venerdì 3 novembre 2017

La donna del XIX secolo 2



Oggi, continuando l’esplorazione dei miei vecchi appunti alla ricerca dello scenario relativo alla donna del XIX secolo, toccheremo il tema della differenza fra i sessi nella storia filosofica di quel periodo... e più avanti troverete anche una piccola SORPRESA che vi ho riservato...

Lo faremo partendo dalle riflessioni di Genevieve Fraisse, filosofa francese e storica del pensiero femminista, autrice di numerose opere sul tema della controversia dei sessi dal punto di vista epistemologico e politico.




Secondo Fraisse la riflessione filosofica sulle donne e sulla differenza tra i sessi è uno dei punti cardine della storia, come frattura politica, trasformazione economica dell’epoca moderna, e dell’eternità delle questioni filosofiche, dualismo tra corpo e spirito, divisione tra natura e civiltà, equilibrio tra privato e pubblico. Nel corso del XIX secolo tutti questi problemi vanno precisandosi negli scritti dei filosofi. La rimessa in discussione dell’ineguaglianza tra i sessi è la conseguenza del postulato della nuova era e questa proposizione, che non si può dimostrare ma che si considera come vera in quanto base necessaria per spiegare un fatto o formulare una teoria, è quella su cui si basa la libertà dell’individuo e l’autonomia del soggetto. Il punto sarà esattamente questo: uomini e donne sono esseri ragionevoli, quindi si suppone, o si tenta di negare, che essi siano potenzialmente dei soggetti. Se si adotta il punto di vista del soggetto autonomo e individuale, si pone in modo nuovo il problema del rapporto tra uomo e donna, tra il corpo e lo spirito di ciascun sesso. Non solo. Ci si interroga anche sul ruolo della natura nel mondo umano e sull’importanza dell’alterità (intesa come opposto dell’identità) nell’elaborazione speculativa.

Alla rappresentazione della donna come soggetto, sempre secondo la Fraisse, fanno da perno tre temi:
la famiglia, intesa sia come emanazione del matrimonio e sia come cellula primaria della società;
la specie, il cui perpetuarsi è considerato come finalità della vita umana;
la proprietà, con i suoi corollari, il lavoro e la libertà.

I filosofi dell’epoca, naturalmente tutti di sesso maschile, daranno come a priori i rapporti di armonia oppure, al contrario, di conflittualità fra i due sessi, postuleranno la pace o, viceversa, la guerra tra i due sessi. Ma soprattutto, tutti si interrogheranno su come definire l’amore e questa questione, in quel periodo, assumerà il carattere di urgenza.
Iniziamo ad approcciare il primo di questi tre temi cardine: la famiglia.
Il nuovo secolo, appoggiandosi sugli scritti degli ultimi anni post-rivoluzionari del Settecento, pone il problema del diritto come primario. Non pone direttamente il problema del diritto delle donne, quanto piuttosto quello dello statuto della relazione tra uomo e donna. Solo come conseguenza interviene la considerazione della donna come soggetto di diritto, o come assoggettata all’uomo. A rappresentare le diverse posizioni troviamo Fichte, Kant e Hegel.
Sebbene le posizioni dei tre filosofi siano differenti, ciascuna di esse concorda sulla dipendenza femminile, sull’abbandono di sé (da parte della donna) a favore del matrimonio e della famiglia. Quindi, la donna non ha che l’universalità della propria situazione familiare (figlia, sposa, madre) e non possiede la singolarità del proprio desiderio.  

Johann Gottlieb Fichte,
litografia ritratto-
fonte Wikipedia

Per Fichte (1762-1814) il matrimonio si configura come una “società naturale e morale”, una “unione perfetta”, basata sull’istinto sessuale dei due sessi e non ha alcun fine fuori di sé. Per lui l’amore è “il punto in cui si riuniscono nel modo più intimo natura e ragione”. Secondo Fichte, la donna afferma e conserva la propria dignità di essere umano diventando il mezzo di soddisfazione dell’uomo, cessando di essere fine a sé stessa. Questo si potrebbe chiamare amore in quanto la donna, per non rinunciare alla propria dignità, non può confessare a se stessa il proprio istinto sessuale. La legge interviene solo quando il matrimonio esiste e anteriormente alla legge, la donna si sottomette all’uomo per un atto di libertà. 

Artista sconosciuto,
Immanuel Kant, c.a 1790
fonte Wikipedia

Kant (1724-1804) la pensa in modo completamente diverso e concepisce il matrimonio come “contratto” che ha luogo in base alla legge. Il piacere sessuale non è accettabile che attraverso il rapporto di possesso giuridico. La parte razionale insita nella donna fa ‘sì che questa si voti al suo unico compito utile, che è quello della riproduzione della specie. Di conseguenza la legge afferma che l’uomo comanda e la donna ubbidisce.

Sia Kant che Hegel iscrivono la donna all’interno della famiglia e assegnano loro lo spazio domestico.



Jakob Schlesinger,
 ritratto di G. W. F. Hegel,
Berlin 1831-
fonte Wikipedia
Hegel (1770-1831), inorridito dalla teoria kantiana, afferma che “il matrimonio è un fatto morale immediato” in cui la vita naturale si trasforma in unità spirituale, in “amore cosciente”. Quindi, il matrimonio non è né unione né contratto, bensì un vincolo morale. Il diritto interviene solo nel momento della dissoluzione della famiglia e il capo della famiglia è l’uomo.


Nei primi anni dell’Ottocento, in Germania, un filosofo farà scandalo ponendo in primo piano il problema del piacere femminile e quello delle pari libertà dell’uomo e della donna. Questa ventata di libertà arriva da Friedrich Schlegel, il quale attraverso la Lettera sulla filosofia, indirizzata alla moglie, e al suo romanzo Lucinda, denuncia i pregiudizi sulle donne in rapporto al matrimonio. 

ritratto di F. M. C. Fourier
fonte Wikipedia
In Francia saranno gli scritti di Charles Fourier, tuttavia quasi sconosciuti, ad opporsi alla “oppressione e avvilimento” delle donne nel processo di civilizzazione e ad avviare una denuncia morale del matrimonio. L’utopia di Fourier è quella della libertà dell’individuo donna. Il filosofo si chiede se i tempi moderni si svilupperanno con o senza le donne, considerando che l’era post-rivoluzionaria le esclude, pur attribuendo loro un posto in cui includerle.

Da qui ha inizio la storia dell’emancipazione femminile, in quanto l’era del femminismo inizia con gli utopisti e, a questo proposito, più avanti analizzeremo l’impegno filosofico di John Stuart Mill per l’uguaglianza tra i sessi.

Tuttavia, prima che i filosofi affrontino esplicitamente il tema dell’emancipazione femminile (ci sarà chi avvertirà la necessità di negarla attraverso la retorica e la polemica, chi di appoggiarla avvalendosi di giustificazioni teoriche) l’epoca segna una battuta d’arresto e si occupa dell’amore, della seduzione e della castità. Quel che è certo è che nessuno riuscirà ad ignorare la questione femminile.
Nel prossimo post dedicato alla ricognizione sull’immagine della donna dell’Ottocento, se vi va, parleremo di amore, inteso come conflitto e come metafisica del sesso.


Per il momento vi propongo alcuni passaggi estratti da due romanzi dell’epoca: Madame Bovary, di Flaubert e I Buddenbrook, di Mann. 

Ma ecco la SORPRESA: se vorrete, potrete ascoltare la mia voce che legge per voi questi brani... un modo come un altro per sentirci più vicini ;-) 

Da Madame Bovary: 

cliccate sulla scritta blu qui sotto e verrete reindirizzati al file audio. Buon ascolto!

la mia lettura




Charles salì al primo piano per visitare il malato. Era a letto, sotto le coperte, sudato, e aveva scaraventato lontano il berretto da notte. Era un ometto tarchiato, di cinquant’anni, con la pelle bianca e gli occhi azzurri, calvo sopra la fronte e con gli orecchini. Aveva accanto a sé, su una seggiola, una grande bottiglia di acquavite dalla quale attingeva di tanto in tanto per farsi coraggio; ma appena vide il medico, la sua eccitazione cadde e, invece di bestemmiare come aveva continuato a fare per dodici ore, si mise a gemere debolmente .

La frattura era semplice e senza alcuna complicazione. Charles non avrebbe potuto augurarsi un caso più facile.

Allora, ricordando l’atteggiamento dei suoi maestri accanto al letto dei feriti, cercò di confortare il paziente con ogni sorta di buone parole, carezze chirurgiche che sono come l’olio per ingrassare il bisturi.

Per procurarsi delle stecche, andarono a prendere un fascio di assicelle, nella rimessa.

Charles ne scelse una, la spaccò per il lungo e ne tolse le asperità con un pezzo di vetro, mentre la domestica stracciava lenzuola per ricavarne bende e la signorina Emma si dava da fare per confezionare cuscinetti.

Le occorse parecchio tempo per trovare l’astuccio da lavoro, e suo padre finì con lo spazientirsi: ella non rispose, ma cucendo si pungeva le dita e le portava alla bocca per succhiarsele .
Charles rimase colpito dal candore delle sue unghie. Erano lucide, appuntite, più levigate degli avori di Dieppe, e fatte a mandorla. La mano tuttavia non era altrettanto bella, non abbastanza bianca, forse, e aveva le falangi un po’ nodose; era inoltre troppo lunga e priva di morbidezza nella linea del contorno.
Emma aveva bellissimi gli occhi: benché fossero bruni, sembravano neri per via delle ciglia, e guardavano tutto francamente con un candido ardire .

Terminata la medicazione, il medico fu invitato dallo stesso signor Rouault a mangiare un boccone prima di andarsene .
Charles discese nella sala a pianterreno. Due coperti con bicchieri d’argento erano preparati su una piccola tavola posta ai piedi di un vasto letto a baldacchino rivestito di tela stampata con figure di turchi.
Un odore d’iris e di panni umidi filtrava dal grande armadio in legno di quercia situato di fronte la finestra. In terra, negli angoli, stavano allineati, ritti, alcuni sacchi di grano. Costituivano quanto era avanzato dopo avere riempito il granaio vicino, al quale si accedeva per mezzo di tre gradini di pietra. Attaccato a un chiodo, in mezzo a una parete verde la cui vernice si staccava sotto l’azione del salnitro, per decorare la stanza, v’era, in una cornice dorata, il disegno a matita nera di una testa di Minerva sotto il quale si leggeva in caratteri gotici: Al mio caro papà .
Parlarono dapprima del malato, poi del tempo, del freddo terribile, dei lupi che infestavano i campi di notte.
La signorina Rouault non si divertiva troppo in campagna, soprattutto adesso che quasi tutta la responsabilità del buon andamento della fattoria ricadeva su di lei.
Poiché la stanza non era riscaldata, ella tremava di freddo pur continuando a mangiare, scoprendo così un poco le labbra carnose, che aveva l’abitudine di mordicchiare quando non parlava .
Portava un colletto bianco, piatto. I capelli erano divisi a metà da una scriminatura sottile che seguiva la curva del capo, e scendevano, in due bande, neri e compatti, così da sembrare un tutto unico tanto erano lisci; lasciavano a malapena scorgere il lobo dell’orecchio prima di fondersi, dietro, in una crocchia voluminosa e formavano sulle tempie delle onde che il medico di campagna vide la per la prima volta in vita sua .
Emma Rouault aveva le guance rosate e portava, come un uomo, infilato fra due bottoni del corsetto, un occhialino di tartaruga. Quando Charles, dopo essere salito a salutare papà Rouault, rientrò nella stanza prima di andarsene, la trovò in piedi, con la fronte appoggiata ai vetri, che guardava nell’orto dove il vento aveva fatto cadere i sostegni dei fagioli. Si voltò: «Cerca qualcosa?» «Il frustino, se non le dispiace» egli rispose, mettendosi a frugare sul letto, dietro le porte, sotto le sedie; il frustino era caduto per terra, fra i sacchi e il muro.
La signorina Emma lo vide e si chinò sui sacchi di grano. Charles, per cavalleria, si precipitò, e, mentre allungava il braccio nell’identico movimento di lei, si accorse che sfiorava con il petto il dorso della giovane donna, Ella si rialzò tutta rossa, guardandolo di sopra la spalla mentre gli porgeva il nerbo di bue .
Invece di tornare ai Bertaux tre giorni dopo, come aveva promesso, il medico vi fece ritorno l’indomani, poi regolarmente due volte la settimana, senza contare le visite impreviste che faceva di tanto in tanto, quasi inavvertitamente .
Del resto, tutto andò bene. La guarigione si verificò secondo le regole e quando, in capo a quarantasei giorni, si vide papà Rouault che si provava a fare i primi passi da solo nella malandata casa, tutti cominciarono a considerare il signor Bovary un uomo di grandi capacità. Papà Rouault stesso affermava che non sarebbe stato curato meglio dai primi medici di Yvetot o addirittura di Rouen .
Quanto a Charles non cercava di domandarsi quale fosse il motivo per cui veniva ai Bertaux tanto volentieri .
Se ci avesse pensato, avrebbe senza dubbio attribuito il suo zelo alla gravità del caso o forse al guadagno che sperava di trarne. Ma era proprio per questo che le visite alla fattoria costituivano per lui un così delizioso diversivo nelle meschine occupazioni della sua esistenza? In quei giorni si alzava presto, partiva al galoppo, incitava il cavallo, poi scendeva per pulirsi i piedi nell’erba, e infilava i guanti neri prima di entrare.
Gli piaceva giungere in quel cortile, sentire contro la spalla il cancello che cedeva, udire il gallo che cantava sul muro, vedere i contadini che gli andavano incontro .
Gli piacevano il granaio e le scuderie. Si era affezionato a papà Rouault che, battendogli sulla mano, lo chiamava il suo salvatore; gli piaceva il suono degli zoccoletti della signorina Emma sulle piastrelle pulite della cucina; i tacchi alti aumentavano un poco la sua statura e, quando gli camminava dinanzi, le suole di legno, sollevandosi rapidamente, producevano un suono schioccante contro la pelle dei talloni .
Ella lo riaccompagnava sempre fino al primo gradino della scala esterna. Quando non gli avevano ancora portato il cavallo, si tratteneva là. Si erano già salutati e ambedue tacevano; un turbine d’aria l’avvolgeva, sollevandole i capelli corti e ribelli della nuca, facendole sventolare i nastri del grembiale sulle anche e attorcigliandoli come banderuole. Un giorno, all’epoca del disgelo, l’acqua scorreva sulla corteccia degli alberi nel cortile e la neve si scioglieva sui tetti. Emma stava sulla soglia; andò a cercare un ombrello e l’aprì. L’ombrello di seta color gola di piccione, attraversato dai raggi del sole, le illuminava di riflessi cangianti la pelle bianca del viso.
Là, sotto quel dolce tepore, ella sorrideva e si sentivano le gocce d’acqua cadere a una a una sul tessuto teso .
Da principio, quando Charles aveva cominciato a frequentare i Bertaux, la giovane signora Bovary non tralasciava di chiedere notizie del malato e aveva perfino riservato per il signor Rouault, nel registro che teneva in partita doppia, una bella pagina bianca. Ma quando seppe che egli aveva una figlia, si affrettò a informarsi meglio; le dissero che la signorina Rouault, allevata in collegio, dalle Orsoline, aveva ricevuto, come suol dirsi, un’ottima educazione, e che di conseguenza conosceva la danza, la geografia, il disegno, sapeva ricamare e suonare il pianoforte .
Fu il colmo! "Per questo, dunque," ragionava fra sé "ha il viso così raggiante, quando va a trovarla; per questo, si mette il panciotto nuovo, a rischio di rovinarlo con la pioggia? Ah! Quella donna! Quella donna! …"
E, d’istinto, la detestò. Dapprima si sfogò con le allusioni, ma Charles non le capiva; in seguito si servì di osservazioni casuali, che egli lasciava cadere per paura della bufera; e infine di invettive a bruciapelo alle quali suo marito non sapeva che cosa rispondere – Come mai tornava ai Bertaux dato che il signor Rouault era guarito e che quella gente non aveva ancora pagato l’onorario? Ah! Forse perché laggiù v’era una certa persona, qualcuno che sapeva conversare, un’abile ricamatrice, una donna spiritosa. Ecco cosa gli piaceva!
Per lui ci volevano signorine di città! E continuava: «La figlia di papà Rouault, una signorina di città!
Figuriamoci! Il nonno faceva il pastore e hanno un cugino che per poco non è finito alle assise per una brutta ferita in una rissa. Non è proprio il caso di darsi tante arie e di andare in chiesa la domenica vestita di seta come una contessa. D’altra parte, quel povero diavolo, senza il raccolto del ravizzone, l’anno scorso, non avrebbe saputo come fare per pagare i debiti!» Tediato, Charles smise di andare ai Bertaux. Héloïse gli aveva fatto giurare sul libro da messa che non ci sarebbe più tornato, dopo una scenata piena di singhiozzi e di baci, in un prorompere di passione.
Obbedì, ma l’ardire dei desideri contrastava con il servilismo del suo comportamento, e, per una specie di ingenua ipocrisia, egli ritenne che il divieto di vederla gli desse il diritto di amarla. E poi la vedova era magra, aveva i denti lunghi; portava in tutte le stagioni uno scialletto nero che le arrivava alle scapole; la sua figura ossuta era fasciata da abiti aderenti e troppo corti che le lasciavano scoperte le caviglie là ove, sulle calze grigie, si incrociavano i nastri delle larghe scarpe .
La madre di Charles veniva ogni tanto a trovarli, ma in capo a qualche giorno la nuora era riuscita a renderla tagliente e pungente come lei stessa; e allora si mettevano all’opera simili a due coltelli, scarnificandolo con le loro riflessioni e osservazioni. Faceva male a mangiare tanto! Perché offrire sempre da bere al primo venuto?
Che testardaggine, non volersi mettere la maglia di lana! All’inizio della primavera accadde che un notaio di Ingouville, al quale erano affidati i fondi della vedova Dubuc, prendesse il volo portando con sé tutti i denari del suo studio. Héloïse, invero, possedeva ancora, oltre a essere comproprietaria di un battello per una quota valutata non meno di seimila franchi, la casa di via Saint-François, eppure, di tanta e tanto sbandierata ricchezza non era comparso in casa che qualche mobile e un po’ di biancheria. Bisognava mettere le cose in chiaro.
La casa di Dieppe risultò coperta di ipoteche fino alle fondamenta; a quanto ammontasse il denaro depositato dal notaio, Dio solo lo sapeva, e in realtà la quota del battello non superava i mille scudi.
La brava donna aveva dunque mentito! Esasperato, il signor Bovary padre sfasciò una sedia sul pavimento e accusò la moglie di aver causato l’infelicità del figlio legandolo a una simile rozza i cui finimenti valevano ancor meno della pelle.
Si recarono a Tostes. Alle spiegazioni seguirono le scenate. Héloïse, in lacrime, si gettò nelle braccia del marito scongiurandolo di proteggerla dai suoceri. Charles volle difenderla. I genitori, indignati, se ne andarono .
Ma il colpo era giunto al segno. Otto giorni dopo, mentre stendeva in cortile la biancheria, Héloïse ebbe uno sbocco di sangue e l’indomani, mentre Charles le voltava le spalle per chiudere le tende della finestra, disse: «Ah! Mio Dio», esalò un sospiro e cadde in deliquio. Era morta! V’era di che restarne sbalorditi.
Dopo i funerali, Charles tornò a casa. Al pianterreno non c’era nessuno. Salì al primo piano, in camera da letto, vide un abito di lei ancora appeso ai piedi dell’alcova; allora, appoggiandosi allo scrittoio, rimase fino a sera perduto in un doloroso fantasticare.
Dopo tutto Héloïse l’aveva amato

Da I Buddenbrook:

per ascoltare la mia lettura basta cliccare sulla scritta blu qui sotto. Buon ascolto!

la mia lettura2




La sua faccia rotonda, bonaria e rosata, alla quale con la migliore volontà non riusciva a dare un’espressione maligna, era incorniciata di capelli incipriati bianchi come la neve, e una specie di codino appena accennato cadeva sul largo colletto della sua giubba color grigiotopo.

A settant’anni, egli restava fedele alla moda della sua gioventù; aveva rinunziato soltanto agli alamari fra i bottoni e alle grandi tasche, mai però in vita sua aveva portato calzoni lunghi. La sua vasta pappagorgia era comodamente adagiata sul jabot di pizzo

bianco.


[…] Madame Antoinette Buddenbrook […] era una signora corpulenta, con spessi boccoli sugli orecchi, un vestito a righe nere e grigio-chiare senza guarnizioni, indizio di semplicità e modestia. 

[…]Nulla le sembrava più distinto di un elegante negligè e poiché a casa sua non aveva potuto indulgere a quella passione, adesso che era una donna maritata vi si abbandonava con tanto più ardore. Possedeva tre di quei morbidi e delicati capi di vestiario, a eseguire i quali

occorreva talvolta più fantasia, raffinatezza e buon gusto che per un abito da ballo. Oggi

indossava la vestaglia scarlatta, che s’intonava perfettamente con la tappezzeria al di sopra

dei pannelli di legno; la stoffa a grandi fiorami, più morbida dell’ovatta, era tutta trapunta

d’una pioggerella di minuscole perline di vetro dello stesso colore. Una fila di nodi di
velluto rosso le scendeva giù diritta, dalla gola fino ai piedi.


[…]In quella si aprì la porta del corridoio, e nell’incerta luce crepuscolare apparve davanti a

loro, in una vestaglia candida fluente in larghe pieghe, una figura eretta. Le pesanti chiome

fulve incorniciavano il viso bianco, e negli angoli degli occhi bruni un po’ ravvicinati

posavano ombre azzurrine.

Era Gerda, la madre dei futuri Buddenbrook.

E ora, vi invito a commentare a ruota libera. Testi letterari, teatrali, opere d’arte o altre immagini pertinenti al tema trattato, saranno ampiamente apprezzati.  

Grazie a tutti e buona continuazione!


25 commenti:

  1. Cara Clementina, intanto... che piacere sentire la tua voce. E' fresca, vivace, svela molto della tua personalità. E' sempre un piacere toccare seppure idealmente la realtà dietro questi account. :)
    Tema interessantissimo. Da insegnante, rifletto sul fatto che sui libri scolastici non si dà minimamente spazio a un tema come questo, che invece porterebbe a riflessioni molto importanti. Come hai fatto tu, sono pensieri e conclusioni filosofiche che dobbiamo mettere insieme noi, attraverso ricerche e connessioni.
    Ben triste questa condizione femminile e assai curioso che anche la filosofia si sia "scomodata" a farne tema di discussione. Se non ricordo male, neppure sui libri di filosofia studiati al liceo si discuteva di questi argomenti.
    Mi hai fatto venire in mente la Pamela di Richardson (ispirò la serie feulleiton "Elisa di Rivombrosa") che è un personaggio perfettamente integrato nella sua triste epoca. Seduzione e differenza di classe al centro di questo romanzo. Mi piace pensare a Jane Austen e alla rivoluzione che operò senza forse esserne consapevole. Mi piace pensare a Virginia Woolf e al suo primissimo femminismo.

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    1. Carissima Luana, prima di tutto ti ringrazio del bellissimo commento e ti dico che è un’immensa gioia leggere ciò che scrivi. (piccolo inciso: con la pubblicazione dell’audio, il mio intento era esattamente quello di raggiungervi in modo meno convenzionale, rendendomi, se possibile, più concreta e più vicina. :) )
      Il tema della condizione femminile, e tu da insegnate lo confermi, è sempre stato poco presente sui libri scolastici e per giunta, quando compare, viene trattato in modo superficiale. Fingere, in un programma scolastico, che le istanze femministe non esistano è un modo come un altro per far passare il messaggio che esse non siano abbastanza importanti per doverne parlare. Il meccanismo, concedimi la metafora, è un po’ quello che si attiva quando si passa davanti a qualche senza tetto: anche se questi non chiedono soldi, un po’ tutti si tenta di ignorarli. Come se tutti quanti avessimo accettato un tacito accordo, per cui fingiamo che gli homeless non esistono. E in questo modo li disumanizzano. So di aver pigiato un tasto pesante, ma il meccanismo è lo stesso, ovvero quello della manipolazione, culturale o mentale. Del resto, proprio nelle scuole si tende a insegnare le materie fondamentali in modo disgiunto (per es. storia, da una parte e scienza, dall’altra) per prevenire che si formi una visione d’insieme!
      Gli esempi che riporti sono splendidi: Pamela, figlia di un borghese caduto in miseria, che oppone la sua forza morale all’aristocratico vizioso; le eroine della Austen, che pur non avendo ancora maturato una coscienza femminista la vivono istintivamente; le donne della Woolf che, a differenza delle protagoniste dei precedenti romanzi, hanno dalla loro parte la piena consapevolezza.

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. Ciao Clementina,
    grazie davvero per questo post che è stato illuminante. Purtroppo per me, ho avuto una pessima professoressa di Filosofia e quindi anche se poi ho tentato di approfondire, sento di aver perso parecchie cose.
    Col tuo post ho scoperto molte cose nuove e sono davvero contenta.
    Non so se sono in tema con la tua argomentazione ma mi viene da pensare alle contraddittorie interpretazioni delle donne dell'Ottocento. Esempio: Pamela di Richardson contrapposta alla Signora delle Camelie di Dumas.
    Un abbraccio!

    ps: ho ricommentato perché avevo scritto uno strafalcione allucinante!

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    1. Un mega ringraziamento anche a te, cara Francesca!
      I tuoi due esempi sono perfetti! Due donne agli antipodi, nei costumi, nella mentalità, nella visione del mondo e dell’amore. Entrambe vivono tragiche vicissitudini che, nel primo caso, laddove la protagonista si batte contro le convenzioni sociali per affermare la parità dei sessi, in senso etico, si ribalteranno prendendo una piega del tutto positiva, mentre nel secondo, verseranno in disperazione e poi in redenzione, ma solo quando sarà troppo tardi. Stupendo!
      Ricambio con un abbraccione!

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  4. Cara Clementina, sei un faro nella notte! Ho letto con grande interesse ma ho fatto dei pasticci e non sono riuscita ad ascoltare la tua voce. Tuttavia, siccome la conosco, non mi cruccio più di tanto e continuo ad ammirarti senza riserve. Grazie del tuo impegno.

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    1. Nadissima!
      Prima o poi dovevo e volevo iniziare a scrivere questi post che porto dentro di me da tanti anni e ciò che mi riempie di gioia, ora che ho rotto il ghiaccio, è leggere commenti di approvazione e sincero affetto da parte di donne tanto forti e sensibili, come te e le altre ragazze.
      Ti abbraccio fortissimo (ps: se vuoi ritentare l’ascolto, basta cliccare sul testo blu, “la mia lettura” una sola volta e verrai reindirizzata al link che ospita il mio file audio, su Drive. Una volta arrivata lì, schiaccia la freccina per ascoltare) <3

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  5. Cara Clementina, un articolo di straordinaria potenza filosofica e letteraria! Ho divorato questa pagina ricca di ogni possibile informazione su un argomento spinoso come la condizione femminile nel diciannovesimo secolo. Continuo a dire che il tuo impegno professionale è davvero un faro che guida in questo nostro periodo vuoto di valori. Grazie!

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    1. Ciao Anna, carissima, sono io che ti ringrazio di aver partecipato!
      Come sempre accade, quando hai un progetto in mente da diverso tempo ed è ora di tirarlo fuori, la vita ti spiana la strada. Come a indicarti che ti devi dare una mossa, che i tempi sono maturi per farlo. E in effetti, improvvisamente è arrivato un invito, inequivocabile, che mi ha convinta a intraprendere questo percorso e che mi auguro continui a risultare interessante a lungo ^_^
      Un grande abbraccio!

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    1. SuperBet! 😍
      Che gioia trovarti qui nel mio salotto: benvenuta e mi auguro di rivederti presto!
      Grazie di cuore e un giga-abbraccio😊

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  7. Cara Clem, accidenti, hai fatto bene a richiamare la mia attenzione su questo articolo… ma il problema è che non so da dove iniziare per commentare! :-) La mia natura prussiana mi fa propendere per una suddivisione per argomento, ma suddivido i commenti per non appesantire e rendere più leggibile il tutto. Comincio con l’argomento della moda, che si riconnette, come dicevi al mio ultimo post per una sorta di bellissima coincidenza.

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    1. Vedi anche tu che non potevo non insistere ad invitarti a leggere, sapevo che ti sarebbe piaciuto!

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  8. Moda. Hai ragione, sul finire del Settecento, e proprio in coincidenza con la Rivoluzione Francese (lo scopersi sul saggio “La vita quotidiana durante la Rivoluzione Francese”) era sopraggiunto per le donne un abbigliamento privo di costrizioni, con abiti leggeri e fluidi che si muovevano maliziosamente attorno al corpo. Le parrucche alte erano cadute in disuso, si usavano nastri per trattenere i capelli, cappelli e cuffie. Era invalso l’uso del fisciù, cioè quella stoffa che si intrecciava sul seno, dove si potevano infilare mazzolini di fiori. Le gonne si erano anche accorciate un po’, almeno per le donne borghesi, per cui si scorgevano le scarpette con le fibbie sotto l’orlo. Per quanto riguarda gli uomini, lo stralcio sul signor Buddenbrook richiama in molti punti quello che ho scritto nel mio articolo: “… capelli incipriati bianchi come la neve, e una specie di codino appena accennato cadeva sul largo colletto della sua giubba color grigiotopo. … aveva rinunziato soltanto agli alamari fra i bottoni e alle grandi tasche, mai però in vita sua aveva portato calzoni lunghi. La sua vasta pappagorgia era comodamente adagiata sul jabot di pizzo bianco.” Incredibile!
    Non ho parlato ancora del termine “sanculotti” che deriva da “sans culottes”, cioè non privi di mutande come molti credono, ma privi di calzoni tagliati al ginocchio e quindi portavano pantaloni lunghi fino al piede. Anche sull’uso della biancheria intima ci sarebbe da scrivere un post a parte, non ti dico le mie ricerche su quella medievale (che peraltro non esisteva) e anche su quella dei rivoluzionari!

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    1. Se poi pensiamo ai busti, ai corsetti, veri strumenti di tortura che le poverette erano costrette a indossare fina da piccole per compiacere ai signori uomini, c’è da piangere. Pensa che il giro vita doveva essere di 50 centimetri. Immagina la sofferenza a dover stare chiuse in quelle gabbie. Chiaramente anche gli abiti erano creati perché le donne si muovessero appena, per non farle lavorare… e poi c’è chi pensa che quell’epoca fosse tutta rose e fiori! Figuriamoci!
      Il post sulla biancheria lo devi fare!

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  9. La registrazione. La tua voce mi ha tenuto compagnia durante il viaggio in metropolitana… a parte che la conosco molto bene, avendomi fatto da lettrice durante la mia presentazione… ma che bello sentirla registrata! Mi sembrava di ascoltare le letture dei drammi radiofonici di una volta – magari li fanno ancora, non saprei. Non hai mai pensato di proporti come speaker professionista presso una radio o per realizzare degli audiolibri? Secondo me saresti adattissima!

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    1. Ah, che meraviglia i drammi radiofonici di una volta! È il più bel complimento che mi avresti potuto fare :) So che il mondo degli audiolibri è presidiato dagli attori, ma si può sempre provare!

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  10. La visione della donna. Lascio per ultimo l’argomento più spinoso, ovvero la visione che della donna avevano i filosofi del Settecento e dell’Ottocento. Ti ringrazio davvero in quanto di filosofia so assai poco. Non ho nulla da aggiungere al tuo prezioso contributo se non che Fichte, Kant e Hegel sembrano vedere la donna da angolazioni differenti, ma il nucleo rimaneva invariato: e questo era, in buona sostanza, l’inferiorità giuridica e quindi la subordinazione della donna nell'ambito sociale, e particolarmente in quello familiare.

    Posso invece portarti l’esempio di Rousseau, di cui ho letto molte opere politiche, ma non ancora l’Émile ou De l'éducation, lacuna che mi riprometto di colmare appena possibile. Conosco a grandi linee le teorie pedagogiche che stanno alla base dello stesso, del tutto condivisibili: nel libro si spiegano le cinque fasi fondamentali dell’educazione di un allievo immaginario, seguito da un precettore che è interpretato dallo stesso Rousseau. Si presenta come un trattato pedagogico non privo di consigli pratici, in cui il precettore incita al fare e allo sperimentare, all’osservazione e alla vita a contatto con la natura. Peccato che tutto questo sia riservato all’educazione dei maschietti, in quanto le femmine devono soltanto imparare materie come economia domestica, ricamo, un po’ di musica, e poco altro, in quanto il loro ruolo futuro è quello di essere mogli e madri. Contro queste teorie si scaglierà con decisione Mary Wollstonecraft, scrittrice che ho presentato nella mia galleria delle grandi donne.

    Cito da Wikipedia: “ Rousseau aveva scritto che i doveri delle donne, «in tutti i tempi» e da inculcare con l'educazione fin dall'infanzia, consistevano nel «piacere agli uomini ed essere loro utili, farsi amare e stimare da loro, educarli da giovani, assisterli da grandi, consigliarli, confortarli, render loro piacevole la vita». Come Mary scriverà nella Vindication, Rousseau non concepisce che una donna possa essere indipendente, ma pretende di trasformarla «in una schiava tutta civetteria per diventare un più seducente oggetto di desiderio, una compagna più dolce per l'uomo ogni volta che questi desideri svagarsi. Si spinge addirittura ad affermare che la verità e la forza d'animo, le pietre angolari di ogni virtù umana, dovrebbero essere coltivate entro certi limiti, perché per ciò che concerne il carattere femminile, la virtù più importante è l'ubbidienza [...] Che sciocchezza!».

    Un abbraccio e buona serata!

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    1. L’immagine della donna ottocentesca restituita dai maschi contemporanei fa venir la pelle d’oca. È così e non ci sono mezze misure per descrivere l’orrore che sentiamo ancora oggi nel leggere le loro frasi. Ma anche lo stralcio della Madame Bovary metteva ben in luce l’idea che l’uomo avesse della donna… da scappare a gambe levate.
      Grazie di tutti questi magnifici commenti, davvero. Grazie di cuore e buona serata anche a te!

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  11. Che bella idea, e che piacere sentire la tua voce! A parte questo, fa davvero impressione sentire cosa si diceva delle donne così poche generazioni addietro. Certo ognuno vive nel proprio contesto, perciò molte donne si saranno sentite abbastanza bene nel ruolo loro attribuito in quel periodo, ma chi di loro aveva una mente più critica, uno spirito più aperto... deve avere sofferto (e lottato) non poco.

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    1. La condizione della donna in quel periodo era ben poco invidiabile, basti guardare il suo inquadramento giuridico in Europa e Oltreoceano, sempre assoggettata all'uomo.
      L'educazione, diffusa prevalentemente nei ceti alti, prevedeva ovunque un percorso mirato a esaltarne le "virtù domestiche", confinandola tra quattro mura a prendersi cura del marito, della sua immagine pubblica, quindi dei suoi ospiti, e della prole.
      Nonostante tutto questo, ci furono donne molto coraggiose che riuscirono a trovare il modo di contrastare quella che possiamo definire una grande trappola.
      Felice che ti sia piaciuto l'audio! 😊

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  12. I commenti di Cristina sono praticamente un post nel post. ;)
    Immagino che Fourier sia lo stesso della trasformata di Fourier, indispensabile operazione matematica degli spettrofotometri IR.
    Quando leggo i post di un blogger, d'abitudine mi immagino sempre come possa essere la sua voce (ma non il suo viso, chissà perché!). Nel tuo caso avevo immaginato una voce completamente diversa!

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    1. In attesa di una risposta di Cristina a proposito di Fourier, mi soffermo sulla seconda parte del tuo commento.
      Dunque, nel tuo sistema rappresentazionale prevale quello uditivo! Devo dire che non mi sorprende, considerando che sei un insegnante e che, pertanto, usi il dialogo per dare la direzione, per pianificare, sintetizzare, commentare i dati grezzi, trarre conclusioni.
      Ma la domanda ora è d'obbligo: che voce immaginavi per me? E che effetto ti ha fatto ascoltare la mia voce?

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    2. Ma non avevi parlato tu di Fourier? :D
      Per quanto riguarda il mio sistema rappresentazionale, in realtà io sarei quello che viene definito un "visivo puro", e questo sia in entrata che in uscita del flusso informazionale.
      Credo che la cosa di immaginare le voci dei blogger nasca piuttosto da un'altra cosa: il blogging è una sorta di discorso, di dialogo in forma scritta, si parla agli utenti anche se non oralmente, quindi credo che alla fine non risulti troppo sorprendente scoprirsi a immaginare le voci prima dei volti.
      Per te avevo immaginato una voce dal timbro più bassa, un po' roca alla Marlene Dietrich diciamo, invece l'ho scoperta più lieve e dalla timbrica più alta. Diciamo che sono rimasto spiazzato nel non averci preso, ma questo è naturale: è difficile immaginare qualcosa da zero partendo da cose che non le sono collegate direttamente. :)

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    3. Perdona, mi sembrava di ricordare che anche Cristina avesse citato Fourier.
      No, in realtà stiamo parlando di due uomini diversi. Il Fourier cui faccio riferimento io è Charles, il filosofo, invece quello della trasformata è il matematico e fisico Jean Baptiste :)
      In effetti il blogging è un dialogo, tuttavia io, ad esempio, non penso alla voce del blogger, ma tendo a immaginare l'espressione del suo volto. Ma per fortuna siamo tutti diversi! :D
      Stupenda la voce della Dietrich *_* ... ed è divertente questo giochino, dovremmo registrare tutti la nostra voce! :D
      Grazie mille, Marco e buonissima giornata! :)

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dani.sanguanini@gmail.com