Questo è un invito al viaggio che vi porgo attraverso
una piccola rassegna di romanzi e racconti di autori famosi dedicata a quello
che potemmo definire, per antonomasia, il luogo
dell’incontro e dell’imprevisto.
Parliamo del treno, sfondo ideale nel quale sono
state ambientate storie di incontri, di
scambi, di mistero e di viaggio.
Murnau – Veduta con ferrovia e castello, di Vasilij
Kandinsky.
Stadtische Galerie im Lenbachhaus. fonte: web
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Agli inizi dell’Ottocento,
in Inghilterra, compare la prima locomotiva a vapore e da allora il treno, con
il suo fischio lanciato in prossimità delle stazioni, il suo sferragliare sulle
rotaie, i suoi scompartimenti nei quali perfetti sconosciuti intrecciano
conversazioni, seduti gli uni accanto agli altri, ha iniziato, senza più
fermarsi, a rappresentare nell’immaginario collettivo l’ambiente più stimolante
per ogni genere di avventura.
Renoir, Il ponte ferroviario a Chatou, 1881, Musée d’Orsay,
Parigi
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Volete salire in carrozza
con me?
Bene!
Iniziamo, dunque, il
nostro viaggio in treno con un elenco di romanzi e racconti ambientati tra i
convogli, perché, come diceva Oscar Wilde, Bisognerebbe
sempre avere qualcosa di sensazionale da leggere in treno.
Claude Monet, Treno
sotto la neve, 1875,
Musée Marmottan Monet, Parigi
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Il primo della lista è uno dei più famosi gialli di Agatha Christie, ambientato sul mitico treno
che collega Parigi ad Instambul: Assassinio sull’Orient Express.
Il romanzo ha come protagonista il detective belga Hercule Poirot che si troverà a dover risolvere il caso dell’assassinio di un ricco americano, il signor Ratchett, avvenuto mentre il convoglio si trova bloccato a causa della neve.
Ecco l’incipit:
«Erano circa le 5 di una mattina d'inverno, in Siria. Lungo il
marciapiede della stazione d'Aleppo era già formato il treno che gli orari
ferroviari internazionali indicavano pomposamente col nome di Taurus Express, e
che consisteva in due vetture ordinarie, un vagone-letto e un vagone-ristorante
con annesso cucinino.
Vicino
alla scaletta di uno degli sportelli del vagone-letto, un giovane tenente
francese, splendido nella sua uniforme, conversava con un omino imbacuccato
fino alle orecchie e del quale erano visibili solo il naso arrossato e le punte
di un paio di baffi arricciati all'insù.»
E conservando l’immagine
di un treno nella neve, ci spostiamo verso un altro romanzo, che invece narra
l’amore, l’idealismo e il dolore fino ai temi della rivoluzione di ottobre. Qui,
il protagonismo del treno ci arriva
attraverso la descrizione di un lungo viaggio, un vero e proprio esodo, che si svolge in mezzo alla neve siberiana.
Vi sto parlando de Il
Dottor Zivago, celebre e controverso romanzo scritto da Boris Pasternak.
Eccone un breve
stralcio:
«Come
se un gallo avesse appena cantato con la sua voce familiare, da giù, la
locomotiva che conoscevo bene mi fece sentire il suo fischio. Lo conoscevo bene
quel fischio, perché la locomotiva stava sempre sotto pressione a Nagòrnaja. Si
chiamava locomotiva di spinta, per spingere i treni sulla salita e ora era in
manovra, perché ogni notte a quell’ora passava quel treno misto.»
Restando in Russia
ritroviamo il treno nell’incipit de L’idiota
di Dostojevski
«Verso
le nove di una giornata di fine novembre il treno della ferrovia
Pietroburgo-Varsavia si avvicinava a Pietroburgo. La giornata era talmente
umida e nebbiosa che i passeggeri con grande difficoltà riuscivano a distinguere
qualche cosa dai finestrini»
Continuiamo
la nostra carrellata letteraria passando
dal gelo dei Balcani e della Siberia, a temperature decisamente più miti, ma
nelle quali la valenza simbolica del viaggio in treno rimane altissima.
E lo facciamo con Conversazioni
in Sicilia, di Elio Vittorini,
romanzo nel quale il protagonista, Silvestro Ferrauto, un tipografo
intellettuale di Siracusa trasferito a Milano da una quindicina d’anni,
affronterà un inatteso viaggio in treno, denso di incontri e di emozioni, per
tornare nella sua terra.
Si tratta di un romanzo che narra del ritorno alle origini ed è il romanzo-manifesto dell’impegno etico e
civile dell’autore.
«E
mi parve ch’essere là non mi fosse indifferente, e fui contento d’esserci
venuto, non esser rimasto a Siracusa, non aver ripreso il treno per l’Alta
Italia, non aver ancora finito il mio viaggio. Questo era il più importante
nell’esser là; non aver finito il mio viaggio; anzi, forse, averlo appena
cominciato»
Il nostro viaggio prosegue
con un romanzo nel quale assistiamo alla gente che va ad ammassarsi su un
convoglio che corre verso Parigi: Notte
in treno, di Irène Némirovsky.
È la notte in cui la Francia dichiara guerra alla Germania e nelle fitte pagine
di quest’autrice troviamo chi va ad abbracciare il proprio uomo in partenza per
il fronte, chi va a dare una mano, chi, invece, continua la solita routine. Il treno, l’attesa, la speranza fanno da scenario ad apparizioni fugaci, a battute tra sconosciuti, a miseri
bocconi di cibo racimolati qua e là e divisi con gli altri passeggeri,
raccontandoci della dignità di un
popolo nel presentimento di una incombente disgrazia.
«
Era la prima notte di
guerra. Nelle guerre e nelle rivoluzioni niente di più singolare di quei primi
istanti in cui si viene proiettati da una vita all’altra, senza fiato, come se
si cadesse dall’alto di un ponte, tutti vestiti, in un fiume profondo, senza
capire cosa sta succedendo, serbando nel cuore un’insensata speranza»
Lasciamo la Francia per
raggiungere un piccolo villaggio del Punjab.
Siamo nell’estate del 1947 e la
regione indiana si ritrova all’improvviso divisa tra due nazioni sorte dalla
fine dell'impero coloniale britannico nel subcontinente: l'India e il Pakistan.
A Mano Majra, un piccolo villaggio
lungo la linea ferroviaria che unisce Delhi a Lahore, dove fino al giorno prima
avevano convissuto musulmani, sikh e hindù, succede qualcosa di terribile:
muore un milione di persone e i treni affollati di profughi arrivavano a
destinazione carichi di cadaveri.
Questa è la trama di Quel treno per il Pakistan,
di Khushwant Singh e questo è il suo
incipit:
«L'estate
del 1947 non fu come le altre estati indiane. Quell'anno persino il tempo, in
India, sembrava diverso. Faceva più caldo del solito e tutto era più secco e
polveroso. E l'estate durò più a lungo. Nessuno ricordava un epoca in cui i
monsoni erano giunti con tanto ritardo. Per settimane, le rare nubi produssero
solo ombre. Niente pioggia. La gente continuò a dire che Dio li stava punendo
per i loro peccati.»
Magicamente il nostro
treno ci conduce in Italia, questa volta con Qualcosa era successo,
racconto di Dino Buzzati, ambientato
in una stazione ferroviaria.
Il racconto può
essere letto come metafora della corsa
della vita verso la morte inesorabile, oppure come un simbolo
dell’assurdità del progresso umano,
che ci conduce all’autodistruzione. Infatti,
l’autore lascia al lettore il compito di interpretare il testo, lasciandosi
avvolgere da un angosciante mistero.
Leggiamo insieme l’incipit:
«Il
treno aveva percorso solo pochi chilometri (e la strada era lunga, ci saremmo
fermati soltanto alla lontanissima stazione d'arrivo, così correndo per dieci
ore filate) quando a un passaggio a livello vidi dal finestrino una giovane
donna. Fu un caso, potevo guardare tante altre cose invece lo sguardo cadde su
di lei che non era bella né di sagoma piacente, non aveva proprio niente di
straordinario, chissà perché mi capitava di guardarla. Si era evidentemente
appoggiata alla sbarra per godersi la vista del nostro treno,
superdirettissimo, espresso del nord, simbolo per quelle popolazioni incolte,
di miliardi, vita facile, avventurieri, splendide valige di cuoio, celebrità,
dive cinematografiche, una volta al giorno questo meraviglioso spettacolo, e
assolutamente gratuito per giunta.
Ma
come il treno le passò davanti lei non guardò dalla nostra parte (eppure era là
ad aspettare forse da un'ora) bensì teneva la testa voltata indietro badando a
un uomo che arrivava di corsa dal fondo della via e urlava qualcosa che noi
naturalmente non potemmo udire»
Restiamo in Italia, però cambiando decisamente
registro, con un racconto novecentesco il cui mood è ancora una proiezione
dell’Ottocento, dominato dai vasti silenzi della vita campestre nel quale
irrompono i rumori inauditi e carichi di meraviglia dell’incipiente civiltà
industriale.
Il giardino incantato, di Italo
Calvino, tratto dalla raccolta Ultimo
viene il corvo, è la storia di Giovannino e Serenella, due adolescenti che decidono di seguire la strada ferrata in un pomeriggio
assolato.
Ecco l’incipit:
«Giovannino
e Serenella camminavano per la strada ferrata. Giù c'era un mare tutto squame
azzurro cupo azzurro chiaro; su, un cielo appena venato di nuvole bianche. I
binari erano lucenti e caldi che scottavano. Sulla strada ferrata si camminava
bene e si potevano fare tanti giochi: stare in equilibrio lui su un binario e
lei sull'altro e andare avanti tenendosi per mano, oppure saltare da una
traversina all'altra senza posare mai il piede sulle pietre. Giovannino e
Serenella erano stati a caccia di granchi e adesso avevano deciso di esplorare
la strada ferrata fin dentro la galleria. Giocare con Serenella era bello
perché non faceva come tutte le altre bambine che hanno sempre paura e si
mettono a piangere a ogni dispetto: quando Giovannino diceva: - Andiamo là, -
Serenella lo seguiva sempre senza discutere»
E dall’Italia ripartiamo
per terre lontane, con un romanzo cult: In Patagonia, di Bruce Chatwin.
In Patagonia è la cronaca di un viaggio che comincia a
Buenos Aires e procede verso Sud in maniera non sistematica, a piedi, con corriere, macchine, taxi, navi e, chiaramente, con i treni.
Come nella poesia Itaca di Kavafis, ciò che conta è il viaggio, non il fine.
Eccone uno stralcio:
«Il
treno partì con due fischi e uno scossone. Al nostro passaggio alcuni struzzi
dalle piume fluttuanti balzarono via dai binari. Le montagne erano grigie e si
intravvedevano appena nella foschia afosa. A volte un camion sporcava
l’orizzonte con una nube di polvere»
E siccome abbiamo detto
che il treno è mistero ed avventura, concludiamo il nostro viaggio scoprendo
insieme come Raimond Gregorius, insegnante di greco e latino in un liceo di Berna, si ritrova immischiato in una vicenda apparentemente indecifrabile
che lo porterà a salire su un treno
diretto a Lisbona per risolvere il caso di un mistero irrisolto.
Questa è la trama di Treno di notte per Lisbona,
di Pascal Mercier
Ed ecco il suo incipit:
«La
giornata a partire dalla quale la vita di Raymond Gregorius non sarebbe stata
più la stessa cominciò come innumerevoli altre giornate. Alle otto meno un
quarto arrivò da Bundesterrasse e imboccò il ponte di Kirchenfeld che dal
centro della città conduce al liceo. Era quello che faceva ogni giorno
dell’anno scolastico, immancabilmente alle otto meno un quarto. Una volta che
trovò il ponte bloccato, commise uno sbaglio durante la lezione di greco. Cosa
mai successa in precedenza e che non si sarebbe ripetuta più. Per giorni e
giorni a scuola non si parlò d’altro. Tanto più la discussione andava avanti,
tanto più aumentava il numero di coloro che attribuivano l’errore a una
distorta percezione uditiva. Tale convincimento finì per prevalere anche tra
gli allievi presenti al fatto. Non era concepibile che Mundus, come lo
chiamavano tutti, facesse un errore in greco, latino o ebraico.»
René Magritte, Time Transfixed (La durata pugnalata), 1938–1938
Art Institute of Chicago Building
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Last, but not least,
permettetemi di salutare gli amici
dell'antologia Attraverso, con i loro racconti dedicati al tema del viaggio, soprattutto coloro che hanno scelto
di ambientare le proprie novelle sui treni: Andrea Nikolaevic Ruffolo, con Venessia, finalmente e con Ai
confini della normalità; Enrico Costa e il suo treno per
Liverpool, in Penny Lane; Stefano
Lucarelli, con Allegro, andante, per niente umano; Giorgio Cavagnaro, con Il treno della Sera
G. De
Chirico, Stazione di Montparnasse, 1914 – Museum of Modern art, New York
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Edouard
Manet - Le Chemin de fer 1873-73 - National Gallery of art, Washington
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La mia rassegna letteraria
a bordo del treno si chiude qui, sperando che vi sia piaciuta, ma solo per
lasciare a voi la parola:
Quali sono i vostri
abbinamenti preferiti nel
binomio treni-libri?
Ho viaggiato a bordo di treni, quelli che restano per sempre, nonostante siano già da tempo passati. In ogni vagone che Clementina ha riempito con presenze indimenticabili, ho rivissuto il viaggio nelle sue molteplici sfaccettature esistenziali, ripercorrendo cicli della narrativa che rappresentano ancora oggi sentieri miliari, rotte che non si possono ignorare. Da Wilde, Agatha Christie, Pasternak, Dostojevski, fino ad arrivare ai contemporanei vittorini e Buzzati, il treno di Clementina ha percorso oltre un secolo di letteratura legato al treno come simbolo di viaggio, il viaggio esistenziale. Ogni autore lo ha vissuto a seconda del proprio intimo sentire, dimostrandoci che la vita e il treno sono strettamente connessi al nostro passaggio terreno. Mi avvicino per identità artistica e sensoriale a Buzzati che, in "Qualcosa era successo", evidenzia con grande capacità psicologica la corsa inarrestabile della vita verso la morte inesorabile. Analisi che mette in luce l'avanzamento tecnologico come primo nemico distruttivo dell'umanità. Che dire? Clementina mi ha di nuovo stupito con questo splendido articolo che ingegnosamente poggia le basi sulla narrativa, sulla psicologia, e semplicemente sull'anima che tende verso la luce, proprio come il treno dopo aver affrontato una lunga galleria. Grazie!
RispondiEliminaCarissima Annamaria,
Eliminami colpisce molto il passaggio nel quale indichi il treno come metafora della vita, perché corrisponde esattamente a ciò che avevo in mente mentre mi accingevo a scrivere questo post, senza averlo esplicitato. Sì, per me lo è senza dubbio alcuno. Sono sempre stata affascinata da quei convogli in arrivo e in partenza nelle stazioni e ancora oggi mi incantano, mi fanno sognare ad occhi aperti. Ma devo anche dire che se oggi sono ancora qui lo devo soprattutto ad una scelta che feci quando, ancora adolescente, decisi improvvisamente di non salire su un treno, che poco più tardi si sarebbe trasformato in un inferno di morte e disperazione. Ma questa è tutta un’altra storia…
Tornando alla nostra allegoria, devo dire che più di qualsiasi altro mezzo di trasporto, ritengo che il treno condivida analogie profonde con il senso della nostra vita. C’è sempre una stazione di partenza, che rappresenta la venuta al mondo, e quando sali incontri persone che condivideranno con te il tuo stesso viaggio, come quelle che trovi al tuo fianco fin dalla nascita. Con talune ti troverai a tuo agio, ti faranno star bene, invece altre ti ignoreranno o tu le ignorerai, altre ancora ti infastidiranno. Ma il treno ha molte fermate da compiere, così alcune di quelle persone scenderanno, magari proprio quelle che avresti voluto accanto fino in fondo, e ti lasceranno continuare da sola il viaggio. Ad ogni fermata c’è chi scende e altre persone salgono, così come nella vita si sciolgono legami e si fanno nuovi incontri. Tutti noi passeggeri, prima o poi, guardiamo il paesaggio scorrere fuori dal finestrino: solo quando il treno viaggia lentamente riesci a coglierne i dettagli e ciò che vedi in quel momento corrisponde al presente che stai vivendo. Appena il treno accelera il paesaggio sfuma e a mala pena riesci a conservarne il ricordo, mentre nuovi orizzonti si profilano sotto i tuoi occhi: è il futuro che si affaccia, gravido di promesse e di incertezze. E le stazioni si susseguono, una dopo l’altra, e ciascuna di esse rappresenta un tuo obiettivo: non sempre riesci a coglierne il senso, non sempre si centrano gli obiettivi nella vita, occorre anche una buona dose di fortuna. Ma tra una stazione e l’altra c’è il viaggio e quello conta molto, perché raffigura la tua esperienza: tutto ciò che apprendi, osservando, leggendo, studiando e attraverso le relazioni che intessi con chi ti sta accanto. Durante il viaggio possono accadere imprevisti di ogni tipo e, al di là dell’ascendenza della tua buona stella – che in ogni caso rimane un fattore estremamente importante – il risultato che ne conseguirà dipenderà dalla tua capacità di reagire adeguatamente alla situazione, e se vogliamo, anche dalla tua abilità nel saper cogliere i segnali che ti vengono dati.
Diversamente da ciò che accade quando prendi un treno, però, nella vita non ci è dato di conoscere in quale stazione dovremo scendere, anzi per meglio dire, la nostra libertà di scelta è decisamente più ridotta. Ecco allora che la metafora del treno ci viene nuovamente incontro, ricordandoci che la buona riuscita del viaggio dipenderà dalle buone relazioni che avremo saputo imbastire con gli altri passeggeri e nell’aver cercato di dare il meglio di noi in ogni circostanza, provando a dimostrarci comprensivi, generosi, gentili, utili.
Un abbraccio e ancora grazie del tuo generoso e luminoso passaggio.
Il treno è in assoluto il mio mezzo di locomozione preferito, in quanto puoi ammirare il panorama dal finestrino, riflettere, leggere, sonnecchiare, chiacchierare, passeggiare, mangiare, dormire fare in pratica ogni cosa senza l'assillo dell'attenzione causata dalla guida dell'automobile (infatti sono sempre stata una pessima guidatrice, troppo distratta)! Inoltre la "lentezza" del viaggio in treno ti permette di osservare il paesaggio che cambia continuamente, cosa del tutto impossibile dall'aereo. Si tratta di un vero microcosmo in movimento.
RispondiEliminaAssocio molto il treno ad alcuni dei romanzi che hai descritto così bene, ma soprattutto alla poesia di Carducci "Inno a Satana" che conobbi alla scuola media e che mi rimase impressa in modo indelebile. In quei versi "Un bello e orribile / Mostro si sferra, / Corre gli oceani, / Corre la terra: / Passa benefico / Di loco in loco / Su l'infrenabile / Carro del foco." mi sembrava proprio di sentire il rumore delle rotaie, il fischio della locomotiva e lo sferragliare dei vagoni. La cosa curiosa è che in generale detestavo Carducci, ma questa poesia no! Mi sono annotata il romanzo "Notte in treno" di Irène Némirovsky perché mi incuriosisce e vorrei leggerlo.
Cristina, carissima!!!!
EliminaPerbacco, non conoscevo questa potente poesia del Carducci, di lui mi è rimasta impressa – meglio dire marchiata a fuoco sulla pelle, dato che rientrava tra quelle doverosamente da imparare a memoria ai tempi delle elementari – la sua Pianto antico con la pargoletta mano e il verde melograno dai bei vermigli fior, poesia, tra l’altro, di tutt’altro tono.
Riguardo alla tua percezione del treno non posso che sentirmi in accordo (come ho abbondantemente rimarcato nella risposta al commento di Annamaria) e mi piace molto la tua definizione di microcosmo in movimento riferita al paesaggio che scorre dinanzi ai nostri occhi, guardando fuori dal finestrino.
Infine, vorrei fare una precisazione rispetto al libro di Irène Némirovsky, Notte in treno. Non si tratta di un vero e proprio romanzo, anzi, non vi è nessuna trama vera e propria, anzi, a differenza da tutti gli altri suoi romanzi, molto corposi e ben strutturati, qui ci si trova di fronte a poco più di una ventina di pagine sulle quali scorrono, senza sosta, ma con intensa profondità, pensieri, parole, espressioni di persone coinvolte e sconvolte in e da quel turbinio di eventi generato dalla dichiarazione di guerra della Francia alla Germania. Pur trattandosi di un’opera tanto esigua, dal punto di vista della quantità di pagine e dall’assenza di una classica struttura, essa si rivela al lettore alquanto potente e incisiva. La biografia dell’autrice, poi, ebrea di nascita, deportata dai nazisti nel campo di concentramento di Auschwitz, dove morì a soli 39 anni, ne rafforzano la portata. Per cui, sì, te ne consiglio vivamente la lettura e attendo di sentire cosa ne pensi.
Un abbraccione forte e a prestissimo!