“Donne – tu du du – in cerca
di guai”… torniamo a parlare di questioni
femminili legate al XX secolo.
Max Beckmann, Quappi in pink jumper, 1934, Museo Nacional Thyssen Bornemisza Madrid |
Considerando la
vastità dei temi che permeano la storia dell’emancipazione delle donne,
capiterà ancora di procedere a passi di formica, di leone e anche, come in
questo caso, di gambero. Lo sopporterete? Spero di sì, anche perché purtroppo
mi è difficile muovermi diversamente!
Dunque, se vorrete seguirmi,
vi condurrò indietro nel tempo, all’inizio
del Novecento, per poi scivolare in avanti fino agli anni ’40, e lo farò per toccare
alcuni punti fondamentali e funzionali alla comprensione di ciò che avverrà nei
decenni successivi. Il primo passaggio che affronteremo in tal senso sarà
quello della trasformazione delle donne in masse che prende luogo prima di
tutto negli Stati Uniti.
Che cosa significa?
Significa che, entrando nel
Novecento, in paesi come gli Stati Uniti
si comincia a insistere sull’esigenza di apportare modifiche e uniformazione
agli aspetti cruciali della donna. Sempre la solita storia, no? Bene, in questo
caso vedremo che tutto questo ha a che fare con la cura della casa e della
persona fisica.
Avevamo già visto la donna entrare
nelle fabbriche. Ora, però, la sua capacità di razionalizzare il lavoro
domestico, come tempo e come rendimento, viene pian piano spostata nella
produzione extra domestica e l’occhio vigile e attento della dirigenza maschile
ne rimane colpito al punto da prefigurarne nuovi scenari. Da lì a poco politici
e industriali concordano su un punto: anche il funzionamento della casa
necessita di essere assimilato e integrato all’organizzazione dell’intera
società. Così, a partire dal 1920 si assiste a un’offerta di elettrodomestici e attrezzature varie,
senza precedenti, che viene indirizzata alla donna. Giusto per non perdere la bussola, vi ricordo che ci troviamo all’inizio del ventennio del “proibizionismo”. Qual è il disegno nascosto?
Semplice: la casalinga americana deve diventare sia consumatrice che
amministratrice della casa. Non c’è scampo.
Cotton Club di New York, foto del 1927 |
Per raggiungere lo scopo, essa
viene responsabilizzata a controllare il consumo della propria abitazione e a
organizzare e pianificare, accuratamente, i processi familiari. Sempre in
quest’ottica, nascono le vendite a rate
e i progetti di lunga durata, affinché l’intera popolazione possa accedere ai nuovi
indispensabili beni di consumo!
In men che non si dica i grandi magazzini americani si trasformano
in un nuovo spazio pubblico che, guarda un po’, sembra creato apposta perché le
donne lo vivano come un luogo di ricreazione e socialità, non solo di consumo –
sia chiaro. In questo spazio esse potranno rivestire alcuni ruoli di autorità,
sia in veste di acquirenti che di capisettore. Ecco che inizia a delinearsi una
nuova cultura di massa.
Siccome le ambizioni sono alte,
alla donna americana viene richiesta anche un’apparenza fisica particolarmente
accurata. Per cui si procede con la ridefinizione dell’ideale di femminilità. A
tale scopo l’industria cosmetica e
quella dei vari prodotti igienici si
fanno trovare pronti a scodellare ogni genere di proposte.
Ottobre 1924, pubblicità, Museum Modern Art Library |
Così, ispirandosi al motto “la
bellezza può essere raggiunta da tutte le donne, se si impegnano
sufficientemente” – vi prego di notare la finezza della sottolineatura
sull’impegno – inizia il processo di uniformazione dell’aspetto femminile.
Ma,
attenzione: un simile processo sottintende non solo una trasformazione
esteriore, bensì anche interiore, e infatti le varie case cosmetiche di quegli
anni ruotano costantemente intorno all’idea che sapersi truccare significa
“trovare se stesse”.
Pertanto, nel 1921 sul mercato
statunitense appare il primo assorbente Kottex, seguito a raffica da una
miriade di altri prodotti. Bisogna anche aggiungere che l’industria cosmetica
americana di quegli anni guarda anche alle donne di colore, il cui successo
personale viene fatto dipendere – ta dam – da capelli stirati e pelle
schiarita.
Annuncio pubblicitario assorbenti Kottex Ladies Home Journal, 1930, Cambridge |
Assemblea del KKK, 1920 circa |
Entrano quindi in gioco i periodici, la pubblicità e, soprattutto, il cinema.
A quest’ultimo viene assegnato
il compito di rafforzare la “cultura della bellezza”. Tra il 1920 e il 1930 gli
studi di Hollywood sfornano decine e
decine di immagini femminili di grande carisma. Il divismo hollywoodiano
diventa anche l’anello principale della trasmissione dei modelli statunitensi
nell’Europa a cavallo delle due guerre. Non c’è nulla di meglio di un film per
offrire pratiche lezioni di moda, trucco e comportamento.
Mary Pickford, uno dei modelli femminili dei film americani in voga nel 1920 |
Mentre lasciamo in sospeso l’America
che, nel 1929, viene segnata dal tragico crollo
della Borsa di Wall Street da cui ebbe inizio la Grande Depressione che sconvolse l’economia mondiale, guardiamo
cosa accadde nel vecchio continente.
Annuncio del crollo di Wall Street in una testata del 1929 |
In Francia, per esempio, tra il 1927 e il 1932 viene introdotta
l’elettricità in tutte le case e l’estensione del gas. Questo fenomeno si
affianca al bisogno crescente di semplificare le mansioni domestiche delle
donne borghesi che tendono a cercare un lavoro fuori casa.
Roland Toutain e Nora Gregor inLa regola del gioco di Jean Renoir, 1939 |
Tra gli anni ’30 e ’40 a
Parigi si affaccia un nuovo stile di
vita che include un’inusitata attenzione all’igiene domestica e un radicale
cambiamento delle abitudini alimentari: via via scompaiono dalle tavole i
piatti tradizionali che richiedono lunghe e complicate preparazioni, per dar
spazio a piatti più semplici e presto pronti, come le crudités e i formaggi. Sempre
in questi anni si consolida il successo delle industrie dei cosmetici francesi.
Alba tragica, film di Marcel Carné, 1939 |
Sempre in Francia, nel 1939,
il progresso tecnologico nelle case è limitato a pochi elettrodomestici, ma è
già cambiata l’immagine della donna e, di conseguenza, sono già cambiati gli
aspetti culturali fondamentali. La nuova francese è ora una donna che, anche la
sera, appare sorridente attraente, sia nel vestiario che nel trucco.
A stimolare il cambiamento
contribuisce in larga misura anche la stampa. Nel 1937, infatti, il nuovo
periodico Marie Claire, che mette le cure di bellezza alla portata di tutte le francesi, anche le più disagiate,
raggiunge il tetto di 800 mila copie vendute. La ragione di una così alta
diffusione sta soprattutto nel basso prezzo che fa della rivista la “Vogue du
pauvre”. In questo periodo vanno consolidandosi anche alcune forme tipiche dei
mezzi di comunicazione di massa dedicati alle donne, come per esempio la “posta
del cuore” e altre rubriche che ospitano discorsi autobiografici che lasciano
trasparire il disagio di molte donne nel corso dei grandi cambiamenti. Perfettamente
centrato su questi argomenti, Confidences, periodico femminile parigino,
nel 1939 arriva a superare largamente il milione di compie vendute.
Copertina Confidences, marzo 1939 |
Ma questo periodo di fecondità
creativa dura poco e viene interrotto
nel giugno del 1940 con l’ingresso
delle truppe tedesche a Parigi.
Nel prossimo post andremo a
vedere cosa accadeva in Italia nello stesso periodo, tra le due guerre…
Cosa
ne pensate?
Arrivederci a presto e a tutti
un caro saluto!
Per chi fosse interessato a recuperare gli altri miei post sulle donne, ecco il link:
BIBLIOGRAFIA
Storia delle
donne, Georges Duby e Michelle Perrot, Vol. V,
Laterza, Roma-Bari, 1992, pp. 296-302.
The American Yawp, The new
era, americanyawp.com
Cinematografia Francese,
Enciclopedia Treccani
ICONOGRAFIA
De Chirico,
Ritratto di Isa in abito nero, 1935, Fondazione G. e I. de Chirico, Roma
Dailymail.com, Cotton Club di
New York in una foto del 1927
Americanyawp.com, pagina
pubblicitaria dell’Ottobre 1924, Museum of Modern Art Library
Ladies Home Journal, annuncio
pubblicitario assorbenti Kottex, 1930, Cambridge
Underwood and Underwood, Assemblea
del KKK, 1920 circa, Washington,
Americanyawp.com, Mary
Pickford in un film del 1920
Daylymail.com, Annuncio crollo di Wall Street
Daylymail.com, Annuncio crollo di Wall Street
Wikipedia, scena del film La
regola del gioco, di Jean Renoir, 1939
Wikipedia, scena del film Alba
tragica, Marcel Carné, 1939
E-bay, copertina della
rivista Confidences, edizione marzo 1939
Penso che hai fatto un bel post perché non è facile riassumere un periodo così complesso come quello del primo Novecento.
RispondiEliminaFra l'altro è interessante vedere come le due Guerre Mondiali (anche se qui non siamo ancora giunti alla Seconda) abbiano contribuito al cambiamento femminile più di tutte le svolte epocali del passato.
Un abbraccio.
Grazie, è vero, non è stato facilissimo! Comunque, Francy, le guerre (sempre orribili e ingiustificabili), immancabilmente segnano profonde trasformazioni che si ripercuotono sulle popolazioni. Poi, più è profondo il cambiamento degli assetti e più si producono effetti di rinnovamento ad ampio spettro.
EliminaRicambio l’abbraccio!
Senza l'evoluzione della figura femminile nel '900 la società occidentale sarebbe sicuramente meno ricca e completa di quanto sia attualmente.
RispondiEliminaEh, sì. Senza dubbio! Ciao Nick, grazie del passaggio!
EliminaProgresso tecnologico, consumismo esasperato pompato dalla pubblicità... il capitalismo è servito.
RispondiEliminaNon amo i meccanismi del capitalismo sfrenato, però se sono serviti almeno in parte a favorire l'emancipazione della donna allora guadagnano qualche punto. Mi spaventa però l'idea di un metodo che si basa sulla trasformazione in tutti noi di "clienti" e "consumatori".
La trasformazione della popolazione in massa è senza dubbio un processo spaventoso. È parte integrante del sistema capitalistico; funzionava ieri come funziona oggi: si individuano “aree bianche”, si instilla un bisogno, si propongono modelli da seguire, si offrono prodotti, li si pubblicizza… Possiamo dire che in un processo di tipo capitalistico, che comunque non può prescindere da una parallela evoluzione scientifica, tecnologica, comunicazionale,… troviamo sempre aspetti negativi e altri positivi e, in questo contesto l’individuo (maschio o femmina che sia), pagando lo scotto di doversi adeguare a un nuovo sistema, cerca anche di trarne un vantaggio. Difficile conteggiare gli aspetti di quell’epoca più proficui per le donne e quelli meno, non avrebbe neanche senso perché ogni causa porta con sé conseguenze, innescando nuovi assetti e così via.
EliminaPosso, però, farti un esempio. Mary Pickford, di cui trovi una foto nel post, è un nome d’arte che la stessa artista si è data nel corso della sua carriera. Apparteneva a una famiglia canadese fortemente disagiata, un padre alcolizzato, una madre che lavorava come inserviente, due fratelli che in seguito si sono trasformati in alcolisti. Insomma, le probabilità di avere successo per una ragazza come lei erano vicine allo zero. Nel periodo in cui era ancora bambina, sua madre la portava, per racimolare due soldi, a fare dei provini per le commedie di Broadway. Crescendo è sempre rimasta in contatto con quell’ambiente: mai nulla di folgorante, piccole comparsate qua e là. La ragazza, però non era scema, anzi. Con l’avvio del cinema muto ha fatto in modo di farsi scritturare per alcuni film, in parti marginali. Aveva capito che presenziando in tanti lungometraggi non sarebbe passata inosservata. Per farla breve, è diventata nel giro di poco il volto più famoso a livello mondiale. In pratica, è diventata una star, anche o forse soprattutto, per una sorta di effetto sfinimento. Ma ciò che conta è che tutti la riconoscevano. Da allora la maggior parte dei film prevedevano la sua presenza. In occasione della prima guerra mondiale, il governo USA la ingaggiò per la raccolta dei fondi bellici e così è stato. Nel frattempo aprì una sua casa di produzione cinematografica. Si occupava di tutto, dal casting, alla scrittura delle sceneggiature, alla regia, una delle prime donne registe… Pochi anni dopo stilò, con Charlie Chaplin e altri grandi nomi, l’accordo per la nascita della United Artist. Con l’avvento del sonoro le richieste attoriali cambiarono. Ma quando, molti anni più tardi, vendette la sua quota di partecipazione della UA, si ritrovò ricchissima. Ovviamente, come potrai immaginare il suo stile di vita, dai tempi in cui recitava agli albori della carriera in poi, si è ribaltato completamente.
EliminaLa penso come Ariano. E' sia interessante che inquietante che un certo tipo di emancipazione femminile venga dal consumismo. Dico di un certo tipo perché a guardarla bene (e il tuo post è illuminante in questo senso) l'emancipazione era solo di facciata. Senza contare differenze etniche, razziali, sociali ed economiche. Insomma la donna è di serie B, ma lasciamole credere che con un piccolo sforzo da parte sua possa essere di serie A. C'erano già un bel po' di manipolazione psicologica e controllo sociale in azione.
RispondiEliminaManipolazione psicologica e controllo sociale nascono in epoche lontane, ben prima del XX secolo, e tra i tanti target hanno sempre preso di mira quello femminile. L’emancipazione delle donne è un processo complesso, stratificato, lunghissimo, sofferto, tutt’altro che omogeneo. Inoltre, le femministe (termine assai vago, considerando le molteplici correnti e relative linee guida) non hanno mai trovato consenso diffuso, nemmeno tra le appartenenti allo stesso genere. Sugli effetti del consumismo in relazione all’emancipazione femminile puoi trovare la mia risposta ad Ariano. Ciao!
EliminaMi viene da pensare che poco o nulla sia cambiato rispetto al modello attuale della donna proposto dai mass media e dalla politica. Proprio di recente ho letto un'intervista a Barbara Alberti, che ammiro molto: asserisce che ora alla donna viene chiesto TUTTO, cura della casa e dei figli, competitività e carriera, ed essere sempre curata, ben vestita e attraente. In pratica la donna multitasking all'ennesima potenza, con una mano all'aspirapolvere e l'altra a cliccare sulla tastiera del computer.
RispondiEliminaTra l'altro, spesso viene scaricato sulle spalle delle donne anche il compito di assistere e curare anziani e malati.
EliminaTra l'altro, sì. Argomento che non avevo inserito, ma sono sicura che Barbara Alberti lo avesse menzionato. La nostra è una generazione che si trova schiacciata tra altre due: quella più giovane dei figli, e quella dei genitori, e di entrambe si deve occupare senza adeguate politiche a sostegno.
EliminaCertamente è così. Il tema delle generazioni, tra l’altro, è un ottimo spunto per affrontare il problema. Un tempo la rappresentazione generazionale era composta da uno o al massimo due nonni, i genitori e più di due figli. Questa piramide è andata ribaltandosi e oggi gli studiosi parlano di sandwich generation per descrivere la situazione in cui la generazione di mezzo ha un carico di lavoro familiare altissimo nei confronti della prima generazione e delle generazioni più giovani. Le più in difficoltà sono, inevitabilmente e in modo paradossale, le donne. Essendo entrate nel mondo del lavoro, sono le prime a trovarsi spiazzate dalle reti di sostegno familiare tradizionale: prima tutto il sistema di welfare era imperniato sulla loro presenza in casa, ma ormai è saltato.
EliminaDi conseguenza vi sono anche problemi di ambivalenza dei sentimenti tra le rispettive generazioni e la rete sociale, più nascosti quando all’interno di un nucleo familiare si mantiene una certa coesione affettiva e più palese quando si è in presenza di spaccature. E anche in questo caso le donne pagano il conto più salato.
Ma quanto è bella quell'immagine di Mary Pickford?
RispondiEliminaArticolo assai interessante, anzi tutte le tappe sono davvero imperdibili. Anch'io ho provato a parlare di questo argomento, ma è talmente vasto che ne ho fatto un posticciolo ironico. :)
L'argomento esteriorità è uno dei capisaldi del cammino femminile. Per natura, la donna deve essere attraente per poter attrarre appunto l'uomo, poi essa sceglie, fingendo di lasciarsi scegliere, e il gioco ha inizio. Sulla seduzione si è basato il 99% di tutta la cinematografia e la produzione commerciale del XX secolo.
La seduzione femminile di quegli anni non mi disturba, se penso a donne di temperamento come tante dive americane che hanno saputo gestire la loro avvenenza. Molte altre ne sono rimaste vittime, certamente. In gran parte della produzione cinematografica, si assiste a un "gioco" uomo-donna estremamente affascinante. Basti pensare alle donne bellissime di Hitchcock, che appositamente sceglieva bionde ad alto tasso seduttivo, e nei suoi film spesso l'uomo resta succube della bellezza. Insomma, se pensiamo alle dive in celluloide, la cosa ci piace.
La donna comune doveva costruire il suo fascino, bene lo ricorda mia madre (aveva una vaga somiglianza con Elisabeth Taylor ed era molto corteggiata) che era anche sarta per signora. Ancora oggi sospira al ricordo di quella femminilità, e detesta la "mascolinizzazione" fatta di pantaloni ormai abbigliamento quasi esclusivo anche delle donne e le rasature dei capelli. Di fatto, qualcosa probabilmente si è perduto. Perché essere "femminili" non significa certo essere deboli o succubi del maschio.
Mi ero quasi persa il tuo commento: perdonami Luz! :0
EliminaNemmeno io sono disturbata dal gioco della seduzione, anzi, tutt’altro. Penso che l’intelligenza, non solo aiuti a guardare con occhi disincantati se stessi, ma allo stesso tempo permetta di contenere al minimo i danni mentre ci si porge in ascolto del mondo circostante.
Quando, poi, hai citato Hitchcock nei miei occhi si sono accesi bagliori di gioia: chi meglio di lui aveva compreso la finezza di quel gioco?
Concordo su tutti i punti, compresi quelli, acutissimi e puntuali, messi in luce da tua madre: il tema della mascolinizzazione è pregno di concetti che andrebbero sviscerati, uno a uno, e la femminilità merita riflessioni profonde.