giovedì 18 maggio 2017

Contaminazioni e ispirazioni in arte/3







PARTE SECONDA 

Come promesso, prosegue la seconda parte del nostro viaggio nelle contaminazioni in arte. 

Come già detto nella puntata precedente (per accedervi clicca qui), Caravaggio ispirò un’intera generazione di artisti. Fu talmente innovativo e rivoluzionario che, dopo di lui, chiunque volesse mettersi in gioco con la pittura dovette necessariamente confrontarsi con il grande maestro. Non solo dal punto di vista tecnico, ma a tutto tondo.
Partendo dalla tela de I bari, vi propongo un’opera di un artista che nasce nell’anno in cui il Merisi intraprende il viaggio da Milano verso Roma.
Vi parlo di questo autore: Georges de la Tour.

De la Tour nasce nel 1593 in Lorena, nel vescovato di Metz, uno stato cuscinetto, tra Francia, Fiandre e la Repubblica delle Sette province di Olanda, sorto dalla divisione dell’impero di Carlo Magno, governato dal duca Carlo III di Lorena, e legato, nella politica come nell’arte, al sistema europeo e a Roma.
Come vedremo, l’influenza di Caravaggio su questo pittore sarà imprescindibile. Tuttavia, il modo in cui de la Tour entrerà in contatto con le opere di Caravaggio è un po’ più complicato da descrivere, ma ci proverò…
Una decina d’anni prima della nascita di quest’artista, proprio nella Repubblica delle Sette province di Olanda, si forma un gruppo di pittori che hanno studiato a Roma e che sono rimasti profondamente influenzati dall’opera caravaggesca. Si tratta di Hendrick ter Bruggen, Gerrit van Honthorst e Dirk van Baburen e l’influenza di questi tre signori, probabilmente, sarà fondamentale per la formazione di Georges de la Tour e di altri suoi concittadini.

Il ducato di Lorena, come dicevo, aveva sempre avuto uno strettissimo rapporto con l’Italia, anche dal punto di vista politico: Carlo III di Lorena era stato educato alla corte francese di Enrico II e di Caterina de’ Medici e, in seguito ne aveva sposato la figlia, Claudia di Valois. A Carlo III, che morirà nel 1608, succederà il primo figlio, Enrico II di Lorena, che in seconde nozze sposerà Margherita Gonzaga, figlia del duca di Mantova e del Monferrato. Alla nascita della prima figlia della coppia, Nicoletta, Ferdinando Gonzaga, fratello di Margherita, donerà alla sorella, Margherita, uno degli ultimi dipinti di Caravaggio, l’Annunciazione. Come è facile intuire, a quell'epoca, tutti i giovani artisti in cerca di affermazione in terra di Lorena, erano interessati a quel dipinto, che  rappresentava il nuovo linguaggio pittorico, cui attingere e ispirarsi. 

Georges de la Tour è un piccolo provinciale, figlio di panettieri, dunque appartenente alla medio-borghesia, e della sua formazione come pittore non si sa praticamente nulla. Qualche cronista ha lasciato supporre che avesse soggiornato in Italia durante i primi anni di attività, altri hanno lasciato intendere che avesse conosciuto l’arte del maestro italiano attraverso il gruppo dei tre pittori caravaggeschi olandesi di cui vi ho parlato poc’anzi. Le ipotesi restano aperte.

Quello che è certo è che de la Tour, nel 1618, a venticinque anni, sposerà una ragazza della piccola nobiltà locale, Diana le Nerf e in questo modo acquisirà il titolo nobiliare, oltre a una vita decisamente agiata. Nello stesso anno si trasferirà a Lunéville, dove aprirà una bottega, che arriverà ad avere ben cinque apprendisti, e inizierà a ricevere commissioni dal duca Enrico II e dai dignitari di corte.
Nel frattempo è in corso la guerra dei Trent’anni e Lunéville viene investita da malattie e carestie. Il contesto è minaccioso e le cronache riportano più di un atto giudiziario a carico dell’artista, il quale viene descritto come uomo particolarmente violento, facilmente irascibile, vanitoso e avido, sempre pronto ad aggredire chiunque tentasse di compromettere i suoi privilegi nobiliari.

Nel 1635, circa, La Tour decide di abbandonare Lunéville per rifugiarsi, con la famiglia, prima a Nancy e poi a Parigi, dove diventerà Pittore ordinario del Re, titolo che conserverà per almeno vent’anni. 
Nel 1644 farà nuovamente ritorno in Lorena, a Lunéville, dove, a causa di un’epidemia, morirà insieme alla moglie, il 30 gennaio del 1652.   

La tela che andremo ad analizzare ora s’intitola Il baro ed è una sorprendente reinterpretazione del capolavoro di Caravaggio.

Georges de la Tour, Il baro con l’asso di quadri, 1635 circa, Parigi, Musée du Louvre

L’opera – una vera danza di sguardi e di mani, che sembrano correre dappertutto e posarsi dove non devono – raffigura due uomini e una donna che giocano a carte, oltre a una domestica che osserva il loro gioco e serve da bere. I soggetti sono riuniti intorno a un tavolo ricoperto da una tovaglia sulla quale spiccano due gruzzoli di monete d’oro, a indicare l’entità della scommessa e il rischio derivante. Ognuno di loro è illuminato da una luce bianca e fredda proveniente da una fonte fuori campo, che creando un suggestivo chiaroscuro, conferisce alla scena un carattere misterioso e inquietante: i personaggi sembrano apparire dal nulla, come se si fosse tirato il sipario su una scena teatrale.


Ma non deve sfuggirci che fu Caravaggio ad accentuare i violenti contrasti di luce e ombra e, come possiamo vedere nella Vocazione di san Matteo, del 1599-1600, uno degli affreschi all’interno della Cappella Contarelli, fu sempre lui a far provenire la luce da una fonte esterna alla rappresentazione, creando in quel modo un’intensa teatralità della scena

Caravaggio, Vocazione di san Matteo, 1599-1600,Roma, San Luigi dei Francesi, Cappella Contarelli  
  


Osserviamo, dunque, i personaggi de Il baro, di La Tour: 


La vittima è un giovane, con i tratti paffuti da adolescente, che a giudicare dalla ricercatezza degli abiti e degli accessori che indossa, appartiene a una buona famiglia. Questo ragazzo, tentato dal vizio, del gioco, del vino e delle donne, si è allontanato dalla retta via per raggiungere i bassifondi, e qui viene rappresentato leggermente in disparte rispetto al gruppo, con gli occhi abbassati, più sognanti che concentrati sulla competizione: è inconsapevole di ciò che gli sta accadendo. anche in questo caso il messaggio è moraleggiante (almeno, in apparenza).  


Il baro, che dona il titolo all’opera, è rappresentato di tre quarti, con il viso in ombra, seduto a un’estremità della tavola. Con la mano destra, regge le carte e con la sinistra sfila dalla cintura un asso di quadri, ma l’artista ci fa vedere che la cintura trattiene anche un asso di picche, già pronto da essere utilizzato all’occorrenza. Il suo sguardo è assorto in un calcolo mentale, astuto e veloce.



Al centro della scena, inondata dalla luce, vi è una donna dalla pelle chiara come la luna che cattura immediatamente gli occhi dello spettatore: è con molte probabilità una prostituta che ha attirato la sua giovane vittima in un gioco truccato.

La donna cerca di intercettare con lo sguardo quello della domestica, la quale, a sua volta, ruota il suo verso l’osservatore che diventa testimone inatteso dell’intera scena.

Insomma, La Tour si dimostra un’artista difficile da descrivere e da collocare, possiamo però dire che è uno sperimentatore che riesce a stupire e sedurre. La sua opera, nella quale mescola uno strano senso di gravità e un’ironia tagliente, si rivela di una modernità sorprendente. 

In quali anfratti Caravaggio e La Tour saranno andati a cercare questi loro ambigui personaggi? Perché, diciamolo pure, non sembrano affatto frutto dell’immaginazione, ma tremendamente reali. Comunque siano andate le cose, vien da pensare che Caravaggio sarebbe stato orgoglioso del suo "allievo"  ;-)

Cari amici, il viaggio odierno è giunto a conclusione, mi auguro che sia stato di vostro gradimento e vi chiedo: “quali particolari vi hanno colpito di più e perché?”

Arrivederci al prossimo post! :-)



BIBLIOGRAFIA:

Philippe Daverio, I capolavori dell'arte, Georges de la Tour - Corriere della Sera editore
A. Brejon de Lavergnée, J.-P. Cuzin, I caravaggeschi francesi, Roma, Villa Medici, 15 novembre 1973 - 20 giugno 1974, schede del catalogo della mostra, De Luca ed.

ICONOGRAFIA:

Georges de la Tour, Il baro, 1635 circa, Parigi, Musée du Louvre



17 commenti:

  1. Non vedo nel post la tela di Caravaggio...
    Gli stili dei due pittori mi sembrano comunque molto lontani tra loro... tipicamente nordico quello di la Tour, sanguigno e mediterraneo quello di Caravaggio.

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  2. Non si vede il dipinto di Caravaggio, I bari? Strano... grazie della segnalazione, controllo. Riguardo agli stili hai senz'altro ragione, sono molto diversi. Qui è il tema che unisce le due opere. La Tour si è ispirato a Caravaggio per poi dare una sua interpretazione

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    1. No, era saltata tutta una parte sul luminismo di Caravaggio e la Vocazione di san Matteo. Ora l'ho ripristinata. Grazie @Ivano :-))
      Quindi, riassumendo, da una parte il tema unisce le due opere, i due stili sono differenti, ma La Tour si dev'essere per forza ispirato a Caravaggio, questa volta agli affreschi della Cappella Contarelli, per creare l'effetto teatrale della scena. :-)

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    2. Avevi visto la prima parte con la tela de I bari e i dettagli del dipinto? L'ho pubblicata sempre oggi...

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    3. No, non l'avevo vista fino a oggi, come ho scritto nel commento che ho lasciato in calce al post. Per questo l'articolo mi sembrava un po' monco. Adesso tutto si è chiarito...
      Sì, l'ispirazione deve esserci stata, comunque la figura davvero Caravaggesca del dipinto di la Tour mi sembra, non il baro, ma il giovane sul lato destro del dipinto.

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    4. Ma certo, la vittima! :D E non sembra anche a te di riconoscere in lui le fattezze del Bacco caravaggesco? Secondo me, assomiglia parecchio al dio dell'eterna giovinezza!

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    5. Ma voglio anche aggiungere che secondo me somiglia moltissimo anche al giovane col cappello piumato al centro della Vocazione di San Matteo.

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    6. Vero ciò che dici e, molto probabilmente, nel Caravaggio, si tratta sempre dello stesso modello: Mario Minniti, suo amico, collaboratore e forse amante, che aveva posato anche per il Bacco, così come per altri dipinti, per esempio il Fanciullo con canestro di frutta, il Concerto, ma credo anche per Medusa. Curioso, a dir poco, è trovare in La Tour un personaggio che somigli tanto al Minniti, sembra davvero una citazione!

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  3. Eccomi con quest'altra parte! :-) Le tre figure sulla destra mi comunicano un senso d'irrealtà, come se fossero ritagliate o spuntate dal nulla. L'unico che mi sembra vivo è proprio il baro, vuoi per la posa vuoi per lo sguardo che sembra cercarci vuoi per la pelle più scura e l'espressione astuta. Sembra quasi che sia lui quel mago che ha dato vita all'insieme e senza di lui tutti gli altri non possono esistere.

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    1. Davvero interessante la tua osservazione, Cristina! Ci devo riflettere. Di primo acchito, dico che mi trovi d’accordo sul fatto che il gioco di luce fredda e buio crei un effetto di straniamento, come se la scena si dividesse su due tempi: quello della narrazione e quello della vicenda narrata. Però, a mio modestissimo parere (ed è molto facile che sbagli) non è il baro a raccontarci ciò che avviene, ma la serva e, oltretutto involontariamente, allungando verso noi il suo sguardo. Se, invece, fosse come dici tu, ipotesi molto affascinante, allora avremmo il baro-mago, che ha creato la scena e che ce la racconta e la serva che involontariamente fa incursione nella narrazione del baro, e la sua occhiata rivolta all’osservatore esterno andrebbe a rappresentare uno squarcio nel tessuto temporale (dal tempo della vicenda narrata, al tempo della narrazione): notevole!

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    2. Il bello dell'arte, come della letteratura, è proprio che l'opera giunge a ciascuno di noi risvegliando echi differenti. Per me le creature evocate dal baro-mago non si rendono conto di quanto sta avvenendo, tranne la serva che getta un'occhiata laterale alle carte, ma appena appena come se non potesse girarsi nella maniera in cui vorrebbe. Si è accorta che c'è qualcosa che non va, ma non saprebbe dire cosa. Lo considero la rappresentazione del creatore in rapporto dei personaggi... e quindi anche dello scrittore che da una parte li domina e dall'altra possono anche sfuggirgli di mano. :-)

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    3. Fantastico! Il paragone è azzeccatissimo: hai ragione, i personaggi sono sempre vivi, c'è poco da dire, e sfuggono al controllo di chi crede di dominarli, si tratti di un pittore o di uno scrittore, non fa alcuna differenza. Grazie di cuore! :-)

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  4. A me invece la figura del baro comunica un senso di apparente scaltrezza, come di uno che si sente tanto furbo e crede di dominare il gioco, ma in realtà ne diventerà vittima. Le vere dominatrici mi sembrano le due donne, il loro incrocio di sguardi pare alludere ad un precedente e segreto accordo; anche la gestualità della cortigiana, resa in modo davvero raffinato, risulta carica di mistero. Il giovane paffuto mente: abbassa lo sguardo per fingersi ignaro, ma è consapevole e involontario complice del piano delle due donne. Questa è solo un'interpretazione personale, basata sulle prime sensazioni che mi ha comunicato il quadro, che prima d'ora non avevo mai visto. Grazie per avercelo mostrato: le cose che che mi hanno colpita di più sono la delicatezza e la perfezione del disegno, ma anche e soprattutto la bellezza quasi opalescente degli incarnati delle tre figure.

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    1. Meravigliosa interpretazione anche la tua, cara Stella! L’ipotesi, che il giovane si adatti alla situazione, pur sapendo di essere stato scelto per incarnare la vittima di un losco raggiro, nonché quella che vuole il baro trasformarsi a sua volta in un’ulteriore vittima delle due astute donne, vere organizzatrici del tranello, due autentiche e spregiudicate “vedove nere” che tessono con cura il filo della pericolosa, e scabrosa, ragnatela, è fuor di dubbio molto affascinante. E in questa lettura ritrovo anche tutta la geniale e sottile ironia di cui ritengo capace l’artista. Artista che si distingue anche sul piano fattuale, attraverso la perizia del tratto calligrafico e la ricerca di combinazioni cromatiche innovative, ipnotiche (quegli incarnati hanno la capacità di magnetizzare lo sguardo del fruitore e di attivare riflessioni vertiginose) e di fortissimo impatto visivo. Grazie di cuore, Stella!

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  5. Quest'opera è bellissima e sinceramente non la conoscevo, a differenza dei dipinti del Caravaggio che, vuoi o non vuoi li abbiamo visti un po' dovunque, svariate volte. È un dipinto molto bello, proprio come ci spieghi, è allusivo, è quasi un fermo immagine, ma vivo e d inquietante. Non conoscevo neanche il suo autore, de la Tour e leggere che fu (o almeno si dice che fu) un uomo violento, mi lascia incredula; chissà perché da un artista così eccellente non me lo aspettavo. Del resto, leggendo anche i retroscena della vita di Caravaggio, non è che fosse neanche lui uno stinco di santo! Grazie Clementina!

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    1. Ciao Lauretta, grazie di questo appunto! :-) Pensa che La Tour, che amava aggirarsi per le sue terre (invadendo anche quelle altrui) durante le sue battute di caccia, con uno stuolo di cani molto aggressivi, che talvolta scagliava contro i malcapitati (e le denunce sono passate agli atti), all'improvviso è cambiato. È diventato un uomo pacato e con lui è cambiato il suo modo di dipingere, tanto che la sua pittura della seconda fase è intensamente spirituale: lo hanno definito "il pittore delle candele". Il suo focus è rimasto lo studio della luce, ma quella nuova luce era vibrante, calda, avvolgente.

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dani.sanguanini@gmail.com