lunedì 5 marzo 2018

La donna nel XX secolo 1: il suffragio femminile





1946 il voto alle italiane

Dopo aver ampiamente parlato di Emmeline Pankhurst e del movimento delle suffragette nel Regno Unito (per leggere i due post in questione cliccare qui e qui) la rubrica del blog dedicata alle donne entra ufficialmente nel XX secolo. Con l’occasione vorrei spendere qualche parola sulla storia del voto alle donne in occidente che, come saprete, si è dimostrata tutt’altro che breve e tutt’altro che facile.

In Francia, la prima richiesta di riconoscimento dei diritti di voto alle donne risale al 1789, avanzata a Parigi durante l’Assemblea degli Stati Generali, con i “Cahier de Doléances des femmes”. In quegli anni Olympe de Gouges pubblicava il suo romanzo “Le prince philosophe”, iniziando ad agitare l’opinione pubblica sui diritti delle donne, ma la sua azione entrò pesantemente in conflitto con il progetto politico di Robespierre, e per questo venne ghigliottinata. Nonostante la Rivoluzione francese avesse posto il problema della donna nella comunità, l’idea di integrare “l’altra metà del cielo” nel corpo politico equivaleva a conferire un potere decisionale a una parte della società che gli uomini dell’epoca volevano solo sfruttare. Le donne francesi ben presto si accorsero che non erano mai neanche state considerate per un attimo vere cittadine, ma semplicemente mogli e figlie di cittadini. 

manifestazione suffragista in Francia
Per le suffragiste francesi, la battaglia più difficile fu confrontarsi con le profonde e radicate ostilità che scienziati, autorità ecclesiastiche e politici espressero contro il diritto di voto femminile e tale diritto venne concesso solo nel 1944, alla fine del secondo conflitto mondiale.



La Norvegia fu il primo paese a introdurre il diritto di voto per le donne (1913): la battaglia in questo senso iniziò fin dal 1885 grazie ad un’associazione per il suffragio femminile fondata e guidata da Gina Krog. Alla Norvegia, seguirono l’Islanda e la Danimarca che riconobbero l’uguaglianza politica tra i sessi nel 1915. Le danesi in verità votavano già fin dal 1908 nelle elezioni amministrative. In Svezia il diritto di voto nelle elezioni nazionali venne restituito alle donne solo ne 1919 e venne applicato nelle elezioni generali del 1921.

suffragette del WSPU in GB

Nel Regno Unito, sull’onda di ciò che stava accadendo in Francia e nel resto del mondo, già sul finire del 1700 iniziarono a formarsi i primi circoli femminili e contestualmente prese avvio una fitta attività di pubblicazioni mirate a rivendicare i diritti femminili. Il paese simbolo del suffragismo fu comunque l’Inghilterra, dove indiscutibilmente si ebbe il movimento più esteso e stratificato. Le inglesi cominciarono a porre la questione della completa parità dei diritti politici fin dal 1867. La legge del 6 febbraio del 1918 stabilì il diritto di voto per circa 6 milioni di donne inglesi, ossia tutte coloro che avessero superato i 30 anni di età, dunque in condizioni diverse rispetto agli uomini, per i quali era richiesto il superamento del ventunesimo anno. Il gap venne cancellato solo nel 1928.

Zetkin e Luxenbourg 1910
In Germania, già nella seconda metà dell’800, il partito socialista di Erfurt, a differenza di altri partiti socialisti, si era dichiarato favorevole al diritto di voto delle donne; la causa suffragista aveva pertanto ricevuto presto il pieno sostegno del partito, ma ciononostante le donne conquistarono il diritto di voto nel 1919, grazie soprattutto alla presenza di Clara Zetkin, leader di primissimo piano del movimento socialista, che diede un respiro internazionale alla causa suffragista.



Negli Stati Uniti, dopo lunghi anni di lotta, le donne riuscirono a ottenere il suffragio universale solo nel 1920, cioè dopo la fine della prima guerra mondiale.

francobollo suffragio USA
In Spagna, nel 1924, il dittatore Primo de Rivera riconobbe soltanto alle donne capofamiglia una sorta di voto amministrativo. La seconda Repubblica spagnola introdusse, invece, il diritto di voto alle donne e altre importanti misure in tema di tutela della maternità, nonché l’istituzione del matrimonio civile e del divorzio, la fine del reato di adulterio e l’equiparazione tra i figli legittimi e gli illegittimi. La vittoria di Francisco Franco, in seguito, cancellò ogni diritto. Le spagnole riconquistarono il diritto di voto nel 1931. Tra i nomi di spicco del movimento a favore dell’estensione del voto alle donne va ricordato quello di Clara Campoamor

In Italia la discussione sul suffragio universale si mosse lentamente, coinvolgendo oltre i partiti e vari movimenti sociali, anche la Chiesa.

I cattolici di inizio Novecento, per fronteggiare il femminismo e le sue pratiche laiche di intervento sociale, confezionarono il nuovo senso di identità delle donne cattoliche: in pratica rinominarono quali “militanti” le dame di beneficienza di antica memoria. Infatti il modello femminile proposto dalla Chiesa continuava a essere legato alla famiglia, alla consacrazione religiosa, all’attività caritativa. In pratica, non si impegnava in alcun modo sul piano attivo e prendeva dichiaratamente le distanze dal modello femminile emancipazionista proposto dalle femministe radicali. Intanto in tutta Europa le sezioni femminili dell’Azione Cattolica raccolsero grandi consensi e in Italia, nel 1910 l’UDACI (Unione donne di azione cattolica italiana), fondata due anni prima e presente sull’intero territorio nazionale con oltre cento comitati, raggiunse un numero elevatissimo di partecipanti.

referendum 1946 Italia
Nonostante la presenza di personaggi come Anna Mozzoni e Maria Montessori che si batterono ampiamente per il diritto di voto alle donne, a causa di molte remore anche ecclesiali, la spinta verso l’evoluzione del modello fu piuttosto difficile.
Il 20 gennaio 1945 Togliatti, in una lettera inviata a De Gasperi sollevò la questione del voto alle donne nell’imminente Consiglio dei ministri. Dieci giorni dopo il Consiglio dei ministri affrontò la questione come ultimo argomento e con ben poca attenzione, ma a esclusione di liberali, azionisti e repubblicani (che sottolinearono lo scarso livello culturale delle donne e i limiti della loro coscienza politica), la maggioranza si dimostrò favorevole. Così, il 31 gennaio 1945 venne emanato il decreto legislativo che conferiva il diritto di voto alle italiane che avessero almeno 21 anni e tale diritto entrò in vigore, concretamente un anno più tardi, il 10 marzo 1946, esprimendosi sulle amministrative, per la seconda volta, invece, il 2 giugno 1946, per il referendum su monarchia o repubblica. Tra le esponenti più significative di quegli anni ricordiamo Nilde Jotti, Tina Anselmi, Rita Montagnana, Teresa Noce, Teresa Mattei, Maria Jervolino, Lina Merlin.

Tra l’altro, a stabilire che dall’8 marzo 1946 il fiore della Festa della donna in Italia sarebbe stato la mimosa furono Rita Montagnana, Teresa Noce e Teresa Mattei.

prime consigliere svizzere 1971

La Svizzera riconobbe il diritto di voto alle donne solo nel 1971.


Detto ciò, va ricordato che il riconoscimento della cittadinanza politica, concessa dai vari governi occidentali dopo la seconda guerra mondiale, tanto in Europa quanto negli Stati Uniti, non coincise con il percorso di emancipazione sul piano del diritto privato e nemmeno con un rilevante accesso delle donne nelle sedi del potere.
A livello di diritto privato, nel 1945 e nei quasi tre decenni successivi, il matrimonio ha continuato a presentarsi come l’unione di due esseri ineguali per diritti e per doveri, sia sul piano personale che su quello patrimoniale. Il marito, cioè, in quanto capofamiglia, ha seguitato ad avere notevole potere sulla persona e sui beni della moglie e dei figli. In quasi tutti questi paesi si dovrà aspettare la fine degli anni ’60 per avvertire il vento del cambiamento, vale a dire quando iniziano a sollevarsi le istanze di una nuova concezione del matrimonio, più egualitaria e di maggiori riconoscimenti sul piano sociale.
A livello di partecipazione al potere, a partire dal 1945, si apre la porta della politica alle donne, ma, fin dal principio, si osserva quanto si tratti di una porta assai stretta che consente solo a una minoranza risicata di accedere ai ruoli dirigenti.

Bene, il post si conclude qui. Ora non mi resta che passare a voi la parola, come di consueto.

Come giudicate la presenza, oggi, delle donne sulla scena politica nel mondo occidentale?

Buon 8 marzo, buona settimana a tutti e a presto! :) 







8 commenti:

  1. Contraddittoria e a macchia di leopardo.
    Per rimanere in Italia abbiamo avuto recentemente i due estremi opposti: dalla Boldrini alla Nicole Minetti.
    Temo, considerando specialmente il secondo esempio, che nel nostro paese ci sia ancora tanta strada da fare, anche per quanto riguarda l'auto consapevolezza delle donne.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Quindi, c'è ancora tanto da fare...
      Secondo te cosa potrebbe aiutare di più? Il recupero della memoria, delle radici storiche ha senso, o diventa dispersivo?
      Grazie mille, Nick!

      Elimina
  2. Secondo me la presenza delle donne in politica, come negli altri settori socioprofessionali, è sempre sottovalutata e poco considerata.
    Pensa solo al nostro paese: avere bisogno delle quote rosa non è certo un segno di progresso!
    Un abbraccio.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Forse da qualche parte lo è di più e altrove lo è meno? Non so, penso alla Germania, con Angela Merkel e alla Gran Bretagna, con Theresa May. Comunque in UE le quote rosa sono state introdotte per raggiungere un equilibrio fra donne e uomini, perché il divario è enorme; e tra l'altro dalle nostre parti il gap è molto lontano dall'essere superato. C'è poi chi ritiene che sarebbe stato meglio introdurre la legge sulla rappresentanza di genere.
      Ma, trascurando i tecnicismi, secondo te le quote rosa non servono, o sostieni semplicemente che la creazione di una simile garanzia palesi la debolezza del protagonismo femminile?
      Ricambio l'abbraccio!

      Elimina
  3. Per quanto riguarda la storia politica della Francia, posso rispondere solo con uno "sgrunt!" conoscendola assai bene. Invece non sapevo che nei paesi nordici il diritto al voto fosse stato introdotto così presto, ma in quest'ambito non mi sorprende molto. (Nell'ambito della violenza sulle donne, che è un altro argomento, invece, le statistiche affermano che sia molto alta anche lì, e anche in ambienti culturalmente elevati.) La fotografia italiana col Corriere del 1946 è molto bella.

    La presenza politica delle donne nel mondo occidentale si va affermando, anche se con grande fatica, tranne per quanto concerne la diseguaglianza negli stipendi e l'accesso a posizioni chiave nella compagine dirigenziale privata, o posizioni di spicco in ambito istituzionale. Non sono contraria alle quote rosa perché le considero un grimaldello temporaneo per forzare l'accesso in questo senso. Soltanto quando vi si potrà rinunciare senza rischi, un domani si potranno abbandonare.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sì, il diritto di voto nei paesi nordici è arrivato molto prima di altrove e aggiungo che in Australia, ex colonia inglese, esso è stato introdotto addirittura nel 1903. È probabile che una delle ragioni del ritardo avvenuto nel resto d’Europa sia legata all’evoluzione del sistema politico dei singoli paesi, visto che i raggruppamenti parlamentari, dapprima organizzati in modo informale, si sono via via trasformati in partiti politici strutturati che hanno dato origine a profonde spaccature tra i vari leader. Giusto per citare un esempio di come alcune questioni politiche hanno preso il sopravvento su tutte le altre, diventando un’urgenza e dunque confinando la questione femminile sempre più in fondo, ti invito a guardare all’Irlanda della seconda metà del 1800 e alle sue istanze di autonomia.
      Inoltre, per quanto riguarda la questione della violenza sulle donne, che non è poi così distante dal tema portante della mia rubrica sulla storia delle donne, anzi, confermo i dati da te riportati rispetto al nord :(
      Per quanto riguarda la seconda parte del tuo commento condivido ogni parola: è un work in progress, faticoso, più nei paesi latini rispetto altrove e con ritmi ancora molto allungati, singhiozzanti, che procede in quella direzione. Altrettanto posso dire delle quote rosa che, anche a mio parere, oggi sono ancora necessari e un domani, solo una volta che sarà stato raggiunto un equilibrio di genere, potranno essere abbandonati.
      Certo è che un simile strumento, seppure utilissimo, non può essere considerato sufficiente a colmare il gap tra i sessi…

      Elimina
  4. Come, in Svizzera solo nel 1971? Pazzesco! E poi vengono anche a dar lezione a tutti quanti...
    Per rispondere alla tua domanda finale, purtroppo ci vengono dati dei pessimi modelli di donne in politica. Basti pensare all'America dove a Trump è stato contrapposta la Clinton, con l'idea sottesa di "votatela perché donna", non "votatela perché sarebbe un buon presidente" (anche perché di certo non lo sarebbe stata). Non paghi c'è chi pensa di bissare proponendo quella presentatrice TV, il che sarebbe un autentico suicidio elettorale. Del resto in giro per il mondo non abbiamo buoni esempi: la May in Inghilterra è ritenuta (giustamente) un personaggio politicamente ridicolo. In Italia poi non stiamo dando esempi brillanti: Boschi, Boldrini, Fedeli non restituiscono certo un'immagine di competenza.
    Insomma le donne sbagliate nei posti giusti. Speriamo invece di trovare quanto prima le donne (e gli uomini) giusti e di metterli poi nei posti giusti.

    RispondiElimina
  5. Senza voler giudicare l’operato dei singoli personaggi da te citati, condivido la tua speranza che giungano presto le persone giuste nei posti giusti.
    Per come la vedo io, ci hanno continuato a proporre modelli inefficaci sia in politica che in tanti altri ambiti e ovunque rintraccio la volontà di anestetizzare la coscienza delle donne con un fitto velo di discorsi su un’uguaglianza di genere che non esiste.
    Di strada, noi donne, ne abbiamo fatta tanta e sono sicura che la volontà di continuare a farne ci sia, ma tutto questo voler dimostrare a parole che abbiamo già colmato la disparità tra uomo e donna è un’enorme e terribile menzogna che blocca il nostro processo di evoluzione.
    Grazie di questo bell’intervento Marco!

    RispondiElimina

dani.sanguanini@gmail.com