L’angolo di Cle torna a
occuparsi di storia delle donne.
Ciò che accade in Italia a quel tempo si differenzia dalle altre due realtà
prese finora in esame, sia per il diverso
livello di sviluppo economico, che
per la presenza del regime autoritario.
Giornata della Madre e del Fanciullo, istituita nel 1933 dal regime fascista |
Detto questo, prima di procedere
all’esposizione della situazione femminile, vorrei restituire una
sintesi del quadro storico dell’Italia di quel periodo.
Cito testualmente lo storico Federico Chabod dal suo L’Italia Contemporanea 1918-1948 (che raccoglie le lezioni tenute da Chabod alla Sorbona), Piccola Biblioteca Einaudi, 1970, pag. 27, per fornire alcuni
riferimenti utili alla comprensione della situazione in cui volgeva il Paese:
“L’alimentazione media di un italiano nel 1914 prevedeva un consumo di calorie giornaliere inferiore di più di un quinto a quella
dell’alimentazione di un inglese. Il reddito medio per abitante era (calcolato in unità internazionali, secondo il metodo di Collin Clark), nel
1911-13, di 549 per gli Stati Uniti, 481 per la Gran Bretagna, 351 per la
Francia, 301 per la Germania e 158 soltanto per l’Italia. Ciononostante
l’Italia consumava più di quanto producesse: fra il 1909 e il 1913 si registra
in media un’eccedenza delle importazioni sulle esportazioni di 1 miliardo e duecentocinquanta milioni. Come poteva colmarlo? Gli emigranti che lasciano l’Italia (in quegli
anni si calcolano fino a 873000 partenze l’anno, e la media del periodo 1909-13
è di 650000 l’anno) e che inviano alle famiglie rimaste in Italia quel che
riescono a risparmiare, rappresentano uno dei mezzi per far fronte al deficit;
l’altro è il turismo.”
Già nel 1914 le condizioni economiche del Paese
versavano in uno stato di profonda
arretratezza, nonostante i notevolissimi progressi compiuti dopo l’unità, e
il clima si presentava ostile, con partiti politici, stampa e opinione pubblica
divisi tra sostenitori del neutralismo e ferventi interventisti. In
quest’ultimo gruppo i dirigenti di alcuni comparti dell’industria pesante, che
contavano sui profitti derivanti dall’entrata in guerra, erano senza dubbio i
più agguerriti.
1914 La Difesa delle Lavoratrici |
Con l’ingresso in guerra nel 1915 la spesa italiana per le forniture
militari iniziò a lievitare. Nel
1916 era già raddoppiata e nel 1917 aumentò ancora di un terzo, continuando a
crescere. La nazione, per coprire una così ingente massa di equipaggiamenti bellici,
si indebitò sia all’interno che all’estero.
Le imprese più forti – come la
Montecatini, l’Ansaldo, l’Ilva, la Fiat – che avevano visto crescere produzione e
profitti, fanno affari d’oro. Nel commercio, senza dimenticare il mercato nero,
nascevano intere fortune da un giorno all’altro. Per taluni, dunque
sopraggiunse un arricchimento improvviso, per altri un totale sfacelo
economico. Non va dimenticato nemmeno che gran parte della ricchezza venne distrutta
nel conflitto, mentre il rimanente fu accaparrato dagli speculatori. Favoritismi, corruzioni
e sprechi nelle assegnazione delle commesse statali non si contavano nemmeno. Il
peso del conflitto e le conseguenti difficoltà economiche vennero scaricate
soprattutto sulle fasce sociali più deboli.
Per meglio comprendere lo
scenario nazionale di quell’epoca è importante evidenziare che anche la
produzione agricola si rivelava insufficiente, sia a soddisfare i bisogni civili
che quelli dell’apparato militare. Un episodio eclatante e consono a spiegare
la drammaticità di quei momenti fu quello verificatosi nel 1917, a Torino. Nella
città piemontese scoppiò una rivolta
popolare, guidata prevalentemente da
donne, operaie e contadine costrette a enormi sacrifici per sopravvivere
insieme ai figli piccoli e agli anziani – mentre gli uomini adulti erano al
fronte – che protestavano per la mancanza del pane.
Si deve anche tener conto del
fatto che l’Italia di quegli anni, a
differenza di Francia, Germania, Gran Bretagna, era un paese prevalentemente agricolo, nel quale il 55% della popolazione
era dedito all’agricoltura, mentre solo il 28% della popolazione era impiegata
nell’industria e solo l’8% lo era nel commercio.
Tuttavia, non bisogna
lasciarsi confondere dalle cifre perché, come riporta L’Italia Contemporanea 1918-1948, Piccola Biblioteca Einaudi, 1970, pag. 32, di Federico Chabod:
“Solo il 20% del territorio nazionale è pianura fertile […] il 40% è collina e il restante 40 è
montagna. Queste percentuali sono già sufficienti a dare una certa idea della
povertà agricola dell’Italia.”
La scarsità di cereali, indotta
dalla mancanza di uomini che lavorassero la terra, dunque si trasformò presto in
urgenza.
Ecco un breve passaggio
estratto da L’Italia Contemporanea 1918-1948, Piccola Biblioteca Einaudi, 1970, pag. 30, di Federico Chabod:
“Vi è un significativo rincaro della vita perché l’Italia deve importare
dall’estero grano, carbone, petrolio. Manca soprattutto il grano: prima del
1914 l’Italia produceva in media 50 milioni di quintali di grano all’anno
(massimo rendimento per ettaro: 12,3 quintali nel 1913), e doveva importarne
circa 14 milioni; ma durante la guerra la produzione s’era abbassata fino a un
minimo di 38 milioni (minimo per ettaro: 8,4 nel 1920).”
Ebbene, le donne, costrette a uscire alle cinque del mattino per approvvigionarsi
del pane – dato che alle otto già non se ne trovava più traccia nei panifici –
si ribellarono reclamando per le strade il proprio disappunto e la propria
disperazione. Questa rivolta venne letteralmente repressa nel sangue, tant’è
vero che le forze dell’ordine lasciarono a terra oltre quaranta morti e più di
un centinaio di feriti.
Ho voluto citare la vicenda
torinese perché rispecchiava il disastro economico dell’intero paese, le cui
economie andavano ulteriormente aggravandosi pervenendo sino alla svalutazione monetaria.
L’Italia, come il resto del
vecchio continente, uscì dalla prima guerra mondiale in uno stato di rovina generale e di
rilevante dipendenza economica e
finanziaria dagli Stati Uniti d’America. Nel 1918 il
tasso di inflazione toccò le punte
del 20%, di conseguenza i prezzi salirono alle stelle, i capitali dei piccoli
risparmiatori si polverizzarono, la pressione fiscale crebbe in modo
vertiginoso, i salari dei lavoratori si presentarono sempre più inadeguati a
fronteggiare il carovita. L’indebitamento estero raggiunse una cifra pari a
cinque volte il valore delle nostre esportazioni.
D’altronde, la politica del periodo che corre tra il 1914 e il 1919 era del tutto anacronistica.
Come scrive Federico Chabod in L’Italia Contemporanea 1918-1948, Piccola Biblioteca Einaudi, 1970, “era una politica stile 1866, completamente sorpassata nel 1914”.
Da una parte, vi erano i
braccianti, contadini
che per lo più possedevano aree di terreno troppo piccole per consentire loro di
vivere e che mettevano le proprie braccia a disposizione delle proprietà
altrui. Il loro problema era che a ogni piccola crisi agricola si vedevano
diminuire il salario dai proprietari. Dato che proprio i contadini formavano il
grosso dell’esercito e pagavano con la loro pelle la vittoria, ci si pose il
problema di cosa dare a questi ex combattenti, una volta finita la guerra. Così
durante una riunione tenuta a Roma nel 1917
dai rappresentanti della Confederazione generale del lavoro e di altre
organizzazioni, si chiese la requisizione delle terre non coltivate a favore
delle popolazioni risolute a dissodarle. Nel luglio 1919 masse di contadini
occuparono le terre non coltivate dei grandi proprietari. Questi lavoratori, in
parte aderivano alle leghe rosse, in parte al cosiddetto “bolscevismo bianco”, quello dei cattolici sempre più presenti nel
settore agrario.
1920, Milano, operai armati occupano le fabbriche |
Dall’altra parte, le masse operaie costituivano una realtà presente soprattutto nel
Nord Italia: in particolare a Torino, Genova e Milano. Esse divennero
le prime divisioni del movimento socialista prima, e di quello comunista dopo.
Al loro interno si parlava sempre più dei consigli operai e
dell’abolizione del capitalismo.
Le rivendicazioni di questa categoria di lavoratori andavano ben oltre gli aumenti salariali, superando le istanze di “terra ai
contadini” espresse dai braccianti. Gli operai, inoltre, adottarono un atteggiamento di biasimo verso la guerra, verso i capi che l’avevano preparata e
diretta, e anche verso coloro che
l’avevano combattuta.
Esaminando la vita politica italiana antecedente la prima guerra mondiale troviamo, pertanto, il partito socialista, con una fisionomia definita di struttura
rigida; un gruppo minuscolo di
deputati repubblicani composto dai
discendenti di Mazzini; iniziava inoltre a fare la sua comparsa anche un esiguo gruppo nazionalista. Alle
elezioni del 1913 parteciparono anche i liberali, i democratici e i radicali,
che però non erano ancora dei partiti completamente strutturati. La politica di
Giolitti, fra il 1910 e il 1914 tendeva idealmente ad assorbire il socialismo
per portarlo verso una formazione di centro. Ma Turati rimase sempre all’opposizione.
Nel 1919, nella scena politica, fece la sua comparsa il partito popolare italiano, capeggiato da Don Sturzo. Si trattava di un partito a struttura rigida che disponeva
di ben 22 quotidiani e 93 settimanali, molteplici banche, grandi come il Banco di
Roma e piccole come le casse rurali, e che aveva come alleato la Confederazione
italiana dei lavoratori, la quale poteva contare su un numero sostanziale di
aderenti, soprattutto coltivatori. Nelle campagne, infatti, i cattolici erano
più forti dei socialisti.
Il partito socialista venne accusato
di essersi opposto alla guerra e, successivamente, di aver sabotato la guerra.
A questo punto si delineò la
tragedia del socialismo italiano in quanto, anzitutto, lasciò che si creasse
nell’opinione pubblica l’impressione che il partito fosse “antinazionale” – e questo gli farà perdere i voti della piccola
borghesia – in seconda battuta, nel partito di Turati, Treves e Modigliani si
parlava più di Lenin che di Marx.
L’estrema sinistra che voleva
una lotta decisa contro la borghesia, nel 1921 si staccherà dal partito
socialista per fondare il partito comunista.
1919-1920 i mutilati chiedono pane al governo |
Da questo clima di costante
agitazione nacquero scioperi a getto
continuo e costanti disordini.
Nel frattempo, nel partito
popolare, oltre ai democratici sinceri, come Sturzo, vi erano anche i “conservatori”
che in questa fazione politica vedevano solo un mezzo per difendere posizioni acquisite:
il partito non era affatto omogeneo.
In questo continuo tira e molla di socialisti che perdevano terreno e popolari che avanzavano la posizione del
governo si fece sempre più precaria per l’assenza di una solida maggioranza e
in tale circostanza fecero la loro comparsa i fascisti.
Benito Mussolini |
Nello stesso anno, il 1919, Mussolini fondò a
Milano i Fasci italiani di combattimento, un gruppo che venne presto sostenuto dalla borghesia imprenditoriale agraria e che
diffuse le violenze dello squadrismo fascista contro organizzazione
sindacali, esponenti politici avversari (tra cui comunisti, socialisti e
cristiano-popolari), cooperative.
Nel primo semestre del 1920, l’Italia era fra i paesi europei
al primo posto in graduatoria degli scioperi e alla fine di quell’anno il fascismo divenne una forza politica di primo piano.
1921 Mussolini e la marcia su Roma |
Nel 1921, in occasione del
Congresso nazionale il Fascismo, da movimento diventò il Partito Nazionale Fascista. Nel 1922 Mussolini, effettuando
la marcia su Roma, assunse la guida
del potere.
Con l’introduzione delle
cosiddette “leggi fascistissime” del
1926, ispirate dal giurista Alfredo Rocco, venne soppressa la libertà di
associazione, il potere legislativo venne completamente subordinato al duce, il
quale anche grazie al Tribunale speciale, alle milizie, all’efficientissima
polizia segreta, l’Ovra, manteneva il pieno controllo della situazione.
Il Partito fascista, a quel punto, controllava numerose organizzazioni di massa votate a educare la gioventù ai
valori fascisti: nei Figli della Lupa
rientravano i giovani fino agli otto anni, l’Opera Nazionale Balilla
inquadrava i ragazzi dagli otto anni ai quattordici e ai diciassette (“Balilla”
e “Avanguardisti”), le ragazzine confluivano nelle “Piccole italiane”, i giovani fino ai ventuno anni rientravano nel Fascisti Giovani, nei Gruppi
Universitari, e nelle “Giovani italiane”.
Inoltre, l’Opera del Dopolavoro organizzava il tempo
libero dei lavoratori con gite e gare sportive.
Organizzazioni fasciste femminili |
Come mette ben in luce la storica Luisa Passerini in Storia delle Donne, Volume V, Il Novecento, Laterza, Roma, 1992, in questo contesto le proposte
italiane di innovazione del ruolo
femminile oscillavano tra l’uniformazione
delle donne nelle organizzazioni di
massa del fascismo (letteralmente
venivano fatte adottare delle uniformi) e la costruzione di una casalinga, “moglie e madre esemplare”. In parole povere, la donna italiana
doveva rinnovarsi, produrre molti
figli, provvedere all’alimentazione
e all’abbigliamento per tutta la
famiglia, usando le risorse offerte dall’economia
autarchica: fibre di ginestra e di
ortica, anziché il cotone, lanital, anziché la lana, lignite al posto del
carbone.
Fatte queste premesse è chiaro
che la donna italiana non poteva diventare consumatrice e amministratrice delle
stesse risorse di cui disponevano le statunitensi e le francesi, in quanto il
processo di modernizzazione nel
quale si trovava immersa era di tipo
repressivo.
figli per la patria |
La storica statunitense Victoria De Grazia, in Le donne nel regime fascista - Venezia, Marsilio, 1993, ci fa sapere, inoltre, che tra il 1922 e il 1924, con la
riforma della scuola, la riforma Gentile,
si definì il ruolo dell’educazione nazionale: far penetrare nei giovani l’ideologia
fascista, selezionare solo l’élite, facendo accedere all’istruzione secondaria
e agli atenei solo un numero ristretto di studenti provenienti dalle famiglie
più agiate. Oltre a ciò, la riforma Gentile produsse la notevole riduzione del numero di insegnanti donne a favore di insegnanti
uomini, tanto è vero che l’accesso ai concorsi pubblici per intraprendere l’insegnamento
di lettere, latino, greco, storia e filosofia nei licei o per quello di
italiano negli istituti tecnici venne precluso alle donne.
La politica fascista,
intrecciandosi e sostenendosi all’ideologia cattolica, impose alle italiane un
destino esclusivamente biologico che voleva la loro subalternità nell’ambito della famiglia e della società.
“Lo scopo della vita di ogni donna
è il figlio. […] La sua maternità psichica e fisica non ha
che questo unico scopo”. Con queste parole si pronunciava una manuale
di igiene divulgato dal regime alla fine degli anni ’30.
Col pieno sostegno della
Chiesa, dunque, ogni pubblicità e propaganda di misure
contraccettive fu proibita e
l’unico mezzo per il controllo delle nascite rimase l’aborto che, nonostante le
pesanti pene previste dal codice penale del 1931 (da 2 a 5 anni per chi lo
procurava o aiutava e da 1 a 4 per la donna che lo praticava da sola), restava
ampiamente diffuso.
(Continua)
Con questo post il blog chiude
per la pausa estiva.
Probabilmente mi vedrete
comparire ancora per un po’ a commentare qua e là i vostri articoli, ma credo
sia giunto il momento di sospendere le pubblicazioni e di allontanarmi dalla rete
per recuperare la spinta emotiva ed evitare di annoiare i lettori.
A questo punto non mi resta
che augurare, a me stessa e a tutti voi, ottime vacanze. Ci ritroviamo tra
qualche settimana! : )
BIBLIOGRAFIA:
Federico Chabod, L’Italia contemporanea 1918-1948, Piccola
Biblioteca Einaudi, 1970
Georges Duby e Michelle Perrot, Storia delle donne, Vol. V,
Laterza, Roma, 1992
De Grazia V., Le donne nel regime fascista - Venezia,
Marsilio, 1993
Giancarlo Carcano, Torino 1917, Cronaca di una rivolta,
Edizioni del Capricorno, 1977
ICONOGRAFIA:
Giornata della Madre e del Fanciullo, Wikipedia: nel 1933
viene istituita la Giornata della Madre e del Fanciullo, fissata
significativamente al 24 dicembre. La figura della buona madre fascista viene
così fissata ideologicamente alla castità della Madonna, e al sacrificio
supremo del figlio maschio.
1914 La Difesa delle lavoratrici, Wikipedia
Giancarlo Carcano, Torino 1917, Cronaca di una rivolta,
Edizioni del Capricorno, 1977
1920, Milano, operai armati occupano le fabbriche,
Wikipedia
1919-1920 I mutilati chiedono il pane al governo, da Storia
del Fascismo, Enzo Biagi, Wikipedia
Benito Mussolini, Wikipedia
1921, Marcia su Roma, Wikipedia
Organizzazioni fasciste femminili, Wiki Commons
Figli per la patria, regime fascista, Wiki Commons