lunedì 23 aprile 2018

Il disagio, l’io e i rimedi



Ruota dell'esistenza ciclica - particolare



Chiarisco subito che non intendo affatto parlare di tutte le tipologie di disagio esistenti: sarebbe impossibile per varie ragioni.
Per farla breve, durante il week end mi è capitato di iniziare la giornata gettandomi direttamente in pasto alle news. In generale la considero una scelta scellerata, ma è accaduto. Sia chiaro, leggere e informarsi è sempre bene, ma non prima di aver indossato un necessario “giubbotto anti-proiettili”. Ognuno ha il proprio rimedio per  affrontare/contrastare  la gragnuola di obbrobrio e cattiveria che inevitabilmente viene scaricata addosso nel momento in cui esploriamo questo babelico mondo. Un universo disseminato di notizie serie mescolate a ciance, nel migliore dei casi mirate a destare scalpore, o addirittura tese ad accendere profondo disorientamento. Orbene, anch’io, come capirete a breve, ho un antidoto cui ricorro prima di avventurarmi in quei sentieri, o subito dopo, comunque sia lo uso sempre molto volentieri.

Dunque, sorseggiando il caffè, scorrevo articoli di vario tipo. Navigando tra titoli roboanti, immagini (o immaginette) “di plastica” usate a corredo persino dei resoconti più delittuosi, e in cui campeggiano esseri umani sorridenti, festosi e ammiccanti, allegorie degne della più colossale fiera delle vanità – tra l’altro, fateci caso, sono le stesse fotografie che ritroviamo passeggiando tra le tombe dei defunti al cimitero – mi sono ritrovata permeata da una sorta di lurida e viscosa pece che, una volta appiccicata addosso, ha principiato a sabotare le mie difese. Non riuscivo più a disfarmene. 

Sentendo crescere dentro un profondo sconforto man mano che proseguivo l’esperimento, ho abbandonato il campo e sono andata alla ricerca del mio “medicamento”. In pratica, ho ripescato un libro dallo scaffale e, se vi va, ve ne offro alcuni passaggi.
Tra poco capirete di cosa si tratta.

Inizio col dirvi che questo autore è solito dire “La mia religione è la gentilezza” e a me sta decisamente molto simpatico! Aggiungo che il libro è la trascrizione di una serie di conferenze tenute nel 1984 alla Camden Hall di Londra, durante le quali venne discusso il significato della vita, mettendo a fuoco le cause a monte della nostra situazione e lo scopo altruistico che possiamo dare alla nostra esistenza. Il tema principale, dunque, è la “mente di luce limpida”.
Il passaggio che sto per presentarvi si colloca all’interno di un discorso molto ampio attraverso cui, partendo dal postulato che l’ignoranza sia la radice del dolore e che l’odio (e la collera) sia il principale distruttore della nostra mente, si esaminano le diverse modalità per investigare i fenomeni dell’esistenza, toccando anche gli studi condotti nel campo della fisica e della neurologia.

Buona lettura ^__^

Da “Il senso dell’esistenza”, Dalai Lama, ed. BUR Saggi, 2006, pagg 58 a 62:

[…]Prendiamo per esempio il sé, o l’io. L’io è colui che controlla o usa, la mente e il corpo, e la mente e il corpo sono oggetti usati da quell’io. L’io, il corpo e la mente esistono certamente, e non si può negare che espletino le loro rispettive funzioni. L’io è come un proprietario, e corpo e mente gli appartengono. In effetti diciamo: «Oggi c’è qualcosa che non va nel mio corpo, e per questo sono stanco». Oppure: «Oggi il mio corpo è in forma: per questo mi sento come una rosa». Si tratta di affermazioni valide, ma rispetto a un braccio, per esempio, non c’è nessuno che dica: «Questo è l’io», eppure, quando duole un braccio diciamo immancabilmente: «Soffro, non mi sento bene». Nonostante questo è chiaro che l’io e il corpo sono distinti: il corpo è qualcosa che appartiene all’io.Nello stesso modo, parliamo della «mia mente», o della «mia coscienza», come quando avvertiamo: «Ho una memoria così debole. Qualcosa non va». Si può anche sentirsi in opposizione con la propria coscienza, con la propria memoria: non è forse vero? Diciamo cose del tipo: «Voglio migliorare l’acutezza della mia mente, voglio addestrarla», nel qual caso la mente è sia l’addestratore che l’oggetto dell’addestramento. Quando la mente è indisciplinata – non fa quello che vogliamo – siamo come i maestri o gli addestratori della mente e la mente è come lo studente indisciplinato che noi stiamo addestrando a fare ciò che vogliamo: la sottoponiamo a un addestramento per farla obbedire. Diciamo e pensiamo queste cose, ed esse concordano con i fatti.In questo modo, sia il corpo sia la mente sono cose che appartengono all’io, e l’io ne è il proprietario ma, a parte mente e corpo, non esiste nessuna entità separata e indipendente dell’io. Tutto sta a indicare che l’io esiste: eppure, a cercarlo bene, non si riesce a trovarlo.Per esempio, l’io del Dalai Lama deve trovarsi entro i confini di quest’area circoscritta dal mio corpo: non c’è nessun altro posto in cui lo si potrebbe trovare. Questo è certo, sicuro. Tuttavia, se si cerca all’interno di quest’area che cos’è il vero Dalai Lama, il vero Tenzin Gyatso, al di là del corpo e della mente l’io non ha sostanza propria. Però il Dalai Lama è un dato di fatto, un uomo, un monaco, un tibetano, qualcuno in grado di parlare, di bere, di dormire, di divertirsi: non è così? Questo è sufficiente a provare che una cosa esiste anche quando non la si riesce a trovare.Questo significa che, tra le basi di designazione dell’io, non si troverà nulla che illustri l’io e che sia l’io. Ma significa che l’io non esiste? No, niente affatto: l’io esite certamente, ma se esiste e tuttavia non può essere trovato tra le sue basi di designazione – che costituiscono il posto in cui deve esistere – è necessario dire che si instaura non per potere proprio, ma grazie alla forza di altre condizioni. La cosa si può postulare in un altro modo.Tra le condizioni in dipendenza delle quali esiste l’io, uno dei fattori principali è la concettualità che lo designa. Per questo si dice che l’io e altri fenomeni esistono attraverso il potere della concettualità. In questo modo, produzione condizionata giunge a significare non solo «prodotto dipendentemente da una base di designazione», ma anche «prodotto o designato dipendentemente da una coscienza concettuale che designa l’oggetto».Così nel termine «produzione condizionata», «condizionata» significa dipendente da, o che poggia su, altri fattori. Una volta che l’oggetto dipende da qualcos’altro, è privo della possibilità di essere per potere proprio – è privo della possibilità di essere indipendente. Pertanto è privo di natura indipendente. Ciononostante, non insorge in rapporto a certe condizioni. Il bene e il male, la causa e l’effetto, il sé  gli altri, tutti gli oggetti si instaurano in rapporto ad altri fattori, sorgono condizionatamente. Poiché sorgono condizionatamente, gli oggetti sono privi della grande possibilità di esistere per conto proprio. Inoltre, dato che in questo contesto di dipendenza sorgono ed esistono il vantaggio e il danno, non è che gli oggetti non esistano: le loro prestazioni e funzioni sono attuabili. In questo modo sono attuabili le cause e gli effetti delle azioni, in quanto alla loro base c’è l’io. Una volta capito questo, si è liberati dall’estremo della non esistenza, del nichilismo.Conseguentemente, esistenza dipendente dalla concettualità è un altro significato di produzione condizionata – il significato più elevato. Oggigiorno i fisici spiegano che i fenomeni non esistono solo obiettivamente dentro e per se stessi, ma esistono in termini di, o nel contesto di, una relazione con chi li percepisce, con l’osservatore.Ho la sensazione che l’argomento del rapporto tra materia e coscienza sia un punto su cui la filosofia orientale – in particolare quella buddhistica – e la scienza occidentale potrebbero incontrarsi. Credo che sarebbe un matrimonio felice, senza divorzio. Se lavoreremo seguendo le linee di uno sforzo congiunto da parte degli studiosi del Buddhismo – e non soltanto da parte loro, ma anche di chi del Buddhismo ha una certa esperienza – e dei fisici puri e imparziali, uno sforzo volto a investigare, studiare e impegnarsi in una ricerca più approfondita nel capo della relazione tra materia e coscienza, entro il prossimo secolo potremmo scoprire delle cose molto belle, che potrebbero esserci di grande aiuto. Questo non dobbiamo considerarlo una pratica religiosa, ma semplicemente qualcosa da farsi per allargare la conoscenza umana.Anche gli scienziati che lavorano sul cervello umano nel campo della neurologia potrebbero trarre vantaggio dalle spiegazioni offerte dal Buddhismo a proposito della coscienza – come funziona, come cambia livello e così via. qualche tempo fa ho chiesto a un neurologo come funziona la memoria. Mi ha risposto che non è ancora stata trovata una spiegazione concreta: anche in questo campo, quindi, potremmo lavorare insieme. Per finire, alcuni medici professionisti dell’Occidente mostrano interesse per la cura di certe malattie attraverso la meditazione. Ecco un altro argomento interessante per un progetto congiunto.Il Buddhismo pone l’accento sull’autocreazione. Non esiste un Dio creatore, nel Buddhismo, e così, da questo punto di vista, alcuni non lo considerano, in senso stretto, una vera religione. Uno studioso buddhista dell’Occidente mi ha detto: «Il Buddhismo non è una religione: è u tipo di scienza mentale». In questo senso il Buddhismo non appartiene alla categoria delle religioni. Per me è un vero peccato, ma in ogni caso significa che il Buddhismo si avvicina di più alla scienza. Andando avanti, dal punto di vista strettamente scientifico, il Buddhismo naturalmente viene considerato un tipo di sentiero spirituale. Ancora, però, è un vero peccato che non apparteniamo alla categoria della scienza. Il Buddhismo pertanto non appartiene né alla religione né alla scienza pura, ma questa situazione ci dà l’opportunità di stabilire un legame, un ponte, tra fede e scienza. Ecco perché credo che, in futuro, dovremo operare per portare queste due forze a contatto molto più stretto di quanto non siano adesso.
La maggior parte delle persone si limita a trascurare semplicemente la religione, ma tra quelli che non la trascurano ci sono, da una parte, il gruppo di seguaci della fede che sperimentano il valore di un sentiero spirituale e, dall’altra, un gruppo di coloro che deliberatamente negano alla religione qualunque valore. Il risultato è un conflitto continuo tra le due fazioni. Se in un modo o nell’altro riuscissimo ad avvicinare queste due forze, ne varrebbe senz’altro la pena. 




Bene, cari amici: il post si chiude qui. Prima di lasciarvi vi pongo la domanda di rito: e voi, come contrastate questo tipo di disagio?


Buona settimana, un caro saluto e  presto ^__^

18 commenti:

  1. Difficile dirlo....praticamente cerco di non pensarci e di stare tranquillo nel mio mondo.

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    1. Provare a mantener la calma, senza tornare con la mente su ciò che agita, non è poca cosa: complimenti sinceri! :-)

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  2. Ho avuto un periodo di interesse per il buddhismo tibetano, quindi conoscevo già in parte certi concetti (oltre ovviamente alla ruota che simboleggia i sei universi).
    Che dire? In realtà non ho una risposta univoca. Vi sono dei momenti in cui il disagio è talmente forte che, per quanto io mi sforzi di continuare a fare le cose quotidiane (so che serve in qualche modo) e a ipotizzare progetti futuri (anche questo ha una sua utilità) cado in uno stato di sconforto talmente forte da sentirmelo addosso, letteralmente. Passo giornate in cui mi pesa ogni cosa, in cui sono stanco già quando mi alzo dal letto e tutto mi sembra inutile.
    Diciamo che la mia non proprio efficace tecnica è comunque quella succitata di "continuare" ogni cosa, soprattutto quelle che fanno parte dei cosiddetti piaceri della vita (dal mangiare al leggere al fare una passeggiata). Buttarsi sul letto e restare fermo lì per l'intera giornata è assolutamente da evitare.

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    1. Penso che “continuare” a immergersi nei piaceri della vita sottintenda un percorso articolato e saggio di contrastare il disagio. Nessuno possiede ricette miracolose da offrire, ognuno sperimenta percorsi che sente più congeniali alle proprie inclinazioni, ma già il fatto di riflettere sul malessere percepito e tentare di stanarne le cause credo costituisca un passo in avanti nel percorso di crescita personale. Per quanto mi riguarda cerco di rimanere nel qui e ora. Non sempre questa operazione è semplice e immediata, anzi. Ci sono circostanze in cui assesto facilmente il tiro, e altre in cui mi ritrovo con i piedi che smottano nel fango per un po’, prima di ritrovare l’equilibrio. Dipende. Di sicuro, però, l’abitudine (consolidata nell’arco di decenni) alla meditazione e alla lettura, in particolare alla lettura e rilettura di testi filosofici, preferibilmente orientali e magari buddisti, mi hanno aiutata a ridurre in modo consistente i tempi di sperimentazione del mio caos interiore. Ciao Ariano, grazie del bellissimo commento di cui ho apprezzato tantissimo la sincerità. Ti auguro ogni bene e, nel frattempo, arrivo a commentare il tuo post.

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  3. Quel libro è nella mia libreria, insieme a tanti altri scritti da diversi Dalai Lama, quindi è stato un piacere rileggere questo passo.
    Il problema, poi, nel mondo occidentale resta sempre lo stesso: prendersi tempo per conoscersi e ascoltare la mente.
    Molti, troppi, non lo fanno per paura del tempo che fugge o di sentirsi deboli.
    Un abbraccio.

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    1. Eh, che poi cedere alla paura non porta mai a nulla di buono, ma sembra essere la reazione più diffusa sul pianeta Terra.
      Un abbraccione!

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  4. Penso che il disagio sia un qualcosa che abbia accompagnato l'umanità lungo tutto l'arco della sua storia, in grado di modificarsi e assumere la forma più confacente al momento storico in cui agiva. 20.000 anni fa il disagio era uscire dalla caverna e divenire lo spuntino di un felino, oggi è accendere la TV e trovarci Barbara d'Urso, peraltro dotata delle stesse zanne del felino di 20.000 anni fa.
    Temo che il disagio non si possa sconfiggere: si può combattere, ma resta sempre. L'unica, credo, è imparare a conviverci.

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    1. Eh, di disagi ce ne sono sempre stati tanti e continuano a essercene, di vario tipo. Certo, Marco, che pensare a certa fuffa della TV odierna c’è da sentirsi davvero male.
      Sono quasi vent’anni che certi programmi lobotomizzano il cervello di tanta , troppa gente, giovani, meno giovani: una strage. Il confronto con le zanne del felino, poi, è azzeccatissimo se si riflette sul ruolo dei mass media: una nuova forma di socializzazione e uno strumento persuasorio controllato dalle classi dominanti per mantenere lo status quo. Gli effetti che provocano sono visibili anche a lungo termine; alla fine è evidente che, agendo condizionamenti quotidiani, tendono a preservare idee e valori già radicati: le persone vivono dentro modelli predefiniti senza riflettere se siano giusti o meno, senza chiedersi se quel modello culturale che hanno accettato sia ciò che davvero desiderano, vogliono.
      In conclusione, vorrei aggiungere che, a parer mio, non si tratta solo di imparare a convivere con il disagio, ma lo si può attenuare, ridurre, circoscrivere. Magari non lo si elimina del tutto, ma lo si può svuotare. Non è facilissimo, ma si può fare. Acquisire consapevolezza dei condizionamenti socioculturali e delle dinamiche interpersonali può ridurre gran parte dei conflitti ancora oggi esistenti. I mezzi per farlo sono molteplici, a iniziare dalla lettura di libri, dalla frequentazione di seminari, di corsi, e anche (o soprattutto) attraverso un percorso che contempla la meditazione.

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  5. Un gran bell'articolo su cui riflettere per ricavarne considerazioni a posteriori. Il disagio? Beh, credo che sia parte integrante dei nostri giorni, dell'epoca in cui viviamo, così come lo è stato per quelle precedenti alla nostra. Ognuno di noi percepisce la realtà in modo diverso, e in ogni caso, ascoltare la mente e cercare il distacco da ciò che ci crea condizioni esistenziali negative, è un metodo per combattere quello che rifuggiamo. Ascoltarsi è il primo passo verso l'allontanamento di ciò che oscura la luce. Capirsi è quello successivo. Fermarsi è il traguardo che ci concede di rilassare la mente dal disagio. Grazie, Clem! Peccato che la nostra occidentalizzazione ci rende dei veri e propri robot continuamente accesi. Ogni tanto è di dovere spegnersi e spegnere al mondo!

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    1. Grazie di essere passata e di aver apprezzato, Anna! È vero ciò che dici, che poi il problema non è tanto quello di rimanere accesi, che potrebbe avere dei risvolti anche positivi, ma di non restare centrati su se stessi, dando credito a corbellerie che avvelenano l’esistenza, alimentando paure che poi prendono il sopravvento sulle nostre stesse azioni, infine perdendo la rotta.

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  6. Il Dalai Lama è una persona deliziosa, che ho iniziato a conoscere (a distanza) in seguito alla lettura del libro, scritto con Daniel Goleman, "Emozioni distruttive", molto interessante. La sua costanza nel tentare di riavvicinare le parti dell'uomo che il dualismo occidentale ha messo in contrasto è encomiabile. A suo tempo, a catturarmi nel libro fu in particolare il racconto di quando il Dalai Lama, durante una conferenza di alto livello piena di giornalisti, interruppe il suo discorso e si alzò per aiutare un insetto che attraversava la sala a raggiungere la finestra. So che può sembrare strano (per chi non mi conosce), ma leggendo questo mi sono detta: devo assolutamente scoprire qualcosa su quest'uomo speciale e sulle sue idee. E' stato il mio primo contatto con il buddismo. :)

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    1. Bellissimo anche “Emozioni distruttive”, concordo. Trovo bello, invece, che ti abbia catturata quel passaggio: dice moltissimo di lui e soprattutto dice moltissimo del buddismo. Secondo me è difficilissimo essere buddisti nel vero senso della parola, come un Dalai Lama. È difficilissimo essere coerenti dall’inizio alla fine, rimanere saldamente orientati alla compassione, senza cedimenti. Richiede un esercizio costante, una costante centratura, … ma è meraviglioso e vale sempre la pena provarci! :)

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  7. Argomento corposo, ci potrei scrivere un libro ;) Come ben sai ho iniziato da alcuni anni un percorso di crescita personale che mi porta a scavare sempre più a fondo in me per riconoscere di avere anche quelle parti che tanto ci fanno inorridire quando le vediamo fuori di noi. E ci fanno tanto inorridire perché ne vogliamo prendere le distanze: "No, io non sarò mai così!" e invece, sotto sotto, c'è il mostro che dorme, il vicino di casa che mai avresti detto che.....e quel vicino è cosi vicino che ce lo abbiamo in casa anzi dentro ognuno di noi (lo so, mi sto tirando addosso un mare di polemiche e proteste).
    Bene quindi che cosa sta succedendo dentro di me facendo questo lavoraccio? Mettendo in luce le mie ombre diventano un po' meno ombre, ci faccio un po' amicizia e loro, che si vedono riconosciute, perdono un po' per volta quella pressione dirompente che se lasciata crescere può fare seri danni. E quindi quel disagio davanti a notizie catramose che rovinano la giornata è diventato un po' meno forte. Mi indigno sempre e laddove posso faccio la mia parte ma in modo più leggero......e spero che altri, tanti altri, possano un po' alla volta intraprendere un percorso di consapevolezza simile al mio e alla sera, andando a dormire, si possano sentire non appesantiti dalle brutture della giornata e abbracciare con affetto e tenerezza il loro Mister Hyde. Bacissimi

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    1. Eh, invece il mostro ce lo abbiamo tutti dentro! :D Ciascuno di noi, che lo voglia/sappia riconoscere o meno, ha luci e ombre e di solito, quando intercetta all’esterno qualcosa che in qualche modo risveglia il mostro sopito, le sue zone buie, reagisce attaccando, oppure allontanandosi. Difficilmente si mette in discussione. Quindi, ben vengano tutti i percorsi tesi a risvegliare la consapevolezza: ognuno scelga la strada che risuona meglio con le proprie corde. Ciò che conta è alleggerirsi dal macigno dei pregiudizi, delle pesantezze del quotidiano, di tutto ciò che si pone come ostacolo e, finalmente, fare pace con se stessi :D Smack!

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  8. Del Dalai Lama avevo letto L'Arte della Felicità, mi era piaciuto davvero molto il suo modo di esporre, con leggerezza e senso pratico. Per quanto riguarda il disagio in rapporto alle notizie, lo vivo come un senso di colpa, emozione ugualmente distruttiva e pericolosa. Mi sento in colpo se piovono le bombe sulla Siria, se le persone muoiono nei cantieri o annegano durante le traversate nel Mediterraneo... e gli esempi potrebbero continuare all'infinito. Il mio metodo per affrontare è cercare di fare del mio meglio nella quotidianità, a partire dalla "religione della gentilezza".

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    1. Che poi il senso di colpa – diciamolo serenamente – è un mostro obbrobrioso che ha radici ben precise, purtroppo! Comunque, hai ragione: l’unico contesto per affrontare il disagio (qualunque esso sia e, nella società in cui viviamo è sempre più frequente trovare persone cortocircuitate a causa degli infiniti stimoli cui sono sottoposte) è sempre la quotidianità.
      In particolare la “religione della gentilezza” – giacché la citi approfitto per esplicitare un passaggio fondamentale anche per gli altri lettori – mette a disposizione prevalentemente due espedienti.
      Il primo è la meditazione che serve a ottenere due risultati: da una parte, essa opera al fine di staccare il pensiero da ciò che disturba, estirpando alla radice l’insinuarsi del pensiero vischioso prima che attecchisca (che poi è il pensiero che genera sconforto e via via si inerpica sempre più fino a spossarci), e dall’altra è utile ad attingere alle energie interne pulite, chiare, gentili.
      Il secondo espediente, invece, risiede nella lettura (o studio) e (ri)lettura, soprattutto di testi di filosofia orientale e in particolare buddisti, che si offrono come una bussola in grado di aiutare a ritrovare l’orientamento, attingendo a gocce di saggezza pragmatica.

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  9. Mi ero persa questo tuo bellissimo articolo, Clementina. Intanto, ti dico che il disagio di cui parli lo conosco molto bene, anzi spesso capita anche a me di viverlo esattamente come è successo a te. Ci sono dei precisi meccanismi che si innescano dentro di me, con il tempo sto imparando a individuarli e quindi a evitare che scattino. A parte questo però, determinate letture riescono a rasserenarmi molto, proprio come hai fatto tu. Letture con uno sguardo ampio, che ci ricordano che non siamo solo un corpo fisico. A volte basta davvero poco per riportare i pensieri e le emozioni lontano dal disagio.

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    1. Ciao Maria Teresa, grazie di cuore per aver lasciato questo bel commento!

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dani.sanguanini@gmail.com