lunedì 11 settembre 2017

Cartoline dai monti 2/2




Il Toce che esce dal Lago Maggiore - scatto personale



Come promesso, ecco la seconda cartolina che conclude il ciclo dedicato alla montagna.

Vi parlerò di vie che affondano le radici lontano nel tempo. In particolare vi racconterò di una di esse, oggi meno nota di quanto sia stata in passato, ma ancor più affascinante dell’altra, oltre che ricca di storia e leggende.

La precedente cartolina si concludeva con alcune note relative al Forte di Bard che, nel maggio del 1800, durante la Campagna d’Italia in seno alla guerra della Seconda Coalizione, veniva letteralmente raso al suolo dalle truppe di Napoleone Bonaparte.


Ebbene, quello stesso anno, dopo aver restaurato il predominio francese su Lombardia, Piemonte e Liguria, il Primo Console decreta la realizzazione di una grande opera stradale che congiungeva Milano a Parigi: la Strada del Sempione.

Jacques- Louis David, Napoleone attraversa le Alpi
1800, Musée national des châteaux de Malmaison
et de Bois-Préau,
Rueil-Malmaison
La tela commemora il leggendario passaggio di
Napoleone attraverso il passo del
Gran San Bernardo che gli permise di cogliere
di sorpresa l’esercito austro piemontese
e riprendere il predominio sulla penisola

La direttrice di questa via era già nota nel 196 d.C. all’imperatore Settimio Severo che tracciò un primo itinerario di cui rimangono ancora oggi alcune testimonianze: Mediolanum, l’attuale Milano, era collegata a Octodurus, l’odierna Martigny, attraverso Vercelli, Ivrea, Aosta e la grande strada del San Bernardo. Ma si trattava di un percorso piuttosto trascurato che assunse un ruolo importante solo a partire dal 1254 con il transito dell’arcivescovo Odo di Rouen in viaggio per Roma. Il traffico su questa via subì alterne fortune nel corso dei secoli a causa delle notevoli difficoltà legate alla transitorietà dei suoi valichi.


Solo a partire dal 1805 la Strada del Sempione diventa transitabile, unendo e ingrandendo i vecchi sentieri e realizzando nuovi tratti. Un’opera superlativa dal punto di vista della bellezza dei paesaggi che si susseguono via via uno dopo l’altro, oltreché da quello ingegneristico (solo nel tratto da Arona al passo del Gabio prevedeva 50 ponti). Congiungeva Milano alla Francia con una carreggiata di otto metri di larghezza sviluppata lungo un manto stradale costituito da trenta centimetri di ghiaia. 

Der Simplon, 1918, dagli Archivi Federali Svizzeri
Swiss Poster Collection
Dall’Arco del Sempione, oggi Arco della Pace, partiva un rettilineo che toccava le località a nord ovest del capoluogo e raggiungeva Arona. Ad Arona costeggiava le rive del Lago Maggiore e arrivava a Domodossola, attraversava la Val Divedro e saliva nel Cantone svizzero del Vallese, per valicare successivamente il passo del Sempione (che prende il nome dal villaggio di Simplon Dorf). Da qui la strada scendeva nella valle del Rodano, proseguiva per Losanna, attraversava il confine francese per continuare in direzione nord fino alla capitale.

Ma ancor prima della realizzazione del Sempione veniva praticato un altro percorso. Questa arteria, nota come la Strada delle Merci e delle persone, era in gran parte una via d’acqua: quella del Toce.
Seguitemi, vi prometto un viaggio attraverso lo spazio e il tempo...

Vale la pena ricordare che lungo queste vie, oggi trasformate in moderni snodi di comunicazione o rimaste come in origine vie di passaggio percorribili solo a piedi, sono circolate idee, tradizioni e usi provenienti da culture differenti che hanno contribuito a costruire la storia dei popoli dell’Europa.

Baveno, il punto in cui il Toce si tuffa nel Lago Maggiore - scatto personale



Veniamo, dunque, alla nostra via del Toce.
Dal 1300 fino al secolo scorso, carrozze, cavalli e persone transitavano dalla darsena di via Laghetto, a Milano, a pochi passi dal Duomo (per conoscere la storia dei Navigli clicca qui), sulle imbarcazioni dei “navaroi”, i barcaioli che si spingevano dai Navigli al Ticino, poi sul Lago Maggiore. 
Giunti nei pressi di Stresa, per la precisione a Baveno, imboccavano il Toce e navigavano sulle sue acque. 
Dove non era possibile proseguire a remi, più o meno all’altezza di Anzola d’Ossola, i barconi e le chiatte, carichi di vino, grano, stoffa e sale, venivano legati ai cavalli, che marciavano a riva per giungere fino all’alta Ossola, a Roledo di Montecrestese.
Da Roledo in su si doveva procedere via terra costeggiando il fiume.

Ancora oggi è possibile ripercorrere quel tragitto, passando vicino a Crodo (il paese che ha dato i natali al famoso analcolico biondo), poi a Baceno, Premia, Rivasco, Chiesa, Formazza.
Nel viaggio di ritorno veniva trasportata via fiume una gran quantità di legname da impiegare per la costruzione edilizia, per quella di mobili e chiaramente anche da ardere. In questo modo viaggiavano anche il granito, i formaggi, il bestiame, le pelli e i preziosi cristalli che i Benedettini di Engelberg mandavano a vendere alle Corti italiane. Da Candoglia, invece, una piccola località posta a pochi chilometri dal punto in cui il Toce versa nel lago Maggiore, proveniva tutto il marmo impiegato nella costruzione del Duomo di Milano. 
Quella del Toce era senza dubbio una via commerciale (e non solo) molto importante.

Ora, immaginiamo di trovarci nella prima decade del 1600 a bordo di una imbarcazione salpata dalla darsena milanese.
Una volta giunti a Roledo decidiamo di proseguire il viaggio sulla terraferma desiderando costeggiare il fiume fino al punto in cui nasce, cioè a Riale.
Avanzando verso Nord siamo immersi in una valle segreta nella quale si apre un’enorme distesa di faggi e castagni, la Valle Antigorio. Procedendo nel paesaggio verticale di quest’angolo ossolano ci inoltriamo in una zona tanto suggestiva, quanto impressionante. Il panorama si apre a una serie di grandi cavità separate da tortuosi cunicoli di pietra dovute all’azione millenaria di correnti torrentizie vorticose che risalgono all’ultima delle quattro glaciazioni delle Alpi (iniziata più di due milioni di anni fa, quando la valle era occupata dal grande ghiacciaio dell’Ossola dello spessore di milleduecento metri che defluiva fino al solco del Lago Maggiore). 
Le Marmitte dei Giganti e gli Orridi di Uriezzo si aprono ai nostri occhi, lasciandoci incantati.

Ci ritroviamo in un ambiente cavernoso, avvolti tra le braccia della Terra, che si apre ad improvvise feritoie verso l’alto ricche di muschi, licheni, felci, qualche salamandra, piccoli insetti e un’incredibile abbondanza d’acqua.

Baceno, veduta di uno degli Orridi di Uriezzo
 – scatto personale
Uno scorcio delle Marmitte dei Giganti
– scatto personale
Dopo esserci riempiti gli occhi di tanta magnificenza imbocchiamo una mulattiera che sale verso Baceno. C’è una strana atmosfera in questi boschi, qualcosa di misterioso avvolge l’intera vallata.

Che sarà mai?

Qualcuno di noi ferma un viandante incrociato lungo il tragitto:

“Buon uomo, siamo in viaggio per il valico di Gries. Quanto manca al prossimo villaggio?”

“Non molto, in verità, ma prestate molta attenzione nel solcare queste terre.”

“E a chi o cosa dovremmo prestare attenzione?”

“Alle streghe e ai gatti – ci risponde sollecito, mentre con un rapido gesto ricopre il capo con il cappuccio – e che Dio vi benedica!”

Delle streghe e dei gatti?
È questa, dunque, terra di streghe?
Così si racconta, ma lasciatemi spiegare…

Scorcio della mulattiera che dagli Orridi di Uriezzo sale a Baceno
 – scatto personale
Dovete sapere che tra il 1500 e il 1600 nella Valle Antigorio vi è stato un continuo scambio tra le comunità locali e quelle walser dei cantoni svizzeri (vallesi di lingua alemanna). 
Dopo la chiusura del Concilio di Trento, avvenuta in quel periodo, la Chiesa Romana avvia quella che viene comunemente nominata la Controriforma e i vescovi di Novara iniziano a tener d’occhio tutti coloro che, spostandosi per ragioni economiche, vengono in contatto con i “gatti”, ovvero calvinisti e luterani di lingua tedesca… Insomma, di riffa o di raffa, i gatti finiscono sempre in mezzo ai guai! ;-)

A quei tempi, nei villaggi di Croveo e Baceno, che ospitano gli Orridi di Uriezzo, sono molti quelli che, dopo aver valicato gli alti passi alpini, entrano in Svizzera e vi si fermano per alcuni mesi a lavorare, prima di far ritorno a casa... come accade ancora oggi...

I valichi di frontiera, si sa, sono da sempre luoghi deputati al transito di nuove idee, nuove visioni della vita e anche nuove riflessioni sulle antiche religioni. Per contro, a quei tempi, giù nella valle ossolana, la gente è oppressa da cattivi raccolti, epidemie dilaganti, miseria. In un simile contesto, com’è facile aspettarsi, i sospetti quotidiani tra vicini di casa, le faide tra famiglie, il servilismo e il tradimento, si diffondono a macchia d’olio.
Va da sé che l’ansia della diocesi novarese di veder propagata l’eresia protestante nelle proprie terre si riverbera sui valligiani fomentando le invidie nostrane. Questo clima persevera a partire dal 1520, quando l’inquisitore Domenico Visconti manda al rogo decine di uomini e donne. Si interrompe per seguire i cosiddetti “Tempi di Grazia”, cioè per permettere a streghe e stregoni, ovviamente inconsapevoli di esser tali, di pentirsi spontaneamente, evitando il processo.  

Nel 1575, però, due frati domenicani e inquisitori, fra Domenico Buelli e un certo fra Alberto, salgono a incontrare il vicario della chiesa di San Gaudenzio di Baceno per dar inizio a una ricerca ufficialmente volta a scoprire se in quei luoghi vengano officiati riti eretici e demoniaci.
Stante la loro testimonianza l’esito si rivela positivo. Ben presto corre di nuovo voce nella valle che gli abitanti di questi villaggi sono striögn, ovvero degli stregoni e un gruppo di donne, sul monte Cistella, danzano scatenate e illuminate solo dal chiarore della luna trasformate in gatti, volpi o bellissime fanciulle.
Come già era accaduto in passato, per effetto della nuova rivelazione, le persone iniziano un’altra volta a controllarsi a vicenda, denunciandosi reciprocamente. Inutile dire che la paura e la chiusura producono sempre danni enormi (in ogni epoca, sia chiaro!).

Quando il terribile meccanismo della delazione viene messo in moto diventa quasi impossibile bloccarlo e così, il 31 maggio dello stesso anno, due donne, Gaudenza Foglietta di Rivasco e Giovanna, detta Fiora, di Croveo, vengono bruciate vive sul rogo dopo aver subito un processo sommario.
San Gaudenzio dalla mulattiera - scatto personale
I processi alle streghe dell’alta Ossola, iniziati nel 1575, andranno avanti fino al 1611
Capito? Un incubo durato ben trentasei anni! Vi pare poco?
In quelle circostanze era sufficiente nascere donna e conoscere il potere medicamentoso di qualche erba, oltre che porsi interrogativi sulla bontà dei propri costumi, per finire in guai molto seri...
Come risultato di tutto questo, durante il corso di quegli anni, ben quaranta donne e due uomini, verranno arrestati con l’accusa di stregoneria e condotti nelle carceri della curia vescovile di Novara, dove moriranno di stenti e di tortura.
Ma non è tutto!
In quella valle, per centinaia di anni, viene imposto alle donne il divieto di scegliere il nome del figlio appena dato alla luce. Solo agli uomini viene riconosciuto il privilegio di decidere come chiamare il piccolo battezzando. A ciascun bambino nato viene assegnato un gruppo di padrini, da quattro a sette, che lo accompagnerà a ricevere il Sacramento. 
Inoltre, qualora la nuova e tenera vita si fosse spezzata anzitempo, solo ai padrini sarebbe toccato di trasportarne la salma al camposanto.

Grazie alla tremenda persecuzione da parte della Inquisizione le donne della valle Antigorio sono rimaste private di tutti i diritti almeno fino alla fine del 1700.

Tra l'altro, se quei processi hanno rappresentato per le vittime l'inferno, nel senso autentico del termine, così non è stato per il frate Domenico Buelli da Arona che, nel 1585, è stato insignito del titolo di priore, nonché professore di teologia e inquisitore generale del Sant’uffizio di Novara. Secondo le cronache pare che costui fosse talmente sadico e misogino da sottoporre a tortura persino le donne incinte.

Brutti tempi, insomma!
Immagino che adesso desideriate spostarvi dal Medioevo ai giorni nostri… Ecco fatto! 

Dopo un salto temporale di oltre quattrocento anni, continuiamo la nostra passeggiata per Baceno. 
Pian piano il sentiero sterrato si allarga per lasciar spazio a una strada lastricata dalla quale si scorge il campanile di una chiesa che, via via, si fa sempre più imponente: è la famosa chiesa di San Gaudenzio.

Sorta nel X secolo sopra una sporgenza rocciosa, la chiesa si è ingrandita sempre più nei secoli, fino a diventare uno degli edifici sacri più imponenti dell’Ossola. 

Dinanzi alla facciata si abbandonano tutti i dubbi: le dimensioni della basilica sono decisamente notevoli e lasciano senza paole.

La facciata di San Gaudenzio - scatto personale
L’interno è ancor più sorprendente, un vero e proprio incunabolo di affreschi e arredi che percorrono secoli e secoli di storia e, sulla destra dell’altare, trova posto anche – guarda caso – una Cappella degli esorcismi.  

Al di là della sua storia, si tratta senza dubbio di un'opera di alto valore artistico che merita di essere visitata. Per cui, se vi capitasse, prendetevi un po' di tempo per osservare soprattutto gli interni.


Interno di San Gaudenzio - scatto personale

Ora, però, lasciamo Baceno alle nostre spalle e saliamo in Val Formazza, ai confini con la Svizzera.

La nostra nuova meta sarà la cosiddetta Frua, una cascata d’acqua impetuosa e spumeggiante dove il Toce si riversa tra i monti suscitando grande stupore in chi l’osserva.


Veduta della Cascata del Toce, detta Frua, dal basso.
Accanto alla cascata, che ha un salto di 143 metri, lo storico Albergo della Cascata.
L'edificio è stato realizzato a fine ‘800 e ristrutturato nel 1927 su progetto del Portaluppi
– scatto personale


Questo candido ventaglio ricopre le rocce con uno sviluppo di duecento metri. Ma solo in estate.
Per il resto dell’anno l’acqua del Toce, “la Toos” come viene chiamata da queste parti, s’infila nella condotta, costruita dall’Edison prima e poi dall’Enel, per raggiungere la centrale di Ponte.
A dirla tutta, l’intera valle è ricchissima d’acqua, utilizzata per la produzione di energia e per questa ragione viene definita anche “la valle elettrica”.

Per gli antichi viaggiatori, financo quelli dell’Ottocento, che scendevano dalla Svizzera, la cascata era la cosiddetta “Porta d’Italia”. 

La Frua e la Val Formazza – scatto personale

Da qui, dopo la doverosa sosta, si prosegue fino alla cima e si raggiunge l’abitato di Riale.

Riale, il piccolo villaggio walser sulle Alpi Lepontine a quota 1718 metri – scatto personale 

E Riale è il luogo in cui nasce il Toce, grazie al confluire di tre torrenti: Morasco, Gries e Roni.  

Il punto in cui nasce il Toce, scatto personale

Tenendo come punto di partenza il villaggio si può scegliere di valicare due diversi passi che conducono in Svizzera, ma in opposte direzioni.

Prendendo il sentiero di destra si raggiunge il passo San Giacomo che porta in Val Bedretto, verso Airolo, nel canton Ticino.

Il sentiero di sinistra, invece, percorribile solo a piedi, è l’antica mulattiera che conduceva i mercanti del Medioevo a Berna attraverso il passo del Gries: è il proseguimento della Via della merce e delle persone.

Lungo la via del Gries, agibile già dalla fine del 1300, passava la maggior parte della merce trasportata lungo il Toce, da e per Milano. 






Sullo sfondo la strada che conduce da Riale alla diga di Morasco e da lì al passo del Gries – scatto personale

 
Lago di Morasco. Si tratta di un lago artificiale creato dalla diga che ha preso il suo nome e che produce
energia elettrica per 15 mila famiglie – scatto personale 


Bene, non avete voglia di fare due passi per sgranchirvi le gambe?
Io qualche passo l’ho fatto e posso garantirvi che questi itinerari riempiono lo sguardo di bellezza.

Ora, però, è giunto il momento di congedarmi, cari amici. Il post termina qui.


Vi avete trovato qualcosa di interessante? Cosa ne pensate?

Conoscevate già la “strada delle merci”?


E la storia delle “streghe” di Baceno?

Auguro a tutti voi una buona settimana e, se ne avrete voglia, ci ritroviamo venerdì con il secondo capitolo del racconto L'incontro.


Ciao!  ^_^ 

--



16 commenti:

  1. Sai che Le Marmitte dei Giganti ci sono anche in val Chiavenna? :) Nello specifico si trovano nel Parco Marmitte dei Giganti, amministrato dalla Comunità Montana della Valchiavenna. Anche lì si tratta di pietre rotonde levigate dall'azione dei ghiacciai. Comunque questi sono sempre molto suggestivi, suggeriscono il tempo delle fiabe.

    La storia delle cosiddette streghe di Croveo e Baceno è tristissima e spaventosa, invece, e mi ha ricordato anche qui un altro caso, quello delle streghe di Triora in Liguria, anche loro torturate e condannate a morte da spaventosi inquisitori. Sembra impossibile, osservando i tuoi splendidi scatti, immaginare quali efferatezze si svolsero in luoghi ora così sereni.

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    1. Ciao Cristina e grazie del commento! :-)
      Il Parco delle Marmitte dei Giganti in Val Chiavenna mi manca! Le Alpi ospitano diverse Marmitte dei Giganti e ne ho visitata qualcuna. Mi sono piaciute molto, ad esempio, quelle in provincia di Bergamo, ai piedi della Presolana, come anche quelle di Torbole, in provincia di Trento. Ma anche sugli Appennini, ora che mi ricordo, ce n’è una enorme e suggestiva. Si trova a una quindicina di chilometri da Urbino, presso Fossombrone.
      La storia delle “streghe”, invece, mette amarezza, lo so!
      In realtà, in quel periodo sono state tantissime le valli colpite dalla persecuzione della Inquisizione. Un’infinità di piccoli centri delle valli alpine e prealpine ne sono rimasti trafitti. Luoghi splendidi da visitare, uno più bello dell’altro e che mai e poi mai farebbero venire in mente, oggi, un passato tanto doloroso… Diciamo che la natura è molto generosa e ricopre le vergogne causate dall’uomo nel corso della storia…
      Non dappertutto, però, si raccontano quegli episodi con tanta scioltezza.
      A Baceno, così come a Triora, sì, ma solo grazie alla buona volontà di piccoli gruppi di persone, soprattutto donne, che si sono opposti all’idea di portare ingiustamente sulle spalle il pesante fardello dell’infamia e che, per questo, hanno condotto un lungo lavoro di ricerca. Così facendo, la verità è arrivata alla luce e in seguito è stato possibile riabilitare la figura delle vittime… (tra l’altro, sono stata anche a Triora, eccome! Ho visitato la zona proprio con Elisabetta).

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  2. Si conclude questo viaggio fantastico, un itinerario in cui Clementina ci ha mostrato ancora una volta il senso profondo della "geografia fisica e mentale". La strada del Sempione, la foce del Toce e le sue cascate, il lago di Morasco, la Val Formazza, gioielli di confine incorniciati mirabilmente nella loro antica storia. Un reportage bellissimo, coadiuvato da immagini che diventano gioia per gli occhi e nutrimento per l'anima. Anche la storia delle streghe di Baceno, inquisite e martoriate, cesella questo lavoro di fino, riportandoci indietro nel tempo, un tempo buio e infestato da orribili pregiudizi. Ho viaggiato nelle montagne, tra i torrenti, i monasteri e le valli incontaminate, scoprendo luoghi di bellezza straordinaria. Ancora una volta, grazie Clem!

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    1. Ma grazie a te, cara Annamaria!
      Ormai sai bene che mi piace proporre la storia, spesso poco conosciuta, degli angoli del nostro belpaese. Trovo che troppo spesso gli italiani (i turisti stranieri sono sempre più consapevoli di noi, ahimé) si recano volentieri verso luoghi dei quali apprezzano vagamente il paesaggio, ignorando quasi sempre cosa sia accaduto in passato su quelle terre. Invece, c'è così tanto da scoprire... :-)

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  3. La parte sulle streghe, in particolare il discorso erboristico, mi ha ricordato molto quando un anno fa sul blog avevo trattato questo argomento per la rubrica Ore d'Orrore. Invece qui in Piemonte noi avevamo le masche, che però son tutt'un altro paio di maniche! :)
    Ma lo scatto del Toce all'uscita dal Lago Maggiore dov'eri? L'hai fatto da un ponte o eri in barca?

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    1. Ciao Marco! :-)
      Il racconto delle masche di San Tonco è a dir poco strabiliante. fantastica la tua segnalazione! Lo avevi già trattato sul tuo blog? Nel caso, lo vado a leggere subito; altrimenti, ci scrivo direttamente un post.
      Per quanto riguarda lo scatto, si tratta di un "agile scatto" (come cantava la sigla di Lady Oscar ;-) ) direttamente dal ponte della strada provinciale, appena fuori Baveno. :-D

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    2. Avevo parlato in generale di streghe, dedicando una parte al folklore piemontese su masche, mascun e settimini. Un altro che ha parlato molto di streghe è stato Nick Parisi.
      Direi proprio che le masche di San Tonco potrebbe essere uno dei tuoi prossimi post. :)

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    3. E così sarà! :)
      Grazie infinite della dritta, Marco. :))

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  4. Mai visti questi luoghi, e il tuo post permette di immergervisi conoscendoli a distanza.
    Io amo la montagna, ho visto il Trentino e l'Alto Adige diversi anni fa e ne sono rimasta incantata.

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    1. Ciao Luana, se ti va, prova a dare un'occhiata anche alla cartolina precedente http://langolodicle.blogspot.it/2017/09/cartoline-dai-monti-12.html

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  5. Sono luoghi da visitare.... di una bellezza mozzafiato e ricchi di storia.
    SToria cruenta e crudele, purtroppo. Che siano solo finiti quei tempi!
    Ciao Clementina!

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    1. Davvero, Pat, una storia terribile!
      Non che consoli molto, ma sapere che almeno la gente del posto sia riuscita, dopo tanto tempo, a riscattare la propria immagine, è positivo e poi quei posti sono una meraviglia.
      Un bacione!

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  6. Sono luoghi favolosi e da visitare.
    Ti auguro una buona serata.

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  7. Ma che meravigliaaaa! Non riesco a parlare 😍😍😍😍

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    1. Ma, ancora una volta, bentornata!
      Il tuo entusiasmo è sempre contagioso, cara Giulia, sono felice che tu sia passata da queste parti. Passerò molto presto anch'io a leggere le tue nuove golosissime ricette 😍😍😍😍

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dani.sanguanini@gmail.com