lunedì 23 ottobre 2017

La donna del XIX secolo 1




Scartabellando nei cassetti saltano sempre fuori cose curiose. Talvolta si tratta di quisquilie, invece in alcuni casi si possono trovare vere e proprie storie pronte per essere raccontate.
L’altro giorno, per esempio, mentre cercavo di mettere un po’ d’ordine nelle scartoffie, mi sono imbattuta in una risma di fogli ingialliti sui quali campeggiavano dei vecchi appunti che avevo preso durante un interessante seminario imperniato sulla storia dell’emancipazione femminile nell’arco dei secoli.
Inizialmente avevo pensato di scrivere un post dedicato all’arte dell’Ottocento, ma l’improvvisa scoperta mi ha suggerito un taglio differente. Così è nata l’idea di ripercorrere insieme a voi la storia delle donne nel XIX secolo, a partire da un quadro.

Ecco l’opera pittorica in questione: 

Giovanni Boldini,
Madame Charles Max,
1896, Musée d'Orsay, Paris.

Boldini (Ferrara, 31 dicembre 1842 – Parigi, 11 gennaio 1931), che è senza dubbio uno dei pittori più celebri della Belle Époque, è divenuto famoso per i suoi ritratti di donne dell’alta società nei quali, oltre a esaltare l’eleganza dei soggetti, cattura attimi fuggenti di un’emancipazione femminile che, via via, osa sempre di più.

Eccomi, dunque, a esporre in sintesi lo scenario che vede le donne protagoniste di un periodo complesso. Vi parlerò brevemente del posto occupato dalle donne nella società di quegli anni, della loro “condizione”, dei loro ruoli e del loro potere. È una bella sfida, ma ci si può provare!

L’Ottocento segna la nascita del femminismo, ma è attraversato da mille contraddizioni. Per esempio, giuridicamente, in tutto il mondo occidentale, la donna è ancora sottomessa al marito e anche se entrando nel mondo del lavoro si allargano i campi dei suoi orizzonti, dovrà passare ancora molto prima che possa disporre del proprio salario.
La Rivoluzione francese aveva posto il problema della donna nella comunità e il dibattito continuerà a scuotere le coscienze, soprattutto sul piano giuridico. Integrare le cittadine nel corpo politico equivale a dar loro potere decisionale e questa ipotesi risulta insopportabile per molti uomini in quell’epoca. Le donne francesi ben presto si accorgono che la loro “cittadinanza” è vuota: non possono esercitare il diritto di voto, non possono partecipare all’elaborazione delle leggi e così protestano. Non sono vere cittadine, ma mogli e figlie di cittadini. Le prime proteste femminili si hanno, per l’appunto, in Francia, al momento dell’instaurazione del suffragio universale del 1848. Quando la Repubblica, nel 1879, viene definitivamente consolidata, le richieste femminili vengono respinte in nome della fragilità del regime.
L’insieme dei paesi latini si presenta refrattario a riconoscimento dei diritti politici alle donne. Diversa è la situazione nei paesi in cui domina il liberalismo riformista, come in Inghilterra. Le inglesi, infatti, guadagnano molti più diritti delle altre europee.

In questo secolo inizia anche il processo di alfabetizzazione femminile un po’ ovunque, processo che scuote molto l’universo maschile e, per contrapposizione, verranno prodotte molte immagini ad hoc, attraverso la letteratura e il teatro. Un vero e proprio sistema di illusioni e miraggi che tendono trappole, tanto più temibili quanto meglio montate, da cui le donne faticheranno a fuggire (la famiglia, la moglie devota, la madre esemplare, e via dicendo…).
La società userà tutta la sua autorevolezza per frenare un’emancipazione nascente fatta di donne che scendono in piazza per rivendicare i propri diritti.
Il potere delle immagini di arte e letteratura del 1800 rappresenta le donne in un inquietante intreccio tra donna, bambola e statua.

Nel 1856 Flaubert pubblica Madame Bovary, adultera, colpevole e vittima dei suoi sogni.
Il 6 marzo 1853, Verdi porta in scena La Traviata, e la commovente prostituta creata anni prima da Dumas, La Signora delle Camelie, diventa una peccatrice che si sottomette alle leggi della famiglia e che si sacrifica, mentre un coro finale sottolinea il suo sacrificio ripetendo “Essa è in cielo”.

Tra il 1848 e il 1874, Wagner scrive L’anello del Nibelungo in cui Brunilde, vergine guerriera, rinuncia all’immortalità per accompagnare Sigfrido nelle tribolazioni sulla terra.

Nel 1847 Baudelaire pubblica la novella Fanfarlo, nel quale il protagonista, certo Samuel Cramer, prova desiderio per Fanfarlo, attrice che ammalia il pubblico interpretando diversi ruoli femminili, solo quando in lei ritrova i personaggi del patrimonio culturale e letterario passato che ama. Tuttavia, Cramer dimostrerà di non provare nessun buon sentimento per quella donna nel momento in cui essa gli si propone “spogliata” dai suoi personaggi. 

Nel 1879, Ibsen, invece, scrive una pungente critica sui ruoli dell’uomo e della donna nell’ambito del matrimonio durante l’epoca vittoriana. L’opera in questione è Casa di Bambola, che l’autore redige apponendo una nota a margine al suo testo: «Ci sono due tipi di leggi morali, due tipi di coscienze, una in un uomo e un'altra completamente differente in una donna. L’'una non può comprendere l’altra; ma nelle questioni pratiche della vita, la donna è giudicata dalle leggi degli uomini, come se non fosse una donna, ma un uomo».
Sul finale di scena, Nora, la protagonista, sbatte la porta del domicilio coniugale per vivere finalmente per se stessa. Ella è devota al marito, gli ha salvato la vita e gli ha dato due figli. Ma questi rimane incapace di vedere in lei nient’altro che la bambola di cui ha bisogno. L’unica salvezza per Nora sarà la fuga. La sua esistenza avrà inizio solo uscendo dalle mura familiari.

L’analisi della donna dell’Ottocento continuerà con altri post dedicati all’argomento che, se vorrete, potrete tornare a leggere qui.

Ora passo a voi la parola: quali opere, artistiche o letterarie, vi vengono in mente per tracciare la storia femminile di quell’epoca? 

Un caro saluto a tutti e buona settimana!




18 commenti:

  1. Così, all'impronta, mi vengono in mente "Una donna" di Sibilla Aleramo (Rina Faccio) e "Ritratto di Signora" di James.

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  2. Una donna è un libro meraviglioso che lessi tutto d’un fiato. La Aleramo era avanti anni luce rispetto alle donne della sua epoca e penso anche che quel romanzo andrebbe fatto leggere a scuola, perché ancora oggi avrebbe tante cose da insegnare. Non ho mai aperto, invece, Ritratto di signora. A dirla tutta, ci ho sempre girato intorno perché è un tomo gigantesco… a questo punto lo leggerò! Grazie Nadia! <3

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  3. Leggendo il post di Clementina, ho riportato indietro i ricordi alla mia gioventù,quando lessi "Una casa di bambole" di Ibsen. Un romanzo in cui l'eroina prende coscienza del fatto che la vita familiare è una trappola soffocante che mortifica la sua individualità e la costringe a una forma di subalternità infantile nei confronti del marito-padre. Nora, diversamente dalla sorte assegnata a molte altre protagoniste della letteratura del tempo, sceglie di abbandonare il marito e i figli per cercare di uscire dai limiti della propria condizione infantile, per maturare e assumere una dignità, una libertà pari all'uomo, attraverso un'esperienza della realtà fatta in modo autonomo. Che scandalo al tempo!

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    1. Un vero scandalo e, tutto sommato, non solo per quei tempi. Torvald, il marito, era un uomo meschino, preoccupato solo della propria reputazione e non ha mai provato nessun sentimento di stima per la moglie, ma agli occhi di tutti rappresentava un uomo di potere, oltretutto perbene. Nora, alla fine, sceglie di abbandonare tutto per riscattare la propria identità di donna. Grazie di cuore del tuo bel commento, Anna. <3

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  4. Rispondo alla tua domanda con una scelta strana, ma motivandola.
    Frankenstein di Mary Shelley.
    Lo pubblicò inizialmente in forma anonima e quando venne rivelato che fosse stato composto da una donna (oltretutto molto giovane), rimasero tutti stupiti. E quel romanzo è alla base fondamentale dell'horror e della fantascienza, entrato a far parte dell'immaginario collettivo.

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    1. Come al solito le tue risposte sono spiazzanti, ma sempre molto acute, Marco.
      Effettivamente Frankenstein di Mary Shelley è rivoluzionario anche da questo punto di vista, considerando che alla base dell’esperimento soggiaceva il desiderio di riprodurre un essere umano di intelligenza e resistenza superiore alla media. ;-)

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  5. Ciao Clementina, ma che domanda complessa!
    Beh, vediamo... io direi le ragazze di Louise May Alcott e di Jane Austin, le donne fragili e forti di Hugo, Una donna della Aleramo,le poesie della Dickinson e il capolavoro di Mary Shelley che per scrivere all'inizio doveva spacciarsi per un uomo e questo la dice lunga.
    E anche se non si tratta di un'opera ricordiamo il salotto di M.me De Stael che occupò solo pochi anni del primo Ottocento ma pose l'accento sulla donna come Mecenate.
    Un saluto!

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    1. Bentornata, Francesca.
      Anzitutto grazie del commento. Hai fornito molti spunti interessanti e, in fondo, la mia domanda non era poi così complessa. Personalmente ritengo che Madame De Stael si sia sicuramente scontrata su un terreno assai più aspro rispetto quello della Austen, che non ha mai affrontato l’ordine stabilito e per la quale il matrimonio rimaneva l’impresa più importante. Concordo, invece sulla Aleramo, come già ho discusso con Nadia e con Mary Shelley, citata da Marco. Sulle donne fragili e forti di Hugo avrei qualche perplessità.
      Ricambio il saluto!

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  6. Mi piace questa nuova serie di post. A me, così a freddo, gli unici esempi letterari che mi vengono in mente relativi all'ottocento sono due donne-simbolo, incarnazioni dell'eterno femminino: la Diotima di Holderlin e la Margherita di Goethe.

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    1. Ah, tu Ivano voli altissimo. Direi che entrambe, Margherita di Faust e Diotima di Iperione, soccombono alla morte, entrambe sono dotate di grande saggezza e della capacità di risvegliare lo spirito sopito dell’uomo per indicargli la sua autentica natura e dignità. Chiaramente sono simboli complessissimi che non intendo esaurire certo qui in due banali parole. Grazie dell’eccellente contributo!

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  7. Innanzitutto ti dico che sono entusiasta di questa serie di post!

    Faccio due commenti sul contenuto: dici bene che con la Rivoluzione Francese partono le prime istanze femministe, con i primi club, ma, tanto per sottolineare quanto gli ometti fossero arretrati, il famoso slogan "liberté..." ecc. riguardava soltanto gli essere di sesso maschile. Anche alle assemblee dei Club, come quello dei Giacobini, le donne potevano presenziare ma non entrare attivamente a far parte dei dibattiti politici. ):(

    Un'altra puntualizzazione interessante che hai tracciato nel secolo XVIII è quella serie di meccanismi, subdoli e pervasivi, che la società aveva messo in campo per "riportare le donne a casa". Questo è molto pericoloso perché influenza le coscienze, mentre, semplificando, davanti a una carica di polizia è piuttosto chiaro chi hai di fronte. Penso che a breve parlerai anche delle suffragette inglesi dell'inizio del 1900... e anche qui, altro che le rappresentazioni edulcorate del film Mary Poppins!

    L'esempio che mi viene in mente è un'eroina di carta, cioè Jane Eyre, per me un vero modello di indipendenza soprattutto mentale. La scena in cui respinge l'amore di Rochester, pur amandolo perdutamente (avendo scoperto che è sposato), pur di non svilire se stessa in una relazione ambigua che la renderebbe debole e soggetta, è da manuale.

    Brava, Clementina!

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    1. Proprio così, Cristina! Una bella panzana e la misoginia non mancava certo ai giacobini (e non solo a loro). :(
      Assolutamente, sì anche per il secondo passaggio: riportare le donne a casa, controllarle, dirigerle. In questo senso il “pietismo” ha un’enorme valenza e si lega a doppio filo al discorso sui romanzi, soprattutto quelli redatti da donne: un pericolosissimo punto di partenza per riflessioni sulla condizione femminile che mette la società in pericolo perché la lettrice non adempie più al suo compito di madre e moglie. Allora gli uomini iniziano a sostenere che leggere è evadere, cioè sfuggire alle contingenze.
      Certamente parlerò delle suffragette inglesi più avanti, inevitabilmente! E sono d’accordo con te: altro che le rappresentazioni alla Mary Poppins!
      Il personaggio della Bronte è un modello di indipendenza nella stessa misura in cui lo è la protagonista di Orgoglio e pregiudizio della Austen, cioè donne determinate che aprono all’indagine psicologica, ma in entrambi i casi le autrici non hanno mai affrontato la questione dell’indipendenza femminile di petto e le loro eroine si concentrano pur sempre verso la figura di un marito. Poi la discussione rimane ovviamente aperta.
      Grazie del bellissimo intervento Cristina!

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  8. Potrei aggiungere "Anna Karenina" di Lev Tolstoj, mi sembra indicato.

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  9. Assolutamente sì. Grazie mille del passaggio, Nick!

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  10. Questo excursus si preannuncia assai interessante. :)
    Sono felice che tu abbia lasciato spazio a diverse citazioni in ambito teatrale. E' vero, in particolare il teatro degli ultimi due secoli ha saputo dare ampio spazio all'universo femminile in tante sue sfaccettature.
    Casa di bambola di Ibsen per certi aspetti è spiazzante. Quando lo vidi, non so come mi riportò a Madame Bovary, nonostante le due storie siano nettamente diverse. La fuga e la morte come fuga parrebbe essere la soluzione ultima unica possibile per tante eroine di diverse epoche. Sì, la donna viene giudicata con le leggi degli uomini. E mi domando cosa sarebbe stato per ciascuna di noi vivere in epoche in cui le convenzioni facevano da padrone di ogni passo e scelta. E guardo me stessa, qui in questo momento, libera di confrontarmi a distanza seduta al pc, con una persona con interessi simili ai miei, mentre in questo stesso istante milioni di donne non possono nemmeno mostrare la testa scoperta o scegliersi un marito.
    Come insegnante, non manco di ricordare ai miei alunni questi dettagli. Uno sguardo sul percorso sociale della donna è una storia nella Storia.

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    1. Com'è vero ciò che dici, Luana! Per quanto siano ancora molti i passi da compiere, noi donne occidentali godiamo di una libertà estranea a tante sorelle di altri paesi. Ciononostante, frequentemente capita di sentir definire le femministe come delle invasate, o peggio ancora come delle isteriche e questo mi amareggia moltissimo, perché se oggi possiamo fare tutto quello che facciamo lo dobbiamo a quelle donne coraggiose. Tuttavia, il femminismo è anche decidere di non definirsi femministe, ma il femminismo non potrà mai prescindere dal corpo, dalla libertà fisica, ancor prima che mentale.

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  11. Argomento molto interessante! Non contribuisco, ma attingo. ;)

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    1. Bentornata, Grazia! Attingi, attingi e domani uscirà la seconda parte. :)

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dani.sanguanini@gmail.com