricchimento improvviso, per altri un totale sfacelo economico. Non va dimenticato nemmeno che gran parte della ricchezza venne distrutta nel conflitto, mentre il rimanente fu accaparrato dagli speculatori. Favoritismi, corruzioni e sprechi nelle assegnazione delle commesse statali non si contavano nemmeno. Il peso del conflitto e le conseguenti difficoltà economiche vennero scaricate soprattutto sulle fasce sociali più deboli.

Per meglio comprendere lo scenario nazionale di quell’epoca è importante evidenziare che anche la produzione agricola si rivelava insufficiente, sia a soddisfare i bisogni civili che quelli dell’apparato militare. Un episodio eclatante e consono a spiegare la drammaticità di quei momenti fu quello verificatosi nel 1917, a Torino. Nella città piemontese scoppiò una rivolta popolare, guidata prevalentemente da donne, operaie e contadine costrette a enormi sacrifici per sopravvivere insieme ai figli piccoli e agli anziani – mentre gli uomini adulti erano al fronte – che protestavano per la mancanza del pane.
Si deve anche tener conto del fatto che l’Italia di quegli anni, a differenza di Francia, Germania, Gran Bretagna, era un paese prevalentemente agricolo, nel quale il 55% della popolazione era dedito all’agricoltura, mentre solo il 28% della popolazione era impiegata nell’industria e solo l’8% lo era nel commercio. 
Tuttavia, non bisogna lasciarsi confondere dalle cifre perché, come riporta L’Italia Contemporanea 1918-1948, Piccola Biblioteca Einaudi, 1970, pag. 32, di Federico Chabod:  
Solo il 20% del territorio nazionale è pianura fertile […] il 40% è collina e il restante 40 è montagna. Queste percentuali sono già sufficienti a dare una certa idea della povertà agricola dell’Italia.
La scarsità di cereali, indotta dalla mancanza di uomini che lavorassero la terra, dunque si trasformò presto in urgenza.
Ecco un breve passaggio estratto da L’Italia Contemporanea 1918-1948, Piccola Biblioteca Einaudi, 1970, pag. 30, di Federico Chabod:
Vi è un significativo rincaro della vita perché l’Italia deve importare dall’estero grano, carbone, petrolio. Manca soprattutto il grano: prima del 1914 l’Italia produceva in media 50 milioni di quintali di grano all’anno (massimo rendimento per ettaro: 12,3 quintali nel 1913), e doveva importarne circa 14 milioni; ma durante la guerra la produzione s’era abbassata fino a un minimo di 38 milioni (minimo per ettaro: 8,4 nel 1920).”
Ebbene, le donne, costrette a uscire alle cinque del mattino per approvvigionarsi del pane – dato che alle otto già non se ne trovava più traccia nei panifici – si ribellarono reclamando per le strade il proprio disappunto e la propria disperazione. Questa rivolta venne letteralmente repressa nel sangue, tant’è vero che le forze dell’ordine lasciarono a terra oltre quaranta morti e più di un centinaio di feriti.
Ho voluto citare la vicenda torinese perché rispecchiava il disastro economico dell’intero paese, le cui economie andavano ulteriormente aggravandosi pervenendo sino alla svalutazione monetaria.

L’Italia, come il resto del vecchio continente, uscì dalla prima guerra mondiale in uno stato di rovina generale e di rilevante dipendenza economica e finanziaria dagli Stati Uniti d’America. Nel 1918 il tasso di inflazione toccò le punte del 20%, di conseguenza i prezzi salirono alle stelle, i capitali dei piccoli risparmiatori si polverizzarono, la pressione fiscale crebbe in modo vertiginoso, i salari dei lavoratori si presentarono sempre più inadeguati a fronteggiare il carovita. L’indebitamento estero raggiunse una cifra pari a cinque volte il valore delle nostre esportazioni.

D’altronde, la politica del periodo che corre tra il 1914  e il 1919 era del tutto anacronistica.
Come scrive Federico Chabod in L’Italia Contemporanea 1918-1948, Piccola Biblioteca Einaudi, 1970, “era una politica stile 1866, completamente sorpassata nel 1914”.

Da una parte, vi erano i braccianti, contadini che per lo più possedevano aree di terreno troppo piccole per consentire loro di vivere e che mettevano le proprie braccia a disposizione delle proprietà altrui. Il loro problema era che a ogni piccola crisi agricola si vedevano diminuire il salario dai proprietari. Dato che proprio i contadini formavano il grosso dell’esercito e pagavano con la loro pelle la vittoria, ci si pose il problema di cosa dare a questi ex combattenti, una volta finita la guerra. Così durante una riunione tenuta a Roma nel 1917 dai rappresentanti della Confederazione generale del lavoro e di altre organizzazioni, si chiese la requisizione delle terre non coltivate a favore delle popolazioni risolute a dissodarle. Nel luglio 1919 masse di contadini occuparono le terre non coltivate dei grandi proprietari. Questi lavoratori, in parte aderivano alle leghe rosse, in parte al cosiddetto “bolscevismo bianco”, quello dei cattolici sempre più presenti nel settore agrario.

1920, Milano, operai armati occupano le fabbriche
Dall’altra parte, le masse operaie costituivano una realtà presente soprattutto nel Nord Italia: in particolare a Torino, Genova e Milano. Esse divennero le prime divisioni del movimento socialista prima, e di quello comunista dopo. Al loro interno si parlava sempre più dei consigli operai e dell’abolizione del capitalismo.
Le rivendicazioni di questa categoria di lavoratori andavano ben oltre gli aumenti salariali, superando le istanze di “terra ai contadini” espresse dai braccianti. Gli operai, inoltre, adottarono un atteggiamento di biasimo verso la guerra, verso i capi che l’avevano preparata e diretta, e anche verso coloro che l’avevano combattuta.
Esaminando la vita politica italiana antecedente la prima guerra mondiale troviamo, pertanto, il partito socialista, con una fisionomia definita di struttura rigida; un gruppo minuscolo di deputati repubblicani composto dai discendenti di Mazzini; iniziava inoltre a fare la sua comparsa anche un esiguo gruppo nazionalista. Alle elezioni del 1913 parteciparono anche i liberali, i democratici e i radicali, che però non erano ancora dei partiti completamente strutturati. La politica di Giolitti, fra il 1910 e il 1914 tendeva idealmente ad assorbire il socialismo per portarlo verso una formazione di centro. Ma Turati rimase sempre all’opposizione.

Nel 1919, nella scena politica, fece la sua comparsa il partito popolare italiano, capeggiato da Don Sturzo. Si trattava di un partito a struttura rigida che disponeva di ben 22 quotidiani e 93 settimanali, molteplici banche, grandi come il Banco di Roma e piccole come le casse rurali, e che aveva come alleato la Confederazione italiana dei lavoratori, la quale poteva contare su un numero sostanziale di aderenti, soprattutto coltivatori. Nelle campagne, infatti, i cattolici erano più forti dei socialisti.
Il partito socialista venne accusato di essersi opposto alla guerra e, successivamente, di aver sabotato la guerra.
A questo punto si delineò la tragedia del socialismo italiano in quanto, anzitutto, lasciò che si creasse nell’opinione pubblica l’impressione che il partito fosse “antinazionale” – e questo gli farà perdere i voti della piccola borghesia – in seconda battuta, nel partito di Turati, Treves e Modigliani si parlava più di Lenin che di Marx.
L’estrema sinistra che voleva una lotta decisa contro la borghesia, nel 1921 si staccherà dal partito socialista per fondare il partito comunista.

1919-1920 i mutilati chiedono pane al governo
Da questo clima di costante agitazione nacquero scioperi a getto continuo e costanti disordini.

Nel frattempo, nel partito popolare, oltre ai democratici sinceri, come Sturzo, vi erano anche i “conservatori” che in questa fazione politica vedevano solo un mezzo per difendere posizioni acquisite: il partito non era affatto omogeneo.
In questo continuo tira e molla di socialisti che perdevano terreno e popolari che avanzavano la posizione del governo si fece sempre più precaria per l’assenza di una solida maggioranza e in tale circostanza fecero la loro comparsa i fascisti.

Benito Mussolini
Nello stesso anno, il 1919, Mussolini fondò a Milano i Fasci italiani di combattimento, un gruppo che venne presto sostenuto dalla borghesia imprenditoriale agraria e che diffuse le violenze dello squadrismo fascista contro organizzazione sindacali, esponenti politici avversari (tra cui comunisti, socialisti e cristiano-popolari), cooperative.
Nel primo semestre del 1920, l’Italia era fra i paesi europei al primo posto in graduatoria degli scioperi e alla fine di quell’anno il fascismo divenne una forza politica di primo piano.

1921 Mussolini e la marcia su Roma
Nel 1921, in occasione del Congresso nazionale il Fascismo, da movimento diventò il Partito Nazionale Fascista. Nel 1922 Mussolini, effettuando la marcia su Roma, assunse la guida del potere.
Con l’introduzione delle cosiddette “leggi fascistissime” del 1926, ispirate dal giurista Alfredo Rocco, venne soppressa la libertà di associazione, il potere legislativo venne completamente subordinato al duce, il quale anche grazie al Tribunale speciale, alle milizie, all’efficientissima polizia segreta, l’Ovra, manteneva il pieno controllo della situazione.
Il Partito fascista, a quel punto, controllava numerose organizzazioni di massa votate a educare la gioventù ai valori fascisti: nei Figli della Lupa rientravano i giovani fino agli otto anni, l’Opera Nazionale Balilla inquadrava i ragazzi dagli otto anni ai quattordici e ai diciassette (“Balilla” e “Avanguardisti”), le ragazzine confluivano nelle “Piccole italiane”, i giovani fino ai ventuno anni rientravano nel Fascisti Giovani, nei Gruppi Universitari, e nelle “Giovani italiane”. Inoltre, l’Opera del Dopolavoro organizzava il tempo libero dei lavoratori con gite e gare sportive. 

Organizzazioni fasciste femminili
Come mette ben in luce la storica Luisa Passerini in Storia delle Donne, Volume V, Il NovecentoLaterza, Roma, 1992, in questo contesto le proposte italiane di innovazione del ruolo femminile oscillavano tra l’uniformazione delle donne nelle organizzazioni di massa del fascismo (letteralmente venivano fatte adottare delle uniformi) e la costruzione di una casalinga, “moglie e madre esemplare”. In parole povere, la donna italiana doveva rinnovarsi, produrre molti figli, provvedere all’alimentazione e all’abbigliamento per tutta la famiglia, usando le risorse offerte dall’economia autarchica: fibre di ginestra e di ortica, anziché il cotone, lanital, anziché la lana, lignite al posto del carbone.
Fatte queste premesse è chiaro che la donna italiana non poteva diventare consumatrice e amministratrice delle stesse risorse di cui disponevano le statunitensi e le francesi, in quanto il processo di modernizzazione nel quale si trovava immersa era di tipo repressivo.

figli per la patria
La storica statunitense Victoria De Grazia, in Le donne nel regime fascista - Venezia, Marsilio, 1993, ci fa sapere, inoltre, che tra il 1922 e il 1924, con la riforma della scuola, la riforma Gentile, si definì il ruolo dell’educazione nazionale: far penetrare nei giovani l’ideologia fascista, selezionare solo l’élite, facendo accedere all’istruzione secondaria e agli atenei solo un numero ristretto di studenti provenienti dalle famiglie più agiate. Oltre a ciò, la riforma Gentile produsse la notevole riduzione del numero di insegnanti donne a favore di insegnanti uomini, tanto è vero che l’accesso ai concorsi pubblici per intraprendere l’insegnamento di lettere, latino, greco, storia e filosofia nei licei o per quello di italiano negli istituti tecnici venne precluso alle donne.
La politica fascista, intrecciandosi e sostenendosi all’ideologia cattolica, impose alle italiane un destino esclusivamente biologico che voleva la loro subalternità nell’ambito della famiglia e della società.
Lo scopo della vita di ogni donna è il figlio. […] La sua maternità psichica e fisica non ha che questo unico scopo”. Con queste parole si pronunciava una manuale di igiene divulgato dal regime alla fine degli anni ’30.

Col pieno sostegno della Chiesa, dunque, ogni pubblicità e propaganda di misure contraccettive fu proibita e l’unico mezzo per il controllo delle nascite rimase l’aborto che, nonostante le pesanti pene previste dal codice penale del 1931 (da 2 a 5 anni per chi lo procurava o aiutava e da 1 a 4 per la donna che lo praticava da sola), restava ampiamente diffuso.

(Continua)

Con questo post il blog chiude per la pausa estiva.
Probabilmente mi vedrete comparire ancora per un po’ a commentare qua e là i vostri articoli, ma credo sia giunto il momento di sospendere le pubblicazioni e di allontanarmi dalla rete per recuperare la spinta emotiva ed evitare di annoiare i lettori.

A questo punto non mi resta che augurare, a me stessa e a tutti voi, ottime vacanze. Ci ritroviamo tra qualche settimana! : )


BIBLIOGRAFIA:
Federico Chabod, L’Italia contemporanea 1918-1948, Piccola Biblioteca Einaudi, 1970
Georges Duby e Michelle Perrot, Storia delle donne, Vol. V, Laterza, Roma, 1992
De Grazia V., Le donne nel regime fascista - Venezia, Marsilio, 1993
Giancarlo Carcano, Torino 1917, Cronaca di una rivolta, Edizioni del Capricorno, 1977

ICONOGRAFIA:
Giornata della Madre e del Fanciullo, Wikipedia: nel 1933 viene istituita la Giornata della Madre e del Fanciullo, fissata significativamente al 24 dicembre. La figura della buona madre fascista viene così fissata ideologicamente alla castità della Madonna, e al sacrificio supremo del figlio maschio.
1914 La Difesa delle lavoratrici, Wikipedia
Giancarlo Carcano, Torino 1917, Cronaca di una rivolta, Edizioni del Capricorno, 1977
1920, Milano, operai armati occupano le fabbriche, Wikipedia
1919-1920 I mutilati chiedono il pane al governo, da Storia del Fascismo, Enzo Biagi, Wikipedia
Benito Mussolini, Wikipedia
1921, Marcia su Roma, Wikipedia
Organizzazioni fasciste femminili, Wiki Commons
Figli per la patria, regime fascista, Wiki Commons





12 commenti:

  1. Buone vacanze estive, attendo il seguito del post anche perché sono un appassionato di storia e il periodo storico post-conflitto del nostro paese lo reputo uno dei più importanti per capire anche il nostro presente.

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    1. In effetti la storia è un po' come una bussola, non certo un insieme nozionistico di eventi del passato, e un ripasso di quel periodo in particolare non può che essere utile, a tutti, non solo alle donne.
      Grazie di cuore, Ariano.

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  2. Grazie per l'articolo, esaustivo e molto interessante. Sono fatti storici che conosciamo a grandi linee, ma spesso non nei particolari e qui ho trovato molti spunti, anche a livello di immagini. L'ultima in particolare, "figli per la patria", mette i brividi. L'espressione di quella donna dice più di migliaia di parole.
    P.s. Non credo che tu abbia mai annoiato i lettori. Buone ferie, Clementina!

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    1. I risvolti, quei fattori non del tutto evidenti, ma che comunque costituiscono un aspetto non secondario, sono essenziali per comprendere il contesto, le dinamiche, le strategie che hanno segnato il corso degli eventi. Con i dettagli diventa meno facile scivolare nelle interpretazioni approssimative, e pericolose, di quei tempi bui. E anche il corredo fotografico facilita la comprensione, soprattutto delle emozioni di chi ha vissuto quell'epoca. È vero, il volto di quella donna mette i brividi... ed è giusto osservarlo.
      Grazie mille, Lauretta, e buone vacanze anche a te!

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  3. Ci sono alcuni film prodotti durante l'epoca del Fascismo che la dicono lunga sull'idea che si aveva delle donne e su quale comportamento dovessero esse avere in famiglia e in società in quegli anni. Un esempio potrebbe essere "Il Birichino di Papà" girato nel 1942 ed uscito l'anno successivo. Il film (una commedia) racconta la storia di due sorelle, una ribelle -ma solo perché cresciuta dal padre come se fosse un maschio e l'altra remissiva, dolce, dedita in tutto e per tutto alla famiglia (arriva anche al punto di perdonare per amore una sorta di tradimento del marito) il tipico esempio di stereotipo dal quale si fatica ad uscire ancora oggi.

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    1. Grazie della dritta, Nick, sei gentilissimo! Nel proseguo dell'articolo si parlerà anche dei media, per mostrare i modelli della femminilità proposti dal regime.
      Così, un po' come avevo fatto in precedenza, citerò alcuni film (ma non conoscevo questo, che invece trovo molto interessante e sul quale mi aggiorno al volo), alcuni personaggi del cinema e alcune riviste.
      Buona estate!

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  5. Niente noia, tutt'altro... e buona pausa!

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    1. Ciao Ivano, anzitutto ti ringrazio molto delle tue parole, che mi incoraggiano!
      Ora ho bisogno di staccare qualche settimana e poi torno a tormentarvi ;-)
      Buona estate :)

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  6. Bellissimo, e direi esaustivo post sulle donne.
    Chiudi in grande prima della pausa estiva. Buone vacanze, a risentirci a settembre. :)

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  7. Grazie mille dell'articolo, pensa che mia mamma era una ragazzina ai tempi e si ricorda ancora del saggio ginnico da “Piccola italiana”. Comunque è impressionante vedere i documentari dell'epoca, e di come il ruolo femminile venisse irreggimentato a fini procreativi con grande plauso e consenso di tutti, tra l'altro. Facendo ordine in alcuni documenti di famiglia, ho trovato la fede di ferro con scritto "Oro alla Patria" che veniva consegnato alle donne che donavano l'anello nuziale.
    Approfitto per dirti che ho recuperato e commentato anche gli articoli precedenti, e con questo ti auguro buon riposo e ti invio un caro abbraccio! :)

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  8. Buone vacanze!

    P.S. = Annoiare? Ma se negli ultimi tempi hai un po' dilatato il calendario editoriale... Pensa quei blog che pubblicano anche più post in un giorno, che stufosi che sono! :§)

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dani.sanguanini@gmail.com