Di recente ho ripreso in mano
un vecchio libro che conservo gelosamente, l’ho riletto e ho deciso di parlarne
qui sul mio blog.
Quelli della mia generazione
lo avranno approcciato in gioventù, altri lo avranno sentito citare più e più
volte, probabilmente qualcuno lo ignora ancora.
Per me il punto è che quel testo “ha voluto farsi ritrovare” e a mio modo di vedere se qualcosa “ti viene incontro” vuol dire che ti può servire.
Per me il punto è che quel testo “ha voluto farsi ritrovare” e a mio modo di vedere se qualcosa “ti viene incontro” vuol dire che ti può servire.
Sono prolissa?
Può darsi, ma concedetemelo
perché l’argomento merita un’introduzione graduale.
Prima
di chiarire la curiosa dinamica del ritrovamento del testo, lasciatemi svelare un
antefatto. Dovete sapere che la scorsa settimana, entrando come consuetudine
sul blog “Ivano Landi – Cronache del
tempo del Sogno” ho
avuto il piacere di leggere un magnifico articolo intitolato “Alice in Wonderland o delle Sei CoseImpossibili”.
Ebbene,
il pezzo in questione partecipa al TAG Alice in Wonderland, lanciato dalla
blogger Cuore Rotante e nato con lo scopo di (cito
testualmente): “creare un Tag con l’augurio che, come diceva la Regina ad
Alice, allenandoci giornalmente a pensare a sei cose impossibili, possiamo
avere quello stimolo in più che ci aiuti a credere che le giornate, a volte,
possano anche stupirci ed essere migliori delle nostre aspettative, andando al
di là di ogni nostro scetticismo.”
L’autrice, dopo aver fissato
l’obiettivo, ha posto le seguenti regole:
- inserire il logo di Alice in Wonderland (che vedete sopra)
- descrivere sei cose impossibili
- nominare tutti i follower che volete
Riprendendo il filo del discorso, dopo aver letto quel raffinatissimo post mi
sono sentita un po’ in imbarazzo.
A - L’OPERA CHE MI HA ISPIRATO
“Perché?” domanderete voi.
Perché son buoni tutti a parlare di argomenti veramente impossibili. Chi non sarebbe capace di scrivere: “vorrei che la malattia, la
miseria, il dolore e la morte sparissero dal nostro pianeta”? Più o meno
corrisponde alla quisquilia scodellata dall’ennesima Miss “Vattelapesca” di
turno, nel momento in cui è previsto il suo “discorso” durante la cerimonia di premiazione.
Mentre, quando si esorta a
riflettere sulla vera natura di noi stessi e di ciò che ci circonda – come ha
fatto Ivano, spingendo il ragionamento verso “un ideale di auto-realizzazione
cui tendere” – allora l’impossibile assume sfumature molto diverse, meno
“impossibili”, proprio in quanto soggettive e forse proprio per questo, più
delicate e profonde.
Per dirla tutta, lì per lì ho
risposto con un fragoroso e piccato “non posso”, dopodiché mi sono mossa a
spegnere il pc e ad abbandonare la scrivania.
Ma in quel preciso istante è
accaduto qualcosa di inatteso.
Mentre stavo per alzarmi dalla
sedia, le mie amiche a quattro zampe, le mie gatte – e i gatti, si sa,
c’entrano sempre in qualsivoglia situazione ;-) – hanno iniziato a rincorrersi
dietro le mie spalle attardandosi in un gioco, se vogliamo definirlo così, con
il quale si sollazzano di tanto in tanto. Durante l’esuberante
inseguimento (giusto per la cronaca, Kiki è uno scricciolo dispettoso e Pallina
pesa ben sette chili) lo scaffale dei libri riceve un tale scossone che uno dei
testi si sposta così tanto in avanti da cadere quasi a terra.
Volendo prender spunto dalla
favola di Alice, poteri dire che quel libro ha svolto la funzione del Bianconiglio!
“Stringi e dicci di che si
tratta!” mi sembra di sentirvi. ^_^
Chi preferisse saltare a piè pari questa parte per concentrarsi solo sul “meme” può passare al punto “B”.
L’opera in questione è un
libretto di un centinaio di pagine pubblicato la prima volta nel 1948 da un professore
tedesco di filosofia, certo Eugen Herrigel e si intitola Lo Zen e il tiro con l’arco (Adelphi,
1975).
Ora, senza dilungarmi troppo,
ma restando nell’ottica di dovervi fornire una spiegazione di senso, mi
soffermerò su alcuni passaggi chiave.
L’autore, invitato nel 1924 a
tenere corsi di filosofia all’Università del Tohoku, in Giappone e desideroso
di approfondire lo studio del buddismo Zen, chiede a un collega di aiutarlo a
entrare in contatto con un esperto del settore. Ma siamo nel 1924 e nessun
occidentale prima di lui si era mai occupato di Zen, così, per tutta risposta,
il collega interpellato gli consiglia di frequentare le lezioni di tiro con
l’arco del celebre Maestro Kenzo Awa.
Herrigel accetta, seppure con
molte perplessità, ma fin da subito rimane sorpreso: sarà il maestro a decidere
se egli potrà accedere ai suoi insegnamenti, oppure no. Pian piano si ritrova immerso in una cultura tanto diversa dalla propria ad apprendere una sequela di
gesti, apparentemente senza senso, che creano riflessioni, tanto inaspettate
quanto profonde.
Tuttavia, l’impresa si rivela difficilissima.
La sua radicata attitudine al
ragionamento lo induce a tentare un approccio, una postura e una tecnica
differenti da quelli suggeriti dal Maestro e, ostinandosi in quei goffi
tentativi non solo fallisce, ma si sente sempre più frustrato. I suoi gesti
sono inefficaci, ma lo sono altrettanto le sue intenzioni: il Maestro insiste
nel sottolineare quanto sia importante la forma che l’arco deve assumere nel
momento del tiro e quanto sia altrettanto importante che il gesto venga
compiuto senza che esso comporti alcuno sforzo fisico. Per la precisione le sue
parole sono le seguenti:
“Se l’arco è teso al massimo, allora esso
racchiude in sé il Tutto” (“Lo Zen e il tiro con
l’arco”, p. 32)
Non riuscendo a svincolarsi
dal retaggio occidentale di voler comprendere quel processo attraverso il
ragionamento, egli continua a provare tensione in tutto il corpo: le spalle
gli dolgono, braccia e mani si muovono a scatti e ogni volta, immancabilmente,
la freccia non raggiunge il bersaglio.
Eppure il Maestro gli dimostra
che ciò che insegna è possibile: davanti all’allievo imbraccia l’arco, incocca
la freccia, tende la corda mantenendo tutti i muscoli rilassati e il dardo vola
centrando l’obiettivo. Tutto nella sua figura appare armonioso, bellissimo e
soprattutto agevole. Ma non si limita a questo, fornisce altre preziose
indicazioni:
“Per tirare la corda lei non deve impiegare
l’intera forza del suo corpo… Solo quando sarà capace di questo soddisferà a
una delle condizioni per cui il tendere l’arco e lo scoccare la freccia
diventano ‘spirituali’.”.
Dopo settimane e settimane di
costante allenamento e continui fallimenti, il Maestro gli offre un altro
aiuto:
“Lei non ci riesce perché non
respira bene… Con questa respirazione lei non solo scoprirà l’origine di ogni
forza spirituale, ma otterrà che quella sorgente scorra sempre più abbondante e
si diffonda attraverso le sue membra tanto più facilmente quanto più lei sarà
rilassato” (“Lo Zen e il tiro con l’arco”, p. 36)
Trascorrono i mesi e Herrigel,
per scusarsi dei propri fallimenti, fa osservare al Maestro quanto i propri sforzi non diano alcun giovamento. Ed ecco la replica:
“È appunto perché lei si
sforza, perché ci pensa. Si concentri esclusivamente sulla respirazione, come
se non avesse altro da fare.” (“Lo Zen e il tiro con
l’arco”, p. 38)
Il filosofo si persuade che il
segreto per centrare il bersaglio consiste nel regolare la respirazione.
Trascorre un anno continuando ad allenarsi su essa e così facendo
riesce a tendere l’arco con potenza e al tempo senza fatica. Ma giunge il
momento di esercitarsi sul tiro. Non basta saper tendere l arco se poi non si fa scoccare la freccia. Ed ecco l’ulteriore insegnamento:
“Il colpo fila liscio solo se
sorprende il tiratore stesso.” (“Lo Zen e il tiro con
l’arco”, p. 44).
Seguono altri mesi di
infruttuoso esercizio e un altro ammonimento prezioso per condurlo a prendere coscienza di come l’iper-intenzionalità,
anziché potenziare l’efficacia e favorire la realizzazione del risultato, finisca
con l’alterare il naturale corso delle azioni, rendendole per ciò stesso
inefficaci:
“Il tiro giusto nel momento
giusto non viene perché lei non si stacca da esso. Lei non è teso verso il
compimento, ma attende il proprio fallimento… La vera arte è senza scopo e senza
intenzione! Quanto più lei si ostinerà a voler imparare a far partire la
freccia per colpire sicuramente il bersaglio, tanto meno le riuscirà l’una
cosa, tanto più si allontanerà dall’altra. Le è d’ostacolo una volontà troppo
volitiva. Lei pensa che ciò che non fa non avvenga.” (“Lo Zen e il tiro con
l’arco”, p. 46 e 47).
Colpito nell’orgoglio
l’allievo domanda cosa fare e il Maestro risponde:
“Imparare la giusta attesa…
Staccandosi da se stesso, lasciandosi dietro tanto decisamente se stesso e
tutto ciò che è suo, che di lei non rimanga altro che una tensione senza
intenzione”. (“Lo
Zen e il tiro con l’arco”, p. 48).
Riflettendo su questa frase scorge il senso di ciò che stava cercando nello Zen: la liberazione da se
stessi si trova sulla via che
conduce al vuoto, al distacco. Dando
per scontato di aver già compiuto il primo passo, con il rilassamento
fisico, immagina di poter far partire correttamente il colpo soltanto concentrandosi
sulla respirazione: concentrazione e
respirazione per raggiungere il vuoto.
Ma Herrigel continua a usare solo la mente, perciò non cogliendo il senso degli insegnamenti, fallisce ancora:
“Smetta di pensare… Eppure è
così semplice. Una comune foglia di bambù può insegnarle di cosa si tratta.
Sotto il peso della neve si piega in giù, sempre più in giù. E a un tratto il
carico di neve scivola via senza che la foglia si sia mossa.” (“Lo Zen e il tiro con l’arco”, p. 65 e 66).
Dopo ben quattro anni di lezioni di tiro con l’arco, senza centrare il bersaglio, torna con la mente alle tecniche acquisite
in passato per saper usare la pistola. Convinto di aver intrapreso la strada giusta, si esercita con le vecchie teorie, finché un giorno decide di metterle in pratica durante una lezione. Scocca una freccia con un tiro
senza inceppamenti, centra perfettamente il bersaglio, ma il Maestro, dopo
avergli fatto ripetere l’esercizio, gli
sottrae l’arco e gli gira le spalle. L’allievo non
è più degno delle sue lezioni perché ha tradito se stesso. Riprenderà il corso, ma a una condizione: deve impegnasi a distaccarsi
dall’Io:
“Lei non riesce nemmeno a
continuare a imparare senza chiedersi continuamente: ce la faro?... Quando lei
sarà veramente distaccato dall’Io potrà interrompere in qualsiasi momento”. (“Lo
Zen e il tiro con l’arco”, p. 70)
Trovandosi spiazzato,
rinuncia a porgere altre domande, vive alla giornata e anche gli sforzi
compiuti con tanta dedizione diventano indifferenti. Le
lezioni procedono, ma in lui è cambiato qualcosa: il Maestro lo ha portato al
distacco.
Proprio allora i suoi colpi iniziano a staccarsi “come un frutto maturo”. Anche il tempo è
maturo perché egli smetta definitivamente di cercare di comprendere con l’intelletto fenomeni incomprensibili eppure reali:
“… il ragno danza la sua rete
senza sapere che ci siano mosche che vi si impiglieranno. La mosca danzando
spensierata in un raggio di sole, s’impiglia nella rete senza sapere cosa
l’attende. Ma attraverso l’uno e l’altra ‘Si’ danza, e in quella danza interno
ed esterno sono una cosa sola. Così l’arciere colpisce il bersaglio senza aver
mirato esternamente.” . (“Lo Zen e il tiro con l’arco”, p. 78).
Dopo anni e anni l'allievo scioglierà
l’enigma e contestualmente inizierà a centrare il bersaglio con la freccia,
adottando l’approccio corretto.
La lezione è la seguente: la
lotta dell’arciere mette in gioco tutta la vita dell’arciere
perché essa “consiste nel fatto che il tiratore mira a se stesso – eppure non a se
stesso – e ciò facendo forse coglie se stesso – e anche qui non se stesso – e
così è insieme miratore e bersaglio, colui che colpisce e colui che è colpito…
l’arte diventa senz’arte, il tiro un non-tiro, un tiro senz’arco né freccia;
l’insegnante ridiventa allievo, il maestro un principiante, la fine un
principio e il principio un compimento.”. (“Lo Zen e il tiro con l’arco”, p. 19 e 20).
Il tiro con l’arco, dunque,
non mira a conseguire qualcosa di esterno, ma d’interno. Arco e freccia sono un
mezzo e non un fine. Non è la volontà di colpire il centro a guidare la freccia
verso il bersaglio, bensì la capacità dell’arciere di “lasciar cadere ogni
intenzione”, dedicandosi con spirito fermo e determinazione
a penetrare ogni aspetto della tecnica, applicando quella “tensione senza
intenzione” che renderà il tiro perfetto.
Chi intraprende questa strada deve superare e lasciar dietro di sé tante cose per incontrare
finalmente la verità. Tante volte sul suo cammino egli sarà tormentato dal desiderio di cercare l’impossibile:
“Eppure viene il giorno in cui
questo impossibile diventa possibile, anzi persino ovvio.” (“Lo
Zen e il tiro con l’arco”, p. 24).
B - LE MIE SEI COSE “IMPOSSIBILI”
UNO: Prender
spunto da questo libretto per ricordarmi
ogni giorno che tutto dipende da me e non dagli altri. Concentrarmi a far emergere
il meglio delle mie energie (anziché sperare nel sostegno esterno) mi
permetterà di trasformare il mio mondo interiore per agire su quello esteriore.
DUE: Come
il Maestro insegna a Herrigel che non è la volontà di colpire il centro a
guidare la freccia verso il bersaglio, bensì la capacità dell’arciere di
“lasciar cadere ogni intenzione”, anch’io aspiro
a stabilire ciò che desidero, senza fantasticare, senza farmi scoraggiare dagli eventi, senza
permettere loro di ossessionarmi, senza cercare di piegarli verso una direzione
più favorevole, ma semplicemente mettendomi
in gioco. Quindi, escludendo qualsivoglia atteggiamento di fatalismo
rassegnato o rinunciatario, scelgo di tenere sempre i piedi a terra, analizzare
ciò che mi circonda, prendere decisioni con consapevolezza, anche evitando di
concedere favori a chi non li merita.
TRE: Così
come la lotta dell’arciere è la lotta per la vita, anch’io desidero ricordarmi tutti i giorni che se voglio ottenere
qualcosa devo sfidare me stessa, con il sorriso sulle labbra. Sforzarsi di superare
i propri limiti non significa trasformarsi in super-eroi, ma abbattere
pregiudizi e oltrepassare le barriere da noi create nella vita quotidiana ;-)
QUATTRO:
Riflettendo sulla condizione che
ciascuno avrà sperimentato in vita sua durante uno stato di ansia da
anticipazione, quando un evento futuro (peraltro solo probabile e non certo) appare
così reale da scatenare reazioni emotive, psichiche e fisiche che solo il
verificarsi di quello stesso evento giustificherebbe, mi sono posta una
domanda. Dove ci troviamo realmente in quel frangente? Dov’è il nostro essere
cosciente? La risposta è: da nessuna parte; e se non siamo da nessuna parte,
allora semplicemente non siamo. O meglio, siamo in un sogno che nemmeno possiamo
cambiare, ma solo subire. Il mio quinto punto, che si lega a doppio filo alla
situazione contingente sia pubblica che privata, è dunque il seguente: se non ci piace
ciò che vediamo intorno a noi, non agitiamoci, non facciamo mille ipotesi per
nulla. Invece, svegliamoci e distinguiamo
ciò che è reale da ciò che è solo ricordo, proiezione, immaginazione. In
pratica, prendiamo coscienza delle cose per non lasciare che peggiorino e passiamo
all’azione con un gesto alla nostra
portata che sarà mirato a cambiare il qui e ora!
CINQUE:
Un’altra delle cose a cui aspiro, senza dubbio, è non dimenticare che gli ostacoli sono anche opportunità. Chi
non si è mai trovato a maledire gli imprevisti? Ma serve a qualcosa? Secondo me,
no. È molto più utile sfruttarli per motivarci ancora un po’ tirando fuori
qualità sopite, tanto più che se tentiamo di accantonarli la vita ce li metterà
di fronte di nuovo, finché non ci decideremo a rivedere alcuni nostri errori. È
dura, eh? Infatti rientra nell’elenco delle cose “impossibili”!
SEI: Eccomi
all’ultimo punto, che poi ultimo non è. Partendo dall’idea che lamentarsi non
porti mai da nessuna parte, aspiro ad allontanarmi
da ciò che mi fa star male, sia abbandonando chi mi cerca soltanto per
scaricarmi addosso lamentele, paure e giudizi negativi su ogni cosa, senza
apportare mai nulla di positivo nella mia vita (quelle che il Dalai Lama
definisce “persone tossiche”) e sia
prendendo le distanze da situazioni che, alimentando rabbia e rancore (non sto
parlando di indignazione, cosa assai diversa e più nobile), mi spingono a
prendere decisioni sbagliate.
C - LE MIE NOMINE
Tutti quelli che hanno voglia
di partecipare al tag sono liberi di farlo. Buon lavoro! :-)
Fonti
bibliografiche e iconografiche:
Eugen Herrigel, Lo Zen e il tiro con l’arco. Adelphi, 1985
L’immagine del libro è tratta
da https://www.adelphi.it/libro/9788845901775
L’immagine di Alice e il
Bianconiglio proviene da http://www.movieforkids.it/cinema/alice-nel-paese-delle-meraviglie/2785/
Belle le tue sei cose impossibili! Come ho scritto anche da altre parti, non so se parteciperò mai a questo meme però è indubitabilmente carino e diverso dai soliti.
RispondiEliminaGrazie di esser passato, Nick. Sono davvero contenta che ti piacciano le mie sei cose "impossibili". Dunque, rispetto al discorso sui meme, premetto che io devo ancora partecipare al Frank-meme che ho gradito tantissimo proprio per la sua formula e pian piano ci arriverò (anche perché ci tengo). Detto questo, credo che i meme siano sempre una grande opportunità.
EliminaEpperò!
RispondiEliminaIo lo chiamo destino. Così è stato perchè doveva essere. E i gatti... animali magici!
Le tue ose impossibili sono favolose. Questo si chiama conoscersi e capirsi :)
Ciao Pat, grazieeeeeee! ^__^
EliminaSì, ognuno di noi lo chiama come preferisce perché l'importante è intendersi: sono d'accordo. :)
Feci già questo giochino, molto interessante soprattutto per come lo hai sviluppato.
RispondiEliminaCerto, essere zen è un conto, ma la vita spesso ci vuole in tutt'altro modo.
Una via di mezzo? Almeno per far centro con le frecce di quell'arco?^^
Moz-
Accipicchia, Micki, mi chiedi scorciatoie! :D :D
EliminaSeguire la dottrina Zen, o qualsiasi altra dottrina buddista non è mai facile: chi lo fa sa che richiede costanza e coerenza tra ciò che fai, che pensi, che dici... e poi, invece, c'è chi preferisce vie meno impegnative. Ma perché no? Va bene anche così ;)
Indubbiamente hai trasformato il meme in una riflessione molto seria e profonda su te stessa.
RispondiEliminaMi viene spontaneo pensare che le sei cose che ti prefiggi non siano del tutto impossibili da realizzare per te. O no? :)
Grazie Luana! :) :)
EliminaNon sono impossibili, infatti, ma nemmeno tanto facili: ti devi sforzare di determinare ogni giorno quale via seguire. Quindi ti metti in gioco costantemente facendoti carico delle responsabilità delle tue scelte, delle tue azioni (o delle tue non azioni) :)
Devo dire che quando ho letto "Adelphi, 1985" per un momento mi sono sentito spiazzato, visto che in base ai miei ricordi avevo letto il libro nel decennio precedente. Ho infatti verificato e la prima edizione è del 1975 (sospiro di sollievo). Chiarito ciò, ti ringrazio sia per aver partecipato al meme in modo così brillante e, va detto, così Zen, sia per aver speso tante parole di elogio per la mia versione del medesimo. Meno male che, complici i gatti e l'esilità del libro, ti si è presentata questa occasione di ritornare sui tuoi passi dopo l'iniziale "non posso" ^__^
RispondiEliminaTi allego, per finire, una citazione da Proust che io da ultimo non ho utilizzato ma mi sembra intonarsi bene anche alla tua versione del meme:
"Tutta l’arte di vivere consiste nel servirci delle persone che ci fanno soffrire come un gradino che ci permetta di accedere alla loro forma divina, e popolare in tal modo gioiosamente la nostra vita di divinità."
Stupenda citazione, grazieeee, direi perfetta per questo post... ^__^
EliminaGli elogi al tuo meme erano più che doverosi: mi aveva lasciata talmente di stucco che avevo inizialmente dato forfait :) :D ;) ma poi, per fortuna son tornata sui miei passi 🐾 ^__^
Che dici, è il caso di modificare la data dell'edizione Adelphi direttamente sul post?
Potrebbe essere conveniente. Così come è ora potrebbe perfino sembrare un refuso, come se avessi battuto l'8 al posto del 7.
EliminaSono d'accordo: fatto!
EliminaCon questo libro mi hai fatto venire in mente il bizzarro caso editoriale di "Norwegian wood. Il metodo scandinavo per tagliare, accatastare & scaldarsi con la legna" di Lars Mytting, che solo apparentemente sembra parlare dell'attività del taglio della legna, mentre in realtà parla della cultura norvegese fatta di sottotesti ridottissimi.
RispondiEliminaCiao Marco!
EliminaPensa che non l'ho mai letto quel libro di Mytting, ma ne avevo sentito parlare. Ecco, per quel poco che so l'autore ha riversato in uno pseudo manuale tutto l'amore per la sua terra, per il gelo, per i gesti apparentemente semplici che in realtà non lo sono affatto, ma sono il frutto di una storia di generazioni dopo generazioni. In fondo mi sembra molto molto Zen.
Questa volta hai toccato proprio una delle mie... corde! Intanto mi hai fatto venire voglia di rileggere quel piccolo libro, che oggi posso sicuramente comprendere meglio che in passato. Quanto ai tuoi punti, sono così importanti che li condivido tutti, nessuno escluso. Imparare a "togliersi di mezzo" quando è il momento per lasciare che le cose accadano è molto, molto difficile, ma ha un enorme valore. Bellissimo post - ma qui mi ripeto... ;)
RispondiEliminaCiao Grazia!
EliminaÈ decisamente difficile lasciare che le cose accadano senza metterci di continuo "il becco", ma sappiamo che è altrettanto fondamentale percorrere questa strada.
Una strada, tra l'altro, tutta in salita e che richiede un costante allenamento. :-)
Davvero accattivante l'insegnamento contenuto in "Lo Zen e il tiro con l’arco", l'atteggiamento del professore mi ricorda molto anche certe ansie da prestazione di tipo narrativo... ;)
RispondiEliminaSto elaborando mentalmente le mie sei cose impossibili, che però vedranno la luce tra due settimane perché questo sabato c'è la seconda parte di quello che sai. ^_^
Come vedi, tutto si collega e anche le ansie da prestazione narrativa rientrano a pieno titolo nel calderone... lo confermo! ;-) :D
EliminaChe bello, così questo sabato arriva la seconda parte del "malloppo" su Emmeline e il prossimo leggeremo le tue sei cose impossibili ^__^
Bella riflessione zen, mi sembra di vedere me quando medito :-)
RispondiEliminaScusa se non prendo l'iniziativa per farla mia, ma sto lavorando moltissimo e non ho il tempo necessario.
Un abbraccio.
:D Ti ringrazio di essere passata, Francesca e non preoccuparti; saperti piena di lavoro è comunque positivo, visto i tempi!
EliminaRicambio l'abbraccio.
Ma che bello è questo post!? E' vero che non li ho letti tutti ma questo è il piùissimo bellissimissimo che ho letto! Poi i tuoi 6 punti sono meravigliosi! Brava, brava, brava
RispondiEliminaWow, che bello il tuo apprezzamento, ne sono lusingata!
EliminaDeduco che condividi i miei 6 punti: evviva e grazie infinite ^__^