Se già seguite la rubrica dedicata
ai Tarocchi che ciclicamente viene
pubblicata su questo blog, non troverete
nulla di strano nel sentir parlare di relazione
tra numeri e magia.
Immagino, però, che qualcuno
tra voi starà pensando: “La matematica è scienza, cara cialtrona. Non mi freghi
con le tue panzane, da due soldi, intrise di mistero!”
Suvvia, non infiammatevi per così poco, che
fa anche caldo :D… non ho nessuna intenzione di spacciarmi per un’esperta di
questa materia. Tuttavia, vi propongo un percorso
attraverso il quale scopriremo alcuni
aspetti che vanno a costituire quel particolare legame.
Se vi va, seguitemi.
Raffaello, La Scuola di Atene, dettaglio su Euclide, matematico greco |
Anzitutto chiediamoci quando è
stato introdotto il concetto di numero.
È possibile immaginare che l’uomo primitivo iniziò a contare quando effettuò il passaggio dal ruolo
di cacciatore/raccoglitore a quello di agricoltore/allevatore. Durante questo passaggio si
trovò sicuramente in condizione di dover elaborare un sistema per contare i suoi beni. Un pastore deve
sapere quanti capi di bestiame sono usciti dalla stalla per pascolare nel prato
e quanti ne sono rientrati. In un primo momento avrà associato tanti sassolini
quante erano le sue pecore in uscita e al ritorno avrà tolto una pietra per
ciascun capo che rientrava nella stalla (calcolo deriva dal latino calculus: piccola pietra). Il nostro
uomo, fin qui, avrebbe potuto anche far a meno dei numeri, ma è probabile che a
un certo punto abbia avuto bisogno di effettuare quel calcolo con maggiore immediatezza.
In questo modo sono nati i
primi sistemi di numerazione. Dunque, nell’Età della Pietra, nasce il metodo
delle tacche per il conteggio;
tacche che vengono segnate su un osso o su un legno. Si tratta di un sistema quasi scritturale. Però il
nostro uomo si accorge che, con esse, il conteggio acquista nuovi problemi,
perché, giusto per fare un esempio, esiste il rischio di dimenticarsi di
segnarne una. Via via, seguirono quindi nuovi
processi, finché a qualcuno venne in mente di rappresentare le quantità con
i numeri.
L’introduzione di un sistema di numerazione comporta un forte processo di astrazione, un gigantesco sforzo mentale paragonabile a quello
dell’apprendimento di un linguaggio e l’aspetto sorprendente è che la
disciplina che studia i numeri, lo spazio, le strutture e il calcolo, cioè la matematica, si è sviluppata indipendentemente in culture completamente differenti
che arrivarono agli stessi risultati.
I numeri, così come li conosciamo noi, nacquero in India tra il 400 a.C. e il 400 d.C. e
furono trasmessi prima nell’Asia Occidentale, dove trovano menzione nel IX secolo (in arabo, i numeri come li intendiamo oggi, sono
chiamati numeri indiani) e raggiunsero l’Europa, attraverso il lavoro di matematici e astronomi arabi (da
qui l’equivoco di attribuzione), nel X
secolo.
Quindi i simboli da 0 a 9 si evolsero dai numeri brahmi.
Prima di inoltrarci in questo
territorio, bisogna tenere in considerazione che la conoscenza scientifica, tra
cui la matematica, non è mai
riconducibile al lavoro di una sola persona, ma ad un insieme di persone che via
via ha dato origine a una comunità. È
intorno a quelli che noi oggi potremmo qualificare come “centri di informazione” che si è potuto evolvere il pensiero scientifico.
numeri indiani |
Nei testi filosofico-religiosi dell'India, come ad esempio nelle scritture
induiste e buddiste, si
riscontra l’utilizzo di simboli che
vanno dall’1 al 9, appunto, i
cosiddetti numeri brahmi. I centri di
informazione, in questo caso erano i templi.
Sempre in India, inoltre, sono stati ritrovati numerosi documenti, risalenti al
V secolo, nei quali compare il simbolo
dello 0.
All’interno di questi testi ogni cifra trova un significato corrispondente. Così, lo 0
viene associato al vuoto, quello
stato da raggiungere se ci si vuole liberare dal Samsara (ciclo perenne del divenire; trasmigrazione; corso dell’indefinita
successione di nascita-vita-morte-rinascita); il numero 1 coincide con il punto
dal quale inizia la creazione e si sviluppa la
molteplicità; il 3 fa riferimento a:
i tre corpi (grossolano,
discriminativo, astrale), la coscienza
individuata, la coscienza umana globale, la suprema Intelligenza o intelligenza cosmica; l’8 si riferisce all’infinito,
il senza fine; il 108 trova molteplici associazioni: la quantità
delle divinità indù, la Creazione del Mondo attraverso l’unione di Siva e
Shakti, la quantità delle pose necessarie a completare la danza cosmica, la
quantità delle Upanisad accertate, la quantità di peccati e di bugie
contemplate dal monachesimo tibetano, il prodotto della moltiplicazione dei 9
pianeti attraverso le 12 costellazioni, il numero di anni in cui intercorre
un’eclissi di luna, e così via.
O. Von
Corven, Antica Biblioteca di Alessandria, l'interno – sulla base delle evidenze archeologiche – XIX secolo |
Nel mondo antico occidentale, invece, uno dei centri di informazione
più importanti è senza dubbio la biblioteca
di Alessandria, costruita intorno al
III secolo a.C. durante il regno di
Tolomeo II Filadelfo.
All’interno di questa struttura, grazie a un elevatissimo
numero di copisti, venivano riprodotte copie dei manoscritti inerenti a ingegneria,
filosofia, arte, matematica, musica, portati fin lì dai mercanti come
salvacondotto per approdare al porto di Alessandria. I trattati originali
venivano trattenuti in sede, mentre ai mercanti venivano consegnate le copie
conservate nelle custodie originali, così da ingannare i proprietari. Però
Alessandria, oltre ad essere il centro dove venivano raccolte le informazioni,
costituiva anche il luogo in cui quelle stesse informazioni venivano gestite. Ben presto numerosi studiosi di tutte le discipline
accorsero in quel luogo dove si tenevano lezioni
e il sapere veniva condiviso con altri discepoli. La geometria che ancora oggi studiamo, ad
esempio, è nata in quelle aule. Ma sempre nel III secolo a.C. fu proprio in
questa biblioteca che iniziò la traduzione
dell'Antico Testamento, dall’ebraico al greco, e che divenne nota come Septuaginta
o “Bibbia dei Settanta”.
Perché vi dico questo? Perché
è importante tener presente che i numeri entrano a far parte del tessuto
culturale, che via via raggiunge l’intera società, in modo indiretto e uno di
questi modi è senz’altro la Bibbia.
Sezione
del Pentateuco in ebraico, British Library Oriental MS. 4.445, contenente la Massorah Magna e Parva |
Il quarto libro della Bibbia, infatti, si intitola Numeri. Numeri
fa parte del “Pentateuco”, il nome
che designa l’insieme dei primi cinque libri della Bibbia: Genesi, Esodo, Levitico,
Numeri, Deuteronomio. Il termine, di origine greca, significa “cinque astucci”,
cioè i contenitore cilindrici che custodivano. Pentateuco significa dunque
“libro dei cinque rotoli”. Nella tradizione ebraica il Pentateuco costituisce
la Torah, cioè la Legge (letteralmente Torah significa però “insegnamento”,
“istruzione”) e rappresenta il cuore della Bibbia ebraica e della rivelazione
di Dio al suo popolo.
Di primo acchito, Numeri
appare come un libro di contabilità
che fornisce il conto preciso di tutte le quantità presenti nello scenario
storico al quale faceva riferimento, dai capi tribù, ai capi bestiame. In realtà, si rivela presto anche un libro di chiavi segrete destinato agli iniziati in grado di decodificare i
suoi messaggi. I numeri, infatti, non rappresentano solo la quantità, ma
possiedono ciascuno un significato. Facciamo subito degli esempi: l’1 rappresenta Dio; il 2 l’uomo; il 3 la totalità delle
cose, e così via.
Martino
Polono, Papa Silvestro II e il Diavolo, illustrazione dal Martini Oppaviensis Chronicon pontificum et imperatorum (Cod. Pal. germ. 137, Folio 216v), 1460 ca. |
In Europa, invece, la conoscenza dei numeri iniziò a diffondersi solo nel 980, grazie a Gerberto di Aurillac
(più tardi noto come Papa Silvestro II)
che ne venne in contatto con il mondo islamico a seguito di un lungo soggiorno in
un monastero benedettino presso Barcellona.
Ma nell’epoca più oscura della cultura europea, le cifre venivano considerate misteriosi
segni di una scrittura segreta e per questo intesi coma materia malefica.
Quando in Europa si
introdussero le prime cifre indiane (o arabe, che dir si voglia) nelle colonne
dell’abaco, le si sostituirono con i numeri romani, perché considerate “segni
diabolici”. Addirittura, sei secoli dopo la morte di papa Silvestro II, la
Chiesa ordinò di riaprire la tomba per verificare se fossero ancora presenti i
demoni che gli avevano ispirato la scienza dei numeri. D’altronde, già alcuni
suoi contemporanei cominciarono a ritenere che Gerberto d'Aurillac fosse un
mago, uno stregone dotato di poteri magici avuti in base al contratto con il
demonio e anche in seguito, sulla scia di questa letteratura calunniosa, si
diffuse una ricca diffamazione tutta
incentrata sulle arti magiche e la bassa moralità del pontefice francese.
Esempio di abaco, con numeri romani, datato intorno al 1340 |
Insomma, quando la “cultura numerica” fece il suo ingresso
negli oscuri corridoi del Medioevo,
fu ostacolata. La Chiesa cattolica
fece una chiara distinzione tra le diverse concezioni filosofiche del mondo e i
principi inamovibili ai quali si conformava la sua dottrina. Uno dei veicoli
che, nonostante la condanna ecclesiastica, riuscì a penetrare attraverso le
barriere dell’intolleranza fu il gioco dei Tarocchi.
Il carattere ambiguo con il quale venivano redatti molti testi relativi agli
Arcani non permise alla Chiesa di capire bene fino in fondo se si parlava di
riti divinatori o di matematica!
AAlbrecht
Dürer, Melancolia, 1514 Staatliche Kunsthalle, Karlsruhe |
Non a caso, i Tarocchi sono
basati su un sistema di numerazione decimale in cui viene assegnato a ciascun numero un significato.
Essi partono dal numero 1, dall’unità come principio unico, e dal 2, simbolo
della polarità, dunque della generazione. Il 3 è la direzione che prende il 2,
mediante la somma di 2+1. Il 7, rappresenta l’azione dell’1, che sviluppa la
potenza contenuta nel 6. E così via.
In questo modo, partendo dall’unità si
attribuiscono principi basilari ai primi nove numeri e qualunque altro numero
deve poter essere ridotto a uno di essi. Esattamente come si determina la somma
dei cosiddetti “quadrati magici”.
ccc
Al di là degli incidenti di
percorso, possiamo serenamente dire che esiste una tradizione storica della matematica nella quale i numeri sono stati oggetto di indagine filosofica e di culto religioso.
Stiamo parlando di “aritmologia”, termine che, come indica
il vocabolario Treccani, viene “usato
talvolta nel linguaggio filosofico per indicare la concezione e interpretazione
del numero come simbolo, con riferimento a dottrine neopitagoriche e
neoplatoniche”.
Oggi
sappiamo che queste due discipline
sono nettamente separate, ma nel
corso della storia si sono unite e disgiunte più e più volte. Allo stesso modo è importante ricordare che i
matematici, prima di giungere al rigore scientifico al quale siamo abituati ora,
si sono mossi in una selva intricata che, coi suoi sentieri contorti, si perde
nella notte dei tempi.
Tuttavia, la relazione tra numeri e magia va ben oltre a ciò che abbiamo incontrato in
questo nostro percorso immaginario, finora. La matematica, infatti, è costellata
di misteri irrisolti e di paradossi intriganti legati ai numeri, a partire da quelli inerenti i numeri primi (la maggior parte dei
numeri può essere divisa per ottenere numeri più piccoli. Questi ultimi, a loro
volta, possono essere scomposti, ma alla fine otteniamo numeri indivisibili: si
tratta dei numeri primi).
Così,
nella storia dei numeri troviamo personaggi
destinati a grandi scoperte, i
quali, tuttavia, non esisterebbero senza un tessuto culturale di riferimento.
In altre parole, le organizzazioni sociali, come i templi indiani, la
biblioteca di Alessandria, altre grandi biblioteche, come quella sorta
all’interno della Sacra di S. Michele (per leggere clicca QUI e QUI ) e altre istituzioni sono
state a tutti gli effetti il veicolo
ideale perché lo sviluppo scientifico sia potuto avanzare, anche
se tale processo talvolta ha richiesto passaggi misteriosi.
Una delle caratteristiche più
frequenti tra questi illustri matematici
– soprattutto in relazione a coloro che si sono occupati principalmente di
numeri primi – è, infatti, quella di possedere il dono di “vedere” dei numeri
nell’universo e da quelle visioni prendere ispirazione per arrivare a elaborare
dei teoremi. La seconda dote – non meno sorprendente soprattutto in riferimento
a epoche nelle quali gli strumenti di calcolo erano pressoché inesistenti – è
quella di possedere una straordinaria
abilità nel calcolo mentale.
Per comprendere di cosa sto
parlando, vi propongo una brevissima incursione
nella vita di alcuni di questi personaggi.
Pierre
de Fermat, 1601-1665, matematico francese |
Pierre
de Fermat, naque vicino a Tolosa nel 1601 ed è stato uno tra i
più importanti contributori allo sviluppo
della matematica moderna. Fermat era
un avvocato che solo nel tempo libero si occupava, per diletto, di letteratura
e matematica.
Una delle sue caratteristiche fu quella di non spiegare quasi mai come avesse ottenuto i propri risultati.
Leggete voi stessi cosa
scriveva (!):
“È impossibile scrivere un cubo come somma di due cubi o una quarta potenza come somma di due quarte potenze o, in generale, nessun numero che sia una potenza maggiore di due può essere scritto come somma di due potenze dello stesso valore. Dispongo di una meravigliosa dimostrazione di questo teorema che non può essere contenuta nel margine troppo stretto della pagina”
L’abitudine a omettere la
dimostrazione dei suoi teoremi, adducendo la scusa che essa fosse troppo lunga,
spinse gli storici contemporanei a immaginare che egli non conoscesse affatto
la dimostrazione delle congetture che arrivò a formulare.
Ci troviamo di fronte, dunque,
a uno dei tanti visionari che
popolano il mondo dei numeri.
Uno dei risultati che egli non
dimostrò mai, ad esempio, fu la proprietà secondo cui “ogni numero
primo nella forma 4n +1 può essere
espresso come la somma di due quadrati”. Questa proprietà venne dimostrata da Eulero
(Leonhard Euler, matematico e fisico svizzero) nel 1749 dopo averci lavorato sopra per sette anni.
Addirittura, quello conosciuto
come “Ultimo teorema di Fermat”,
secondo cui “se n è un numero intero
maggiore di 2, allora non esistono numeri interi x, y, z diversi da 0 tali da soddisfare l’uguaglianza”, venne affrontato invano da valenti matematici
nel corso di 350 anni, tanto che la
maggior parte delle comunità scientifiche erano giunte a pensare che la
dimostrazione stessa fosse impossibile da ottenere. Invece, nel 1995, Andrew John Wiles riuscì a risolverla.
Ritratto
di Carl Friedrich Gauss, opera di Christian Albrecht Jensen |
Joahn
Carl Friedrich Gauss, nacque in Germania nel 1777 da una famiglia molto umile. Già a nove anni si distinse tra
gli altri alunni della sua classe per possedere una rapidità di calcolo
impressionante. Grazie alle sue formidabili doti, il ragazzo ottenne borse
di studio che gli consentirono di affrancarsi dall’originario contesto rurale
per conseguire il titolo di direttore dell’osservatorio astronomico dell’Università
di Gottinga e diventare il “principe
della matematica”.
Già a 14 anni, Gauss si
concentrò sullo studio dei numeri primi e, con gli anni, arrivò a formulare una
congettura che non divulgò in quanto non
aveva modo di dimostrarla, con un’argomentazione oggettiva. La congettura di Gauss si sarebbe
trasformata in un importantissimo teorema
solo nel 1896, ovvero un secolo più
tardi, grazie a Jacques Hadamard e C.J. de la Vallée Poussin. A 18 anni creò un
metodo di osservazione statistica mirata all’individuazione degli errori. La “campana
di Gauss” è, senza dubbio, una delle più famose curve matematiche esistenti,
che oltretutto gli procurò una rendita molto vantaggiosa.
screenshot del film L’uomo che vide l’infinito. Fonte: Wikipedia |
Ed ecco, ora, un matematico
indiano protagonista di una bella biografia, scritta da Robert Kanigel, da cui,
nel 2015, è stato tratto il film, scritto e diretto da Matt Brown: L’uomo
che vide l’infinito. Se non
avete ancora avuto occasione di vederlo, fatelo: è emozionante e interpretato
splendidamente.
Srinivasa Ramanujan |
Srinivasa
Ramanujan, nacque, da una famiglia di umili origini, il 22 dicembre 1887, in India, in un piccolo paese
vicino a Madras.
Le sue straordinarie qualità matematiche, sia mnemoniche che
di calcolo, si manifestarono già nella sua più tenera infanzia. A causa delle
circostanze in cui ebbe luogo la sua istruzione, Ramanujan mancava dei mezzi
formali necessari a sostenere la dimostrazione delle sue congetture
matematiche.
Egli “vedeva” i risultati delle sue congetture, ma aveva difficoltà a dimostrarne l’esattezza
in un contesto quale quello della comunità matematica.
A 22 anni, nel 1909, entrò
come contabile nella Compagnia Portuale di Madras. Il suo unico obiettivo era
di poter provvedere al sostentamento della sua famiglia e di potersi dedicare
alla matematica. Nel 1913, dopo aver
inviato all’indirizzo di vari matematici europei, una lettera di presentazione,
alla quale aveva allegato i propri lavori matematici, ricevette da Godfrey Harold Hardy una borsa di studio perché si trasferisse a Cambridge.
Dopo varie traversie, raggiunse
Hardy in Inghilterra e da lì ebbe inizio una fruttuosa collaborazione. Nei cinque anni in cui visse a Cambridge
pubblicò ventuno articoli, cinque
dei quali in collaborazione con Hardy, che arrivò a dichiarare: “Io ho
imparato da lui molto più di quanto lui abbia appreso da me”.
Ramanujan lavorò
principalmente sulla teoria analitica
dei numeri ed è noto per molte formule di sommatorie che coinvolgono
costanti come π, numeri primi e la funzione di partizione.
Hardy paragonò
Ramanujan ai giganti della matematica come Eulero e Jacobi. Ramanujan fu in
seguito nominato membro del Trinity e ricevette, come massima
onorificenza nella scienza, la nomina a membro della Royal Society.
Frequentemente le sue formule furono enunciate senza dimostrazione e solo in seguito si rivelarono
corrette. I suoi risultati hanno ispirato un gran numero di ricerche
matematiche successive.
Senza istruzione e senza mezzi
economici, quest’uomo finì col diventare uno dei matematici più importanti della sua epoca e il maggiore
della storia dell’India.
Concludo questo post con una domanda:
secondo
voi, i numeri esistono come entità autonome e sono lì per essere scoperti o
siamo noi ad averli inventati?
Alla prossima! :)
BIBLIOGRAFIA:
Storia dei numeri, Wikipedia
Storia della matematica, Wikipedia
Matematica, Wikipedia
Biblioteca di Alessandria,
Wikipedia
Papa Silvestro II, Wikipedia
Quadrato magico. Wikipedia e
Enciclopedia Treccani
Aritmologia. Dizionario
Treccani
Vimala Takar, Kata Upanisad:
L’alchimia della vita, Edizioni Mediterranee
Pierre de Fermat. Wikipedia,
Enciclopedia Treccani
Carl Friedrich Gauss. Wikipedia,
Enciclopedia Treccani
Srinivasa Ramanujan. Wikipedia,
Enciclopedia Treccani
ICONOGRAFIA:
Raffaello, La Scuola di Atene,
dettaglio- Wikipedia
Sezione del Pentateuco in
ebraico, British Library Oriental MS. 4.445, contenente la Massorah Magna e
Parva. Wikipedia
Martino Polono, Papa Silvestro
II e il Diavolo, illustrazione dal Martini Oppaviensis Chronicon pontificum et
imperatorum. Wikipedia
Gerberto d'Aurillac, De
geometria, fol 12v, Baviera, copia manoscritto del XII secolo. Wikipedia
Albrecht Dürer, Melencolia,
1514, Staatliche Kunsthalle, Karlsruhe
Albrecht Dürer, Melencolia,
1514, dettaglio del quadrato magico – Wikipedia
Pierre de Fermat. Wikipedia
Christian Albrecht Jensen, Ritratto
di Carl Friedrich Gauss. Wikipedia
Srinivasa Ramanujan. Wikipedia
Screenshot del film L’uomo che vide l’infinito. Wikipedia
Splendido articolo che ripercorre la storia dei numeri in sequenza magistrale. Un tuffo alla scoperta di questo meraviglioso mondo che, molto spesso, vediamo solo come un campo arido, ma che resta basilare per ogni attività umana. Storia dei numeri, storia della matematica, storia nella storia attraverso le menti geniali che ne hanno osservato i fenomeni per renderli teoremi di cui ancora oggi ne facciamo largamente uso. Bellissima la domanda:"Ma i numeri sono entità autonome o siamo noi ad averli inventati?" Difficile stabilire quali delle due teorie sia la più attendibile. Leggendo l'articolo forse possiamo davvero decidere per quali delle due propendere. Grazie Clem. Ho conosciuto anche questa volta un mondo scientifico nel dettaglio.
RispondiEliminaGrazie, Annamaria. È sempre un vero piacere leggerti. La tua penna scorre fluida ed elegante anche quando commenti semplicemente i miei post. Sei un'amica meravigliosa!
EliminaBrahmini indiani furono appunto ospiti a Alessandria della corte romana nel 470 d.C. Si può quindi presumere che i numeri indiani siano sbarcati allora in Occidente. Sarebbero poi dovuti trascorrere oltre mille anni perché il loro uso divenisse la normalità.
RispondiEliminaPer rispondere alla tua domanda mi appello all'autorità di Pitagora, quindi la risposta è... ;D
Le tue informazioni sono sempre preziosissime, Ivano: grazie di cuore! Ma la tua risposta è strepitosamente pitagorica ;-) :D
EliminaTra le pochissime opere sulla matematica che io abbia letto, e che mi abbiano davvero appassionato, c'è proprio Ultimo teorema di Fermat che ho trovato coinvolgente come un giallo. Per me i numeri sono entità autonome: sono come delle persone e non segni astratti.
RispondiEliminaGrazie di questo bellissimo articolo, che ti deve essere costato non poca fatica. Vedrò senz'altro anche il film che consigli.
Oh, finalmente qualcuno che si sbilancia! Grazie, Cri :))
EliminaSì, questo è uno degli articoli cosiddetti "sudati"... e non poco! Il film vale, eccome, perché la trama è intensa e ottima la regia... poi è con Jeremy Irons! :))
Il post è ricchissimo, interessante e coinvolgente, ti faccio moltissimi complimenti, si comprende che è frutto di un gran bel lavoro *__*
RispondiEliminaHo visto il film che citi nella chiusa, concordo sul fatto che è da vedere!
Per quanto riguarda la domanda, io credo che il concetto di numero esista a prescindere dall'uso che ne abbiamo fatto e che ne facciamo. Non so, penso alla spirale, quindi ai broccoli, alle conchiglie... XD Spero di non aver scritto troppe sciocchezze!
Ciao Gloria e grazie del bellissimo commento! *_*
RispondiEliminaLa geometria è da sempre sotto i nostri occhi: i broccoli sono il tipico esempio di frattale, così come gli alberi e gli abeti, soprattutto, dove ogni ramo è simile all'intero albero, ogni rametto è simile al ramo più grande e così via. Il guscio della chiocciola è una spirale logaritmica, il cui raggio cresce ruotando. Anche i falchi disegnano una spirale logaritmica per avvicinarsi alla preda, gli insetti si avvicinano alla fonte luminosa nello stesso modo e anche i bracci degli uragani formano una spirale logaritmica... Gli esempi geometrici non mancano. Sulla questione, invece, se esista o meno la matematica a prescindere dall'uomo c'è almeno un esempio in natura che lo confermerebbe. Le vespe sanno contare! Pensa che contano il numero di bruchi vivi che lasciano come cibo per le loro larve nelle cellette in cui hanno deposto le uova: sono sempre 5,12 o 24. Esiste poi un tipo di cicala che vive come pupa, sotto terra, esattamente per 17 anni. Poi sale in superficie per pochi giorni, si riproduce e muore. Sembra proprio che i numeri esistano a prescindere dalla volontà e capacità dell'uomo di riuscire a percepirli :))
Bellissimo articolo, come puoi immaginare ne sono entusiasta. I Numeri sono entità a se, e se li conosci sai cosa ti vogliono comunicare quando ti si presentano per non parlare delle sincronicità. Un abbraccio
RispondiEliminaCiao Elisabetta! ^_^ Grazie di aver contribuito anche tu :))) Sapevo che avresti aprrezzato l'articolo, non fosse altro per il tema trattato. Ricambio l'abbraccio!
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