lunedì 25 settembre 2017

Inseguendo la Luna nel Parco dell’Olona




scorcio della pista ciclo-pedonale presso Castelseprio


Gli amici che seguono quest’angolo di arzigogoli sono ormai al corrente di quanto la natura mi affascini, ma pochi sanno che, una dozzina di anni fa, mi sono trasferita dalla grande metropoli che mi ha dato i natali e che mi ha ospitato per quarant’anni, per stabilirmi in un piccolo centro in aperta campagna.
Quel posto sembrava perfetto: a trenta minuti d’auto da Milano, a trenta da Como, a trenta da Varese. Tre splendidi specchi d’acqua dietro l’angolo di casa: lago di Como, lago di Varese, lago Maggiore; spazi verdi a perdita d’occhio.
Nel tempo libero, dunque, clima permettendo, non sono mai mancate le occasioni per esplorare il circondario, molto spesso in bicicletta.

Oggi, infatti, voglio parlarvi di una mia recente escursione sulle due ruote che, però si è dimostrata tutt’altro che rilassante.

Dopo aver attraversato alcuni centri abitati, ho imboccato, a Castellanza, una pista ciclo-pedonale che ben conosco e che ho bazzicato tantissime volte, anche perché praticamente passa anche sotto casa mia.

Tuttavia, non frequentavo quel tracciato da circa un anno. 

la pista tra i comuni di Gorla Minore e Gorla Maggiore
scatto personale


Si tratta di un sentiero che si snoda per una ventina di chilometri nella Valle dell'Olona, da Castellanza a Castiglione Olona, fiancheggiando in certa misura il fiume Olona e il sedime di una vecchia linea ferroviaria internazionale, dismessa da decenni, la Valmorea, la quale terminava a Mendrisio, in Svizzera. 


un tratto all'altezza di Gorla Minore
scatto personale





Dovete sapere che la peculiarità di questo circuito, percorribile senza fatica, è di attraversare un’ampia area valliva e boschiva punteggiata, vuoi da realtà industriali, vuoi da antichi siti accolti sotto l’egida dell’Unesco in quanto Patrimonio dell’Umanità, come ad esempio il bellissimo Monastero di Torba, a Gornate Olona, e il parco archeologico di Castelseprio.

In questo spazio, perlopiù protetto dal traffico automobilistico, incrocio panorami suggestivi alternati a scorci molto meno poetici, come gli stabili fatiscenti, dismessi negli anni ’70, o i transiti accanto al fiume  lungo i quali l’odore nauseabondo prodotto da decenni di sversamenti chimici raggiunge le narici senza pietà.

Insomma, quello che la zona offre non è solo rose e fiori!

Ma andiamo avanti.



monastero di Torba - scatto personale

Avendo trascorso i primi dieci chilometri in un contesto piuttosto ordinato e attrezzato, supero il confine del mio paesello e proseguo serena per un altro po' di strada. 
Chissà come mai, canticchio mentalmente una canzonetta, divertente e orecchiabile, in voga ai tempi in cui il futuro ci veniva dipinto come un bel sogno facilmente raggiungibile: Viva la campagna.

la pista affianca l'Olona a Catelseprio



Non so quanti tra voi la ricordino, o l’abbiano mai ascoltata, per cui vi riporto la prima parte del testo, quella che in quel frangente fluiva limpida nei miei pensieri imponendosi con prepotenza:




“Io sto in città/ son come una formica nella folla dell’umanità/ che corre qua e là/ a gran velocità/ con l’orologio che va che va che va/ Felicità non sei in città/ viva la campagna viva la campagna/ la civiltà è bella ma/ viva la campagna che mi dà: un arcobaleno sereno l’odore di fieno/ il canto corale di mille cicale/ un bianco puledro/ il fiore di cedro le stelle più grandi del ciel…”



Ecco, però, che nell’arco di poche pedalate, l’ambiente si trasforma radicalmente.

Man mano che avanzo colgo segni di una nuova trascuratezza che, in qualche modo, ha il merito di portare a galla il reale degrado del territorio circostante, scaraventandolo con rabbia sotto gli occhi di tutti per chiederne conto: erbacce incolte, staccionate divelte, manto stradale danneggiato da profonde buche, cavi elettrici penzolanti (che oltre a deturpare il paesaggio, forse sono anche pericolosi), rifiuti abbandonati intorno ai capannoni industriali dismessi e persino panchine date alle fiamme. 


uno stabile fatiscente tra le erbacce che costeggiano la ciclopedonale all'altezza di Cairate - scatto personale

lo stabile fatiscente della cartiera Vita Mayer a Cairate


il tratto lungo la ex cartiera











cavi elettrici penzolanti nel tratto di Fagnano Olona




sono molti i punti in cui il manto stradale è rovinato e le ortiche
stringono la strada


panchina incendiata lungo la pista ciclabile presso Cairate

Ebbene, se prima lo squallore della superficialità dell’uomo verso l’ambiente era mascherato da un’edulcorata patina di bon ton – l’erba e il manto stradale curati, le adeguate recinzioni che delimitano il percorso evitando l’accesso alle aree dismesse – adesso, si vede con chiarezza che il re è nudo.

L’area che accoglie questa pista, sfruttata per anni per attività produttive industriali (in parte lo è ancora), è sempre rimasta priva di un piano complessivo di interventi di  bonifica

il fiume accanto alla pista ciclabile presso Castiglione Olona
scatto personale

Si badi bene che non sto avanzando delle ipotesi, ma vi sto parlando di studi condotti dalla stessa Regione Lombardia ( per approfondire cliccare QUI ) che riferiscono più di un caso di superfici a rischio, grazie alla presenza di rilascio di sostanze inquinanti.


Secondo queste analisi, almeno uno dei vari stabili lungo la ciclabile, la Cartiera Vita Mayer di Cairate, è stato ufficialmente dichiarato potenzialmente rischioso dal punto di vista della salute in quanto contaminante. Ciononostante, nessuno ha disposto un intervento di bonifica del suo terreno (sarà colmo di amianto? chissà!)  e nessuno ne ha disposto un monitoraggio costante. È ancora lì, come potete osservare nella foto.

Alla luce di quanto finora esposto, forse il vandalismo e l’abbandono di rifiuti che ho potuto documentare durante la mia pedalata, soprattutto nel percorso che attraversa Cairate, non sono soltanto gesti pessimi e deprecabili, ma segnalano un malessere sociale in risposta anche alla diffusa sciatteria dell’amministrazione dei Comuni che hanno deliberatamente abbandonato il loro territorio all’incuria, trasformandolo in terra di nessuno

Orbene, l’impressione ricavata in seguito alla recente esplorazione della pista in Valle Olona è che nella nostra folle società (ahimè, in tutta la Penisola), nella quale domina la cultura dell’ingordigia, le istituzioni si fanno mute.

Mi pongo molte domande: chi ha il dovere di farsi carico della manutenzione dei luoghi pubblici? Chi dovrebbe ridare decoro al territorio? Chi dovrebbe farsi carico di immobili abbandonati quando i proprietari non sono più reperibili e/o non rispondono?
I Comuni? Le Province? La Regione? Lo Stato?

Per quanto ne so, la manutenzione di quella pista è di spettanza dei comuni attraversati e il risultato è sotto gli occhi di tutti: alcuni di essi hanno evidentemente ottemperato al proprio dovere, mentre altri non l’hanno fatto.
Inoltre, mi sembra che la normativa nazionale indichi a chi inquina l’obbligo di pagare gli interventi di bonifica e di ripristino ambientale. Però, prevede anche che, qualora i responsabili non siano individuabili, o non rispondano, gli interventi debbano essere realizzati d’ufficio dal Comune territorialmente competente, o se questo non risponde, dalla Regione.
Ma, intanto, sono trascorsi quasi cinquant’anni da quando la cartiera di Cairate è stata dismessa ed è ancora lì, con i suoi inquinanti.
Perché, allora, nessuno interviene?
Perché nella ricca provincia di Varese, nell’opulenta regione Lombardia, così come nel resto della Penisola, ci ritroviamo, anno dopo anno a constatare l’inefficienza dei nostri amministratori? 


Quale significato assegneranno all’ambiente, le amministrazioni di questi comuni negligenti? E quale senso attribuiranno alla sicurezza?


Dal mio modesto punto di vista, la sicurezza è una categoria concettuale molto ampia che comprende diversi significati e, tra le tante accezioni, include la tutela e salvaguardia ambientale

Inutile fingere di non vedere: siamo in un Paese dove tutti si credono superiori ed estranei alla natura, tutti la possono violentare, ma nessuno ammette la propria responsabilità.

Mi chiedo a cosa sia servito dimostrare di aver raggiunto la Luna, ai tempi in cui alla radio trasmettevano Viva la campagna (Felicità non sei in città/ viva la campagna viva la campagna…) se oggi ci lasciamo governare da chi non rispetta la terra in cui viviamo.

No, cari signori, non bastano le canzonette!


Oggi il post è così... :-(  

Spero di ricevere i vostri commenti e auguro a tutti una felice settimana! 





venerdì 22 settembre 2017

L'incontro 3/3



L’incontro 3/3 


[Vuoi recuperare i capitoli precedenti? Capitolo ICapitolo II]



Cari amici, se vi fa piacere, qui troverete il terzo e ultimo capitolo de “L’incontro”, il mio racconto pubblicato a puntate sul blog.
Vi auguro una buona lettura e, come sempre, vi ricordo che i commenti sono molto graditi. ^__^





René Magritte, Il terapeuta, 1941



Un turbine di idee frastornanti lo travolge all’improvviso, angosciandolo sempre più.
Il cuore prende a battere all’impazzata, mentre una fiacchezza profonda si impossessa del suo corpo ghermendone le membra che, con tutto ciò, ormai si muovono come foglie al vento.
Le mani, le braccia, persino le gambe, prendono ad agitarsi in un tremore diffuso e grosse gocce di sudore scendono copiose dalla fronte, dalle ascelle, dall’inguine. 
«Soffoco, sto morendo d’infarto» è il suo primo pensiero.  
Un invisibile macigno comprime le costole e l’aria non può più entrare nei polmoni.
D’istinto, prima di accasciarsi a terra in mezzo al viale deserto, slaccia i primi bottoni della camicia. Quel semplice gesto si rivela salvifico, di lì a poco riprende a respirare e, pian piano, l’attacco si attutisce.  
Trascorsi alcuni minuti, sebbene ancora in preda alla confusione, un pensiero prende a sgomitare tra i circuiti della mente per farsi strada:
«Devo rivivere il tempo perduto, non restare inerte, chiuso nel mio guscio e vinto dalla paura, in attesa che il mio destino si compia. Quale che sia il significato di questo sbalzo temporale lo scoprirò solo confrontandomi con la gente.». 

Convinto che a quell’ora la zona più battuta dai villeggianti sia il litorale, decide di farvi ritorno.
In principio cammina come un sonnambulo che, incerto sul procedere, in un sogno dai contorni opalescenti e minacciosi, si muove a stento. Poi, recuperando via via le forze, allunga il passo e, infine, intravedendo una panchina libera verso cui si sente attratto come un metallo alla calamita, inizia a correre di gran carriera fino a raggiungerla.
Non fa in tempo ad accomodarsi che un debole ma insistente fischio nell'orecchio sinistro, inizia a farsi sentire.  
«Purché non peggiori» si dice «lo posso sopportare». 
Osservando l’allegro andirivieni dei passanti riprende fiato e, finalmente, concede al buonumore di fargli visita.
Un paio di minuti dopo gli si avvicina un bellimbusto, sui trentacinque anni, vestito di tutto punto, con cappello, cappotto, giacca e cravatta che, ammiccando, prende posto sul medesimo sedile apprestandosi a sfogliare un quotidiano. 
Umberto inclina leggermente il capo per osservare il volto del nuovo arrivato, quasi del tutto celato dal grande foglio di giornale, senza dar troppo nell’occhio.  
«Mi scusi» sussurra, mordendosi subito le labbra per essersi lasciato scappare quelle parole senza usare cautela. Ma il tono della voce è fin troppo basso perché l’altro possa averlo udito in mezzo all’acuto stridio di gabbiani scoccato tutt'intorno. Se ne rende conto a breve e così anche il rimprovero, appena lanciato contro se stesso, cade in fretta nel vuoto.
Qualche istante più tardi è di nuovo in procinto di gettare un’occhiata furtiva in direzione del damerino costantemente assorto nella lettura delle notizie quando, di colpo, lo sente borbottare, forte e chiaro, all’indirizzo di una coppia che sta camminando dinanzi a loro.
Il rancoroso brontolio, per la precisione, viene rivolto alla giovane donna, una biondina teneramente appoggiata al braccio del suo uomo: 
«Con me non esci, ma con lui sì!»

La bionda, accortasi della molesta presenza dell’individuo che forse tante altre volte l’aveva importunata per strada, accenna a una smorfia di disgusto e senza insospettire il compagno, attratto dalle onde del mare che si accavallano fino a scagliarsi con fragore sugli scogli in un crescendo di scoppiettanti spruzzi, allunga il passo inducendolo a seguirla in tutta fretta. 
L’ex galeotto non può far a meno di inseguire con lo sguardo i due innamorati che, intanto, raggiungono un piccolo chiosco, posto sull’angolo dove la strada curva per seguire la costa, e spariscono dalla sua visuale.  
In quel frangente il vicino, senza alcun cenno a voler staccare gli occhi dalla carta stampata, parla di nuovo: 
«Buongiorno! Bella giornata, vero?» gli domanda con spavalderia
Lui, che non ha mai dimenticato il suono di quella voce, ora è più che certo di riconoscerla. 
Il giovanotto lo sta approcciando col fare loquace di chi è intenzionato ad attaccar bottone, ma ora egli è troppo eccitato per rispondere. Nella sua mente, a causa della scena cui ha appena assistito, sta per scatenarsi un uragano di pensieri che, l’uno dopo l’altro, si rincorrono attorcigliando tra loro sentimenti contrastanti.
Le immagini appena assimilate si fan sempre più vivide, intrecciandosi con quelle dei ricordi snocciolati notte, dopo notte, in carcere. Reminiscenze che, con prepotenza, bussano alla memoria e che insieme alle nuove percezioni, si accostano come frammenti di una pellicola rimontata alla bell’e meglio sulla moviola per restituire un cortometraggio noto, ma con un preludio inedito.
Ed è proprio il prologo a provocargli un brivido che percorre la schiena e increspa la pelle: in quel luogo aveva avuto inizio il suo dramma.

I pensieri galoppano come furie sfrenate verso quei momenti, svelando poco a poco ogni loro particolare.
Quel maledetto giorno di trent'anni fa si era accomodato su questa panchina a prendere una boccata d’aria. Si sentiva allegro, sollevato dalle preoccupazioni e allo stesso tempo affamato di nuove eccitanti esperienze.
Il viale si presentava sgombro dal solito viavai di gente rumorosa, forse a causa dell’imminente mareggiata.
L’immenso specchio d’acqua era mosso da tumultuosi cavalloni e nel cielo le nuvole si rincorrevano per unirsi in un torbido coagulo che nel giro di qualche minuto avrebbe oscurato il bel sole del mattino.
Gli pare di sentire ancora nell'aria l’odore pungente dell’ozono che annuncia il temporale.
Di lì a poco avrebbe incontrato Guido.

Già, Guido!
Colui per il quale ha trascorso tre decenni fra le sbarre, l’uomo che in questo momento sta occupando l'altra metà della panchina.
   
Per l'intera durata della prigionia si è tormentato senza sosta, tra le strette mura della cella, per tentare, invano, di comprendere cosa avesse spinto il baldanzoso giovane a compiere un omicidio tanto scellerato, quanto inspiegabile.
Ciascuna ipotesi formulata aveva perso miseramente consistenza, una volta sottoposta al ragionamento: un errore, un’improvvisa esaltazione, la rabbia covata verso l’ambiente di lavoro e verso la sua clientela. Supposizioni assurde, lontane anni luce dall’indole fredda e impassibile di quell’uomo.  

Ma adesso tutto ha acquistato una nuova luce.

“Dannazione. Come ho fatto a non capirlo in tutto questo tempo?” si chiede, con durezza.
Ma Umberto non avrebbe mai potuto immaginare ciò che solo oggi gli si sta dipingendo davanti agli occhi con tanta precisione, perché a quei tempi ignorava cosa fosse accaduto prima del suo arrivo lungo la passeggiata e, pertanto, gli sfuggiva l'imprescindibile dettaglio che lo avrebbe aiutato a trovar la soluzione.
L’irrefrenabile corsa, da poco sostenuta, che lo ha spinto a giungere in anticipo, rispetto alla sequenza primigenia, presso il luogo in cui ora siede, gli ha permesso di strappare un frammento sconosciuto appartenente all'intera scena. Attimi fondamentali, grazie ai quali ha potuto cogliere l’indispensabile connessione da sempre inseguita e, infatti, ha potuto riconoscere il corteggiatore della donna dai capelli d'oro, che altri non era che il povero giudice Lo Iacono.
Dunque, Guido, non solo conosceva la futura vittima, ma la detestava.
Ne era morbosamente geloso.
Con molte probabilità si era convinto che il rivale non meritasse di vivere felice accanto alla donna su cui lui stesso aveva posato gli occhi.
Aveva preso di mira una giovane donna che nemmeno conosceva, come si prende di mira una preda durante una battuta di caccia. Sull’onda di un sentimento corrotto e insano si era sentito autorizzato a pretendere che la ragazza ricambiasse le sue attenzioni, autorizzato a oltraggiarla e, come se non bastasse, a progettare, sì, a progettare, con deliberata freddezza, un terribile piano mirato a uccidere il magistrato.
Ecco, quindi, ricomposto il drammatico mosaico. Ecco, finalmente, svelato l’arcano.    

E a breve, come in un dejà vu, avrà luogo il primo dialogo con l’orrenda causa della sua rovina.

«Mi serve ancora un minuto» implora in silenzio a pugni stretti, mentre guarda da una nuova angolazione il “vecchio complice”.
Vede un individuo spocchioso, seduto a fingere di sfogliare il giornale, mentre ambisce a ben altre e più turpi mire.
Scruta il modo in cui si atteggia, disinvolto, sfoggiando l’ingannevole sorriso di chi affronta la vita con sfacciataggine, cinismo e distacco.
Riflette che dietro quel volto d’angelo si nasconde un mostro pericoloso, pronto a ingannare e usare chiunque, senza alcuna remora, pur di ottenere ciò che desidera per sé e poi… Poi rammenta le parole della Morte: «Devi dimenticare il passato».

Indugia in silenzio.
Guido, che intanto ha staccato gli occhi dalla rivista, ora osserva con aria interlocutoria lo stravagante vicino. 
La scelta è compiuta.

Umberto mantiene il contatto visivo e si alza. Inghiotte la saliva, aggiusta per bene il cappotto. Solo dopo aver abbozzato un sorriso di educata circostanza ed essersi schiarito la voce, risponde: 
«Buongiorno a lei». 

Si accerta di aver recuperato un po’ di stabilità sulle gambe, poi molto lentamente, si gira dalla parte opposta e spingendo con veemenza lo sguardo oltre l’orizzonte, va incontro alla nuova vita.



Buona giornata a tutti ^__^  e buon fine settimana! 
Il prossimo articolo su questo blog uscirà lunedì: vi aspetto! 


Ciao! :-)


lunedì 18 settembre 2017

I Tarocchi classici: Arcani maggiori. La Papessa/11



figura 1



Tornano le schede sugli ARCANI MAGGIORI!

Oggi parleremo de La Papessa e, credetemi, c’è molto da dire, anche perché, diversamente da ciò che abbiamo riscontrato finora, la figura che stiamo per analizzare regge una duplice connessione, storica e leggendaria. Per questo motivo parleremo dell’arcano, ma inevitabilmente faremo una rapida irruzione nella condizione femminile nel Medioevo.

Figura 2
Secondo alcune fonti, sembra che durante il XIII secolo sia stata eletta a pontefice una giovane donna.
Costei, cui si attribuiscono diversi nomi (Giovanna, Agnese, Glancia, Giliberta, Gilibera), avrebbe governato la Chiesa per due anni e mezzo, dall’853 all’855, poco prima del papato di Benedetto III, con il nome di Giovanni VIII.
Sì, Giovanni, al maschile, in quanto pare che la nostra protagonista, per svolgere una funzione da sempre rigorosamente ricoperta dai maschi, si sia abilmente travestita da uomo.
La narrazione, ripresa anche dal Boccaccio nel suo De Claris Mulieribus, fa riferimento a una donna inglese, educata a Magonza che riuscì a farsi monaco con il nome di Johannes Anglicus per poi salire al soglio pontificio.

Provate a immaginare: in un’epoca in cui regnava l’avversione nei confronti del sesso femminile – sì, va be’, non che sia cambiato moltissimo, ma almeno in Occidente qualche passo in avanti è stato fatto. Anche se... – una donna va a rappresentare il più importante funzionario ecclesiastico, ponendosi quindi in posizione dominante rispetto agli uomini.
Come se non bastasse, questa donna, per giunta, è sessualmente attiva: pazzesco! ;-)

Figura 3

La leggenda, pubblicata la prima volta nel 1240 dal cronista domenicano Giovanni di Metz, racconta che durante la processione pasquale dell’855, diretta a San Giovanni in Laterano, la Papessa, segretamente incinta, viene avvicinata dal popolo entusiasta che si stringe intorno al suo cavallo.
L’animale, impaurito da quello che gli pare un assalto, reagisce imbizzarrendosi. Questo suo improvviso impennarsi provoca il prematuro travaglio della gestante, la quale si porta, a fatica, in disparte nel tentativo disperato di dare alla luce il figlio.
La folla romana, che fino ad allora si era dimostrata acclamante, quando si accorge dell’inganno, si infuria. Impietosa, attribuisce il parto, che si stava consumando sotto gli occhi di tutti, a un prodigio del diavolo. Decide in tutta fretta di legare la Papessa a un cavallo istigato a correre e inizia a lapidarla fino a causarne la morte, nei pressi di Ripa Grande. 

Se le cose fossero andate in questo modo si sarebbe trattato di una gigantesca barbarie, ma non sembra esserci modo di verificarlo.

Guardiamo allora al contesto.
La vicenda o leggenda si innesta in secoli durante i quali la politica e l’economia dell’intera penisola veniva amministrata da una Chiesa molto spesso corrotta. Tempi confusi e violenti in cui le donne, che pur contribuivano attivamente alla vita del paese, godevano di ben pochi diritti. In linea di massima, possiamo dire che era loro negato l’accesso ufficiale al sapere e potevano esser giustiziate, brutalizzate, uccise, date alle fiamme, senza destare nessun scalpore. Tanto per offrire un’idea della visione coeva dell’immagine femminile, è sufficiente riflettere sul fatto che in quell’epoca si riteneva che il sangue mestruale rendesse sterili i campi. Da qui a confezionare la credenza che la donna rappresentasse lo strumento nel quale Satana fosse sempre pronto ad incarnarsi, quindi, bastava poco!

Per riprendere le parole di Carla Casagrande, docente di Storia Medievale presso l’Università di Pavia, membro della Société Internationale pour l'Étude de la Philosophie Médiévale (SIEPM), della Società Italiana per lo Studio del Pensiero Medievale (SISPM), della Società Internazionale di Studi Francescani, della International Medieval Sermon Studies Society (IMSSS), bisogna intenderci su un punto cruciale: di “Quali donne” stiamo parlando?
Secondo l’esperta, infatti, già il processo di classificazione delle donne nel Medioevo, non rientra nelle operazioni più semplici, in quanto si basa su un unico criterio, quello morale:

“per chi ha alle spalle una tradizione che ha raramente pensato alle donne all’interno delle rappresentazioni della società preferendo unificarle nella categoria ‘donna’ in cui, in base a un criterio unicamente morale, si collocano le contrapposte ma solidali immagini della donna lussuriosa, soggetto e oggetto di peccato, e della donna casta, simbolo di virtù e salvezza.”

Sempre sulla base di ciò che insegna Carla Casagrande, solo verso il 1200-1300, con il giurista fiorentino Francesco da Barberino, si otterrà una vera e propria esplosione di categorie femminili che, tuttavia, non aiuta affatto l'emergere di un'identità femminile forte. Anzi...:

“si comincia con le giovinette e le ragazze al tempo del matrimonio, per passare alle donne che hanno superato l’età da marito, a quelle che si sposano tardi, alle donne sposate; ognuna di queste categorie è a sua volta distinta in sottocategorie a seconda che la donna provenga da una famiglia di re e imperatori, di nobili, di cavalieri, giudici e medici, di mercanti e artigiani, di contadini e lavoratori; si prosegue con le vedove , le vedove che si risposano, le donne che conducono una vita religiosa in casa, le monache, le recluse solitarie, le dame di compagnia, le ancelle, le balie e le serve e si conclude con una serie di donne di umili condizioni: barbiere, fornaie, fruttivendole, tessitrici, mugnaie, pollivendole, mendicanti, mercivendole, ostesse e meretrici…”

In pratica, soprattutto prima del XIII secolo, il carattere dominante del pensiero ecclesiastico (che poi era quello più diffuso in assoluto) è la misoginia
La donna viene considerata incapace di salvaguardarsi da sola (la famosa infirmitas), necessita della custodia dei padri e dei mariti, e quando questi vengono a mancare, subentrano i direttori spirituali che reclamano a sé il suo corpo e la sua anima.
In poche parole, è considerata una mentecatta. 

A ogni buon conto, tornando alla nostra Papessa, la Chiesa di oggi nega con veemenza che tutto ciò sia avvenuto, così come nega che i documenti, le stampe e le citazioni che circolarono, per oltre un secolo, riguardo questa figura femminile seduta sul trono papale, siano mai stati attendibili.
Per tutta risposta, riferisce che questa figura sia esclusivamente frutto di una leggenda originata da una un’azione antipapista dell’epoca.

Come siano andati realmente i fatti non lo sapremo mai, ma ciò che mi preme sottolineare di questa leggenda (leggenda nel suo nucleo originale, forse, ma storia vera nella sua utilizzazione) è la persistenza dell’ossessione che la donna possa esercitare prerogative maschili, oltreché la paura per un corpo di cui si teme la perversa seduzione.


Per dovere di cronaca, sottolineo che Giovanna (che si faceva chiamare Giovanni) entra nel gioco dei tarocchi in un mazzo di carte commissionato da Francesco Sforza, tra il 1451-1453. La Papessa ricorderebbe la memoria di una parente stretta di Matteo Visconti, vicario imperiale all’inizio del XIV secolo, finita sul rogo perché sospetta di eresia e perché lei stessa si era assunti compiti vicini a quelli svolti dal pontefice


Ebbene sì. Dovete sapere che in terre ambrosiane, dal XII al XV secolo, erano attivi più di un movimento cattolico costituito da varie sette religiose, e Manfreda Visconti (o Maifreda), cugina di Matteo Visconti (a sua volta figlio di Teobaldo e nipote di Ottone, arcivescovo di Milano) aderiva a una di esse, essendo suora all’ordine delle Umiliate.
Verso la fine del 1200 Manfreda decise di seguire le orme di Guglielma di Boemia, una monaca dell’abbazia di Chiaravalle capace di attirare a sé un incredibile stuolo di milanesi grazie alle sue prediche e alla sua fama di guaritrice.
Alla morte di Guglielma, avvenuta per cause naturali intorno al 1281 o 1282, la nobile Visconti venne considerata da tutti quale sua erede spirituale e investita del titolo di Papessa.


figura 4
Aiutata dal teologo Andrea Saramita, diede vita al culto della figura di Guglielma, intenzionata a chiederne la santificazione, finché la domenica di Pasqua del 1300 officiò, indossando i paramenti sacri del sacerdozio, una messa solenne in suo onore, dichiarandola risorta come Gesù Cristo.


A quel punto scattò la denuncia e la donna finì nel mirino della Santa Inquisizione, la quale si servì dei domenicani Guido da Cocconato e Ranieri da Pirovano per far luce sulla questione. 
L’inchiesta, voluta dallo stesso Papa di allora, Bonifacio VIII, durò poco più di un anno. 

Come risultato Guglielmina venne condannata postuma quale eretica e le sue ossa vennero pubblicamente date alle fiamme. Nel novembre del 1301 toccò a Manfreda e al teologo Saramita, che vennero arsi su un rogo preparato in Piazza Vetra.

E questa è storia.





Il tarocco in questione, dunque, sarebbe una spia dell’atteggiamento antipapale dei Visconti-Sforza.


Ora, però, se non vi dispiace, passerei a trattare l’argomento dal punto di vista dei Tarocchi di Marsiglia.

Da qui in poi prenderò spunto dai libri di Laura Tuan e Alejandro Jodorowsky. Andiamo, dunque, a scoprire i significati attribuiti a questa carta…

Figura 5

Entrambi gli autori affermano che La Papessa viene rappresentata da una misteriosa donna incoronata con la tiara papale, seduta su un seggio imponente. Lo scranno sul quale siede è celato alla vista da un drappeggio che simboleggia la clausura, nel convento, nel tempio o nel chiostro, e che tale clausura sembra proteggerla dalle insidie del mondo.
Tutt’e due sostengono che simboleggia la grande sacerdotessa, la maga, la dea. Può rimandare a Iside, la dea egiziana del disco lunare, che riuscì a riportare alla luce Osiride, il dio solare suo sposo che era chiuso nel mondo sotterraneo presso le divinità della morte. Può riferirsi anche a Selene, la luna, il cui aspetto oscuro è rappresentato da Ecate, terribile dea dei morti invocata dalle streghe nelle cerimonie magiche, ma richiama alla mente anche una qualsiasi Madonna Nera dell’iconografia cristiana.
Inoltre, è associata al Due, il primo dei numeri pari, non da intendersi come 1+1, ma come un valore puro: è la prima porta e il primo passaggio attraverso il quale l'Uno (il Bagatto) può penetrare per portare la luce fecondatrice e uscirne incoronato dopo aver illuminato l’interno e contemporaneamente esserne stato illuminato di riflesso proprio.
In questo senso la Papessa rappresenta la Conoscenza, ovvero il dubbio fecondo, il potere oscuro della natura che una volta illuminato dà la conoscenza. Pertanto, essa descrive le forze inconsce, la Sostanza divina.

Piano interpretativo: la carta dritta

Jodorowski sostiene che la Papessa “viene verso di noi per parlarci della nostra vita materiale e contemporaneamente dello spirito puro”.
Laura Tuan sottolinea che quando l’arcano si presenta dritto è estremamente benefico e indica che realizzare un desiderio a cui si tiene molto sarà possibile, a condizione di saper usare la cautela e mantenere un segreto.
Si tratta per entrambi di una carta che suggerisce la pazienza, invita a riflettere sulle cose, a procedere poco per volta, senza lasciare nulla al caso.
Sul piano affettivo parla di un rapporto sereno e costruttivo, sebbene poco espansivo e può segnalare un matrimonio lungamente desiderato.
Sul piano professionale indica un successo raggiunto con l’impegno. Non su un colpo di fortuna.
Sul piano finanziario è debole e indica una ricchezza più spirituale che materiale.
Sul piano fisico rimanda soprattutto alla salute interiore, all’armonia psicofisica e alle tecniche meditative che hanno un grande potere risolutivo sulla malattia.
Infine, indica la presenza di una figura femminile capace di fornire aiuti e validi consigli. Se la consultante è donna, può rappresentare lei stessa. Se a consultare le carte sarà un uomo, si tratterà della donna amata, o della madre, o una socia, sorella, maestra.
In generale, si riferisce a una donna sui quaranta-cinquant’anni.
In pratica, l’arcano consiglia di seguire la via più conveniente all’attuazione del progetto che ci sta a cuore e suggerisce di seguire i consigli di un’amica fidata.

Piano interpretativo: la carta al rovescio

E’ una carta molto forte, è quindi importante per l’interpretazione prestare molta attenzione alle carte vicine.
Ci possono essere contrattempi non dipendenti dal soggetto; ci si inganna su qualcosa, si intraprendono strade sbagliate. Si è troppo passivi di fronte agli ostacoli; solitudine e isolamento. Prevale la superficialità nelle cose o la freddezza e l’insensibilità.
Può indicare maldicenze, leggerezza nel tenere i segreti, chiacchiere, relazioni clandestine, tradimento.
Dal punto di vista affettivo si sta attraversando un periodo di crisi per mancanza di comunicazione, il partner si sente poco amato, prevale chiusura e freddezza nei rapporti. La Papessa al contrario può indicare anche una donna nemica che vuole ingannarci, una collega invidiosa, un rapporto conflittuale con la madre.
Se la consultante è donna, può indicare la sua difficoltà ad accettarsi tale oppure una rivale in amore. Se il consultante è uomo, può indicare la paura sia delle donne in generale, che verso una donna in particolare.
Nella sostanza, l’arcano consiglia di diffidare da chi ci si rivolge con eccessiva dolcezza. Suggerisce di chiarire la nostra posizione e di non sottovalutare un mistero, oltre che ricordarci di non attenderci colpi di fortuna.

È tutto, cari amici!
Aspetto di sentire la vostra opinione riguardo al post…

E voi, cosa pensate della Papessa?

Buona settimana a tutti e, se vi va, arrivederci a venerdì con l’ultimo capitolo de L’incontro.
:-)

 



BIBLIOGRAFIA:

Georges Duby, Michelle Perrot, Storia delle donne – Il Medioevo, ed La Terza

Wikipedia, Papessa

Laura Tuan, Il linguaggio segreto dei Tarocchi, ed. De Vecchi 

Alejandro Jodorowsky, Marianne Costa, La via dei Tarocchi, ed. Feltrinelli


ICONOGRAFIA

1.      Particolare del tarocco La Papessa, ritratta su una carta dei Tarocchi Visconti-Sforza eseguiti da Bonifacio Bembo, ca. 1450, The Pierpont Morgan Library (inv. M. 630), New York - fonte Wikipedia

2.      La Papessa Giovanna raffigurata nelle Cronache di Norimberga di Hartmann Schedel, 1493 - fonte Wikipedia

3.      Jakob Kallenberg (1500-1565) La papessa Giovanna mentre partorisce. Stampa tratta dal Delle Donne Illustri del Boccaccio, cap. XCIX, «De Ioanne Anglica Papa» - fonte Wikipedia

4.      La Papessa nel mazzo Visconti-Sforza eseguiti da Bonifacio Bembo, ca. 1450, The Pierpont Morgan Library (inv. M. 630), New York - fonte Wikipedia

5.      La Papessa nel mazzo di Tarocchi Marsigliesi, ed. Lo Scarabeo (scatto personale)