lunedì 26 febbraio 2018

Alice in Wonderland, le mie sei cose impossibili





Di recente ho ripreso in mano un vecchio libro che conservo gelosamente, l’ho riletto e ho deciso di parlarne qui sul mio blog.
Quelli della mia generazione lo avranno approcciato in gioventù, altri lo avranno sentito citare più e più volte, probabilmente qualcuno lo ignora ancora.

Per me il punto è che quel testo “ha voluto farsi ritrovare” e a mio modo di vedere se qualcosa “ti viene incontro” vuol dire che ti può servire.
Sono prolissa?
Può darsi, ma concedetemelo perché l’argomento merita un’introduzione graduale.

Prima di chiarire la curiosa dinamica del ritrovamento del testo, lasciatemi svelare un antefatto. Dovete sapere che la scorsa settimana, entrando come consuetudine sul blog “Ivano Landi – Cronache del tempo del Sogno” ho avuto il piacere di leggere un magnifico articolo intitolato “Alice in Wonderland o delle Sei CoseImpossibili.

Ebbene, il pezzo in questione partecipa al TAG Alice in Wonderland, lanciato dalla blogger Cuore Rotante e nato con lo scopo di (cito testualmente): “creare un Tag con l’augurio che, come diceva la Regina ad Alice, allenandoci giornalmente a pensare a sei cose impossibili, possiamo avere quello stimolo in più che ci aiuti a credere che le giornate, a volte, possano anche stupirci ed essere migliori delle nostre aspettative, andando al di là di ogni nostro scetticismo.” 

L’autrice, dopo aver fissato l’obiettivo, ha posto le seguenti regole:
  1.      inserire il logo di Alice in Wonderland (che vedete sopra)
  2.      descrivere sei cose impossibili
  3.      nominare tutti i follower che volete


Riprendendo il filo del discorso, dopo aver letto quel raffinatissimo post mi sono sentita un po’ in imbarazzo. 
“Perché?” domanderete voi.
Perché son buoni tutti a parlare di argomenti veramente impossibili. Chi non sarebbe capace di scrivere: “vorrei che la malattia, la miseria, il dolore e la morte sparissero dal nostro pianeta”? Più o meno corrisponde alla quisquilia scodellata dall’ennesima Miss “Vattelapesca” di turno, nel momento in cui è previsto il suo “discorso” durante la cerimonia di premiazione.
Mentre, quando si esorta a riflettere sulla vera natura di noi stessi e di ciò che ci circonda – come ha fatto Ivano, spingendo il ragionamento verso “un ideale di auto-realizzazione cui tendere” – allora l’impossibile assume sfumature molto diverse, meno “impossibili”, proprio in quanto soggettive e forse proprio per questo, più delicate e profonde.

Per dirla tutta, lì per lì ho risposto con un fragoroso e piccato “non posso”, dopodiché mi sono mossa a spegnere il pc e ad abbandonare la scrivania.

Ma in quel preciso istante è accaduto qualcosa di inatteso.
Mentre stavo per alzarmi dalla sedia, le mie amiche a quattro zampe, le mie gatte – e i gatti, si sa, c’entrano sempre in qualsivoglia situazione ;-) – hanno iniziato a rincorrersi dietro le mie spalle attardandosi in un gioco, se vogliamo definirlo così, con il quale si sollazzano di tanto in tanto. Durante l’esuberante inseguimento (giusto per la cronaca, Kiki è uno scricciolo dispettoso e Pallina pesa ben sette chili) lo scaffale dei libri riceve un tale scossone che uno dei testi si sposta così tanto in avanti da cadere quasi a terra.

Volendo prender spunto dalla favola di Alice, poteri dire che quel libro ha svolto la funzione del Bianconiglio!

“Stringi e dicci di che si tratta!” mi sembra di sentirvi. ^_^


A -  L’OPERA CHE MI HA ISPIRATO



Chi preferisse saltare a piè pari questa parte per concentrarsi solo sul “meme” può passare al punto “B”.

L’opera in questione è un libretto di un centinaio di pagine pubblicato la prima volta nel 1948 da un professore tedesco di filosofia, certo Eugen Herrigel e si intitola Lo Zen e il tiro con l’arco (Adelphi, 1975). 

Ora, senza dilungarmi troppo, ma restando nell’ottica di dovervi fornire una spiegazione di senso, mi soffermerò su alcuni passaggi chiave.

L’autore, invitato nel 1924 a tenere corsi di filosofia all’Università del Tohoku, in Giappone e desideroso di approfondire lo studio del buddismo Zen, chiede a un collega di aiutarlo a entrare in contatto con un esperto del settore. Ma siamo nel 1924 e nessun occidentale prima di lui si era mai occupato di Zen, così, per tutta risposta, il collega interpellato gli consiglia di frequentare le lezioni di tiro con l’arco del celebre Maestro Kenzo Awa.
Herrigel accetta, seppure con molte perplessità, ma fin da subito rimane sorpreso: sarà il maestro a decidere se egli potrà accedere ai suoi insegnamenti, oppure no. Pian piano si ritrova immerso in una cultura tanto diversa dalla propria ad apprendere una sequela di gesti, apparentemente senza senso, che creano riflessioni, tanto inaspettate quanto profonde.
Tuttavia, l’impresa si rivela difficilissima.

La sua radicata attitudine al ragionamento lo induce a tentare un approccio, una postura e una tecnica differenti da quelli suggeriti dal Maestro e, ostinandosi in quei goffi tentativi non solo fallisce, ma si sente sempre più frustrato. I suoi gesti sono inefficaci, ma lo sono altrettanto le sue intenzioni: il Maestro insiste nel sottolineare quanto sia importante la forma che l’arco deve assumere nel momento del tiro e quanto sia altrettanto importante che il gesto venga compiuto senza che esso comporti alcuno sforzo fisico. Per la precisione le sue parole sono le seguenti:
Se l’arco è teso al massimo, allora esso racchiude in sé il Tutto (“Lo Zen e il tiro con l’arco”, p. 32)

Non riuscendo a svincolarsi dal retaggio occidentale di voler comprendere quel processo attraverso il ragionamento, egli continua a provare tensione in tutto il corpo: le spalle gli dolgono, braccia e mani si muovono a scatti e ogni volta, immancabilmente, la freccia non raggiunge il bersaglio.
Eppure il Maestro gli dimostra che ciò che insegna è possibile: davanti all’allievo imbraccia l’arco, incocca la freccia, tende la corda mantenendo tutti i muscoli rilassati e il dardo vola centrando l’obiettivo. Tutto nella sua figura appare armonioso, bellissimo e soprattutto agevole. Ma non si limita a questo, fornisce altre preziose indicazioni:
Per tirare la corda lei non deve impiegare l’intera forza del suo corpo… Solo quando sarà capace di questo soddisferà a una delle condizioni per cui il tendere l’arco e lo scoccare la freccia diventano ‘spirituali’.”.

Dopo settimane e settimane di costante allenamento e continui fallimenti, il Maestro gli offre un altro aiuto:
“Lei non ci riesce perché non respira bene… Con questa respirazione lei non solo scoprirà l’origine di ogni forza spirituale, ma otterrà che quella sorgente scorra sempre più abbondante e si diffonda attraverso le sue membra tanto più facilmente quanto più lei sarà rilassato” (“Lo Zen e il tiro con l’arco”, p. 36)

Trascorrono i mesi e Herrigel, per scusarsi dei propri fallimenti, fa osservare al Maestro quanto i propri sforzi non diano alcun giovamento. Ed ecco la replica:
“È appunto perché lei si sforza, perché ci pensa. Si concentri esclusivamente sulla respirazione, come se non avesse altro da fare.” (“Lo Zen e il tiro con l’arco”, p. 38)

Il filosofo si persuade che il segreto per centrare il bersaglio consiste nel regolare la respirazione. Trascorre un anno continuando ad allenarsi su essa e così facendo riesce a tendere l’arco con potenza e al tempo senza fatica. Ma giunge il momento di esercitarsi sul tiro. Non basta saper tendere l arco se poi non si fa scoccare la freccia. Ed ecco l’ulteriore insegnamento:
“Il colpo fila liscio solo se sorprende il tiratore stesso.” (“Lo Zen e il tiro con l’arco”, p. 44).

Seguono altri mesi di infruttuoso esercizio e un altro ammonimento prezioso per condurlo a prendere coscienza di come l’iper-intenzionalità, anziché potenziare l’efficacia e favorire la realizzazione del risultato, finisca con l’alterare il naturale corso delle azioni, rendendole per ciò stesso inefficaci:
“Il tiro giusto nel momento giusto non viene perché lei non si stacca da esso. Lei non è teso verso il compimento, ma attende il proprio fallimento… La vera arte è senza scopo e senza intenzione! Quanto più lei si ostinerà a voler imparare a far partire la freccia per colpire sicuramente il bersaglio, tanto meno le riuscirà l’una cosa, tanto più si allontanerà dall’altra. Le è d’ostacolo una volontà troppo volitiva. Lei pensa che ciò che non fa non avvenga.” (“Lo Zen e il tiro con l’arco”, p. 46 e 47).

Colpito nell’orgoglio l’allievo domanda cosa fare e il Maestro risponde:
“Imparare la giusta attesa… Staccandosi da se stesso, lasciandosi dietro tanto decisamente se stesso e tutto ciò che è suo, che di lei non rimanga altro che una tensione senza intenzione”. (“Lo Zen e il tiro con l’arco”, p. 48).
Riflettendo su questa frase scorge il senso di ciò che stava cercando nello Zen: la liberazione da se stessi si trova sulla via che conduce al vuoto, al distacco. Dando per scontato di aver già compiuto il primo passo, con il rilassamento fisico, immagina di poter far partire correttamente il colpo soltanto concentrandosi sulla respirazione: concentrazione e respirazione per raggiungere il vuoto 

Ma Herrigel continua a usare solo la mente, perciò non cogliendo il senso degli insegnamenti, fallisce ancora:
“Smetta di pensare… Eppure è così semplice. Una comune foglia di bambù può insegnarle di cosa si tratta. Sotto il peso della neve si piega in giù, sempre più in giù. E a un tratto il carico di neve scivola via senza che la foglia si sia mossa.” (“Lo Zen e il tiro con l’arco, p. 65 e 66).

Dopo ben quattro anni di lezioni di tiro con l’arco, senza centrare il bersaglio, torna con la mente alle tecniche acquisite in passato per saper usare la pistola. Convinto di aver intrapreso la strada giusta, si esercita con le vecchie teorie, finché un giorno decide di metterle in pratica durante una lezione. Scocca una freccia con un tiro senza inceppamenti, centra perfettamente il bersaglio, ma il Maestro, dopo avergli fatto ripetere l’esercizio, gli sottrae l’arco e gli gira le spalle. L’allievo non è più degno delle sue lezioni perché ha tradito se stesso. Riprenderà il corso, ma a una condizione: deve impegnasi a distaccarsi dall’Io:
“Lei non riesce nemmeno a continuare a imparare senza chiedersi continuamente: ce la faro?... Quando lei sarà veramente distaccato dall’Io potrà interrompere in qualsiasi momento”. (“Lo Zen e il tiro con l’arco, p. 70)

Trovandosi spiazzato, rinuncia a porgere altre domande, vive alla giornata e anche gli sforzi compiuti con tanta dedizione diventano indifferenti. Le lezioni procedono, ma in lui è cambiato qualcosa: il Maestro lo ha portato al distacco. 
Proprio allora i suoi colpi iniziano a staccarsi “come un frutto maturo”. Anche il tempo è maturo perché egli smetta definitivamente di cercare di comprendere con l’intelletto fenomeni incomprensibili eppure reali:
“… il ragno danza la sua rete senza sapere che ci siano mosche che vi si impiglieranno. La mosca danzando spensierata in un raggio di sole, s’impiglia nella rete senza sapere cosa l’attende. Ma attraverso l’uno e l’altra ‘Si’ danza, e in quella danza interno ed esterno sono una cosa sola. Così l’arciere colpisce il bersaglio senza aver mirato esternamente.” . (“Lo Zen e il tiro con l’arco, p. 78).

Dopo anni e anni l'allievo scioglierà l’enigma e contestualmente inizierà a centrare il bersaglio con la freccia, adottando l’approccio corretto.

La lezione è la seguente: la lotta dell’arciere mette in gioco tutta la vita dell’arciere perché essa “consiste nel fatto che il tiratore mira a se stesso – eppure non a se stesso – e ciò facendo forse coglie se stesso – e anche qui non se stesso – e così è insieme miratore e bersaglio, colui che colpisce e colui che è colpito… l’arte diventa senz’arte, il tiro un non-tiro, un tiro senz’arco né freccia; l’insegnante ridiventa allievo, il maestro un principiante, la fine un principio e il principio un compimento.”. (“Lo Zen e il tiro con l’arco”, p. 19 e 20).

Il tiro con l’arco, dunque, non mira a conseguire qualcosa di esterno, ma d’interno. Arco e freccia sono un mezzo e non un fine. Non è la volontà di colpire il centro a guidare la freccia verso il bersaglio, bensì la capacità dell’arciere di “lasciar cadere ogni intenzione”, dedicandosi con spirito fermo e determinazione a penetrare ogni aspetto della tecnica, applicando quella “tensione senza intenzione” che renderà il tiro perfetto.
Chi intraprende questa strada deve superare e lasciar dietro di sé tante cose per incontrare finalmente la verità. Tante volte sul suo cammino egli sarà tormentato dal desiderio di cercare l’impossibile:
“Eppure viene il giorno in cui questo impossibile diventa possibile, anzi persino ovvio.” (“Lo Zen e il tiro con l’arco, p. 24).


B - LE MIE SEI COSE “IMPOSSIBILI”



UNO: Prender spunto da questo libretto per ricordarmi ogni giorno che tutto dipende da me e non dagli altri. Concentrarmi a far emergere il meglio delle mie energie (anziché sperare nel sostegno esterno) mi permetterà di trasformare il mio mondo interiore per agire su quello esteriore.

DUE: Come il Maestro insegna a Herrigel che non è la volontà di colpire il centro a guidare la freccia verso il bersaglio, bensì la capacità dell’arciere di “lasciar cadere ogni intenzione”, anch’io aspiro a stabilire ciò che desidero, senza fantasticare,  senza farmi scoraggiare dagli eventi, senza permettere loro di ossessionarmi, senza cercare di piegarli verso una direzione più favorevole, ma semplicemente mettendomi in gioco. Quindi, escludendo qualsivoglia atteggiamento di fatalismo rassegnato o rinunciatario, scelgo di tenere sempre i piedi a terra, analizzare ciò che mi circonda, prendere decisioni con consapevolezza, anche evitando di concedere favori a chi non li merita.

TRE: Così come la lotta dell’arciere è la lotta per la vita, anch’io desidero ricordarmi tutti i giorni che se voglio ottenere qualcosa devo sfidare me stessa, con il sorriso sulle labbra. Sforzarsi di superare i propri limiti non significa trasformarsi in super-eroi, ma abbattere pregiudizi e oltrepassare le barriere da noi create nella vita quotidiana ;-)

QUATTRO: Riflettendo  sulla condizione che ciascuno avrà sperimentato in vita sua durante uno stato di ansia da anticipazione, quando un evento futuro (peraltro solo probabile e non certo) appare così reale da scatenare reazioni emotive, psichiche e fisiche che solo il verificarsi di quello stesso evento giustificherebbe, mi sono posta una domanda. Dove ci troviamo realmente in quel frangente? Dov’è il nostro essere cosciente? La risposta è: da nessuna parte; e se non siamo da nessuna parte, allora semplicemente non siamo. O meglio, siamo in un sogno che nemmeno possiamo cambiare, ma solo subire. Il mio quinto punto, che si lega a doppio filo alla situazione contingente sia pubblica che privata, è dunque il seguente: se non ci piace ciò che vediamo intorno a noi, non agitiamoci, non facciamo mille ipotesi per nulla. Invece, svegliamoci e distinguiamo ciò che è reale da ciò che è solo ricordo, proiezione, immaginazione. In pratica, prendiamo coscienza delle cose per non lasciare che peggiorino e passiamo all’azione con un gesto alla nostra portata che sarà mirato a cambiare il qui e ora!

CINQUE: Un’altra delle cose a cui aspiro, senza dubbio, è non dimenticare che gli ostacoli sono anche opportunità. Chi non si è mai trovato a maledire gli imprevisti? Ma serve a qualcosa? Secondo me, no. È molto più utile sfruttarli per motivarci ancora un po’ tirando fuori qualità sopite, tanto più che se tentiamo di accantonarli la vita ce li metterà di fronte di nuovo, finché non ci decideremo a rivedere alcuni nostri errori. È dura, eh? Infatti rientra nell’elenco delle cose “impossibili”!

SEI: Eccomi all’ultimo punto, che poi ultimo non è. Partendo dall’idea che lamentarsi non porti mai da nessuna parte, aspiro ad allontanarmi da ciò che mi fa star male, sia abbandonando chi mi cerca soltanto per scaricarmi addosso lamentele, paure e giudizi negativi su ogni cosa, senza apportare mai nulla di positivo nella mia vita (quelle che il Dalai Lama definisce “persone tossiche”)  e sia prendendo le distanze da situazioni che, alimentando rabbia e rancore (non sto parlando di indignazione, cosa assai diversa e più nobile), mi spingono a prendere decisioni sbagliate.  


C - LE MIE NOMINE

Tutti quelli che hanno voglia di partecipare al tag sono liberi di farlo. Buon lavoro! :-)


Fonti bibliografiche e iconografiche:

Eugen Herrigel, Lo Zen e il tiro con l’arco. Adelphi, 1985
L’immagine del libro è tratta da https://www.adelphi.it/libro/9788845901775
L’immagine di Alice e il Bianconiglio proviene da http://www.movieforkids.it/cinema/alice-nel-paese-delle-meraviglie/2785/



  

22 commenti:

  1. Belle le tue sei cose impossibili! Come ho scritto anche da altre parti, non so se parteciperò mai a questo meme però è indubitabilmente carino e diverso dai soliti.

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    1. Grazie di esser passato, Nick. Sono davvero contenta che ti piacciano le mie sei cose "impossibili". Dunque, rispetto al discorso sui meme, premetto che io devo ancora partecipare al Frank-meme che ho gradito tantissimo proprio per la sua formula e pian piano ci arriverò (anche perché ci tengo). Detto questo, credo che i meme siano sempre una grande opportunità.

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  2. Epperò!
    Io lo chiamo destino. Così è stato perchè doveva essere. E i gatti... animali magici!
    Le tue ose impossibili sono favolose. Questo si chiama conoscersi e capirsi :)

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    1. Ciao Pat, grazieeeeeee! ^__^
      Sì, ognuno di noi lo chiama come preferisce perché l'importante è intendersi: sono d'accordo. :)

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  3. Feci già questo giochino, molto interessante soprattutto per come lo hai sviluppato.
    Certo, essere zen è un conto, ma la vita spesso ci vuole in tutt'altro modo.
    Una via di mezzo? Almeno per far centro con le frecce di quell'arco?^^

    Moz-

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    1. Accipicchia, Micki, mi chiedi scorciatoie! :D :D
      Seguire la dottrina Zen, o qualsiasi altra dottrina buddista non è mai facile: chi lo fa sa che richiede costanza e coerenza tra ciò che fai, che pensi, che dici... e poi, invece, c'è chi preferisce vie meno impegnative. Ma perché no? Va bene anche così ;)

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  4. Indubbiamente hai trasformato il meme in una riflessione molto seria e profonda su te stessa.
    Mi viene spontaneo pensare che le sei cose che ti prefiggi non siano del tutto impossibili da realizzare per te. O no? :)

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    1. Grazie Luana! :) :)
      Non sono impossibili, infatti, ma nemmeno tanto facili: ti devi sforzare di determinare ogni giorno quale via seguire. Quindi ti metti in gioco costantemente facendoti carico delle responsabilità delle tue scelte, delle tue azioni (o delle tue non azioni) :)

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  5. Devo dire che quando ho letto "Adelphi, 1985" per un momento mi sono sentito spiazzato, visto che in base ai miei ricordi avevo letto il libro nel decennio precedente. Ho infatti verificato e la prima edizione è del 1975 (sospiro di sollievo). Chiarito ciò, ti ringrazio sia per aver partecipato al meme in modo così brillante e, va detto, così Zen, sia per aver speso tante parole di elogio per la mia versione del medesimo. Meno male che, complici i gatti e l'esilità del libro, ti si è presentata questa occasione di ritornare sui tuoi passi dopo l'iniziale "non posso" ^__^

    Ti allego, per finire, una citazione da Proust che io da ultimo non ho utilizzato ma mi sembra intonarsi bene anche alla tua versione del meme:
    "Tutta l’arte di vivere consiste nel servirci delle persone che ci fanno soffrire come un gradino che ci permetta di accedere alla loro forma divina, e popolare in tal modo gioiosamente la nostra vita di divinità."

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    1. Stupenda citazione, grazieeee, direi perfetta per questo post... ^__^

      Gli elogi al tuo meme erano più che doverosi: mi aveva lasciata talmente di stucco che avevo inizialmente dato forfait :) :D ;) ma poi, per fortuna son tornata sui miei passi 🐾 ^__^

      Che dici, è il caso di modificare la data dell'edizione Adelphi direttamente sul post?

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    2. Potrebbe essere conveniente. Così come è ora potrebbe perfino sembrare un refuso, come se avessi battuto l'8 al posto del 7.

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  6. Con questo libro mi hai fatto venire in mente il bizzarro caso editoriale di "Norwegian wood. Il metodo scandinavo per tagliare, accatastare & scaldarsi con la legna" di Lars Mytting, che solo apparentemente sembra parlare dell'attività del taglio della legna, mentre in realtà parla della cultura norvegese fatta di sottotesti ridottissimi.

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    1. Ciao Marco!

      Pensa che non l'ho mai letto quel libro di Mytting, ma ne avevo sentito parlare. Ecco, per quel poco che so l'autore ha riversato in uno pseudo manuale tutto l'amore per la sua terra, per il gelo, per i gesti apparentemente semplici che in realtà non lo sono affatto, ma sono il frutto di una storia di generazioni dopo generazioni. In fondo mi sembra molto molto Zen.

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  7. Questa volta hai toccato proprio una delle mie... corde! Intanto mi hai fatto venire voglia di rileggere quel piccolo libro, che oggi posso sicuramente comprendere meglio che in passato. Quanto ai tuoi punti, sono così importanti che li condivido tutti, nessuno escluso. Imparare a "togliersi di mezzo" quando è il momento per lasciare che le cose accadano è molto, molto difficile, ma ha un enorme valore. Bellissimo post - ma qui mi ripeto... ;)

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    1. Ciao Grazia!
      È decisamente difficile lasciare che le cose accadano senza metterci di continuo "il becco", ma sappiamo che è altrettanto fondamentale percorrere questa strada.
      Una strada, tra l'altro, tutta in salita e che richiede un costante allenamento. :-)

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  8. Davvero accattivante l'insegnamento contenuto in "Lo Zen e il tiro con l’arco", l'atteggiamento del professore mi ricorda molto anche certe ansie da prestazione di tipo narrativo... ;)
    Sto elaborando mentalmente le mie sei cose impossibili, che però vedranno la luce tra due settimane perché questo sabato c'è la seconda parte di quello che sai. ^_^

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    1. Come vedi, tutto si collega e anche le ansie da prestazione narrativa rientrano a pieno titolo nel calderone... lo confermo! ;-) :D
      Che bello, così questo sabato arriva la seconda parte del "malloppo" su Emmeline e il prossimo leggeremo le tue sei cose impossibili ^__^

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  9. Bella riflessione zen, mi sembra di vedere me quando medito :-)
    Scusa se non prendo l'iniziativa per farla mia, ma sto lavorando moltissimo e non ho il tempo necessario.
    Un abbraccio.

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    1. :D Ti ringrazio di essere passata, Francesca e non preoccuparti; saperti piena di lavoro è comunque positivo, visto i tempi!
      Ricambio l'abbraccio.

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  10. Ma che bello è questo post!? E' vero che non li ho letti tutti ma questo è il piùissimo bellissimissimo che ho letto! Poi i tuoi 6 punti sono meravigliosi! Brava, brava, brava

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    1. Wow, che bello il tuo apprezzamento, ne sono lusingata!
      Deduco che condividi i miei 6 punti: evviva e grazie infinite ^__^

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dani.sanguanini@gmail.com