lunedì 3 luglio 2017

Bernini e Borromini, eterni rivali



La storia, in particolare quella dell’arte, è costellata di vicende legate a contrasti tra vari antagonisti. Una rivalità, che via via si fa sempre più accesa e si trasforma in qualcosa di molto potente, capace di modificare i progetti iniziali di quegli artisti per spingerli a raggiungere vertici innovativi tali da riverberarsi su tutti noi.

Forse non è un caso che certi destini si incrocino. Forse non è un caso che certe relazioni lascino un segno che va oltre la vita dei protagonisti. Chissà... ma secondo il pensiero buddista “il caso” non esisterebbe affatto. 

In questo post mi propongo di raccontarvi la storia di due di loro: Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini.

Prima di focalizzarci sulla biografia dei due artisti-architetti, vorrei contestualizzare la scena in cui si svolgono i fatti di cui più tardi vi narrerò.

Parlando di Bernini e Borromini sono stati spesi fiumi di inchiostro per definirli quali maggiori esponenti dell’architettura barocca

Gian Lorenzo Bernini,
Autoritratto (1623 circa),
Galleria Borghese, Roma
Francesco Borromini,
Anonimo ritratto giovanile.


Ora, come tutti sappiamo, nella storia dell’arte vengono applicate a posteriori delle categorie che servono per comprendere a quale periodo ci si stia riferendo. Nella realtà, nessun artista del diciassettesimo secolo sapeva di essere barocco, ovviamente!
Questa regola vale per qualsiasi partizione, ma nel caso del barocco oserei dire che vale ancora di più. Perché? Semplicemente perché il termine “barocco” di per sé non esiste, è pura invenzione.
Verso la fine del Seicento viene usato l’aggettivo francese “baroque”, a sua volta ricavato da un vocabolo portoghese, che si riferisce alla perla scaramazza, dalla forma strana, contorta. Questa parola, però, è stata associata all’arte e all’architettura romana di quel periodo per indicare qualcosa di bizzarro, in accezione quasi sempre negativa.

Ma vediamo di collocare questa stagione culturale all’interno di date certe. Possiamo dire che essa nasce con la conclusione del Concilio di Trento, nel 1560 e si chiude con la salita al trono di Luigi XIV, nel 1666.
Sono anni di conflitti tremendi che coinvolgono il vecchio continente: basti pensare alla cosiddetta Guerra dei Trent’anni che dilaniò l’Europa centrale, in particolare il popolo germanico, tra il 1618 e il 1648. L’Italia, diversamente da altri Paesi, attraversò quel periodo senza grandi sconvolgimenti bellici, anche se versava in uno stato di estrema povertà a causa della terribile carestia che facilitò la diffusione della peste (1630-31) al nord, soprattutto su Milano. 
Dal Concilio di Trento, che per molti ebbe una funzione repressiva, emergono due grandi giustizieri: Carlo Borromeo, che diventerà Arcivescovo di Milano, si opporrà alla candidatura a pontefice e infine verrà santificato e Gabriele Paleotti, altro Cardinale che diventerà Arcivescovo di Bologna. Borromeo e Paleotti, di fatto, scandiscono i dettami della vita quotidiana. Se la prima metà del ‘500 è dominata dagli intellettuali, motore della creatività – anche i grandi artisti del Rinascimento altro non sono che figli di grandi famiglie borghesi e intellettuali – la seconda metà, quella appunto della controriforma, sarà contro gli intellettuali. La Chiesa in quel periodo cerca la via dell’accordo per impedire che anche l’Italia venga sommersa dalle guerre intestine e guarda a quel mondo intellettuale come a qualcosa di molto pericoloso, proprio perché apportatore di dibattiti che favoriscono la nascita di ipotesi scomodissime.
Così, lo stesso Borromeo, vero “regista” del Concilio di Trento, ci va giù pesante. Ispeziona ogni singola diocesi per verificare la condotta dei vari sacerdoti e interviene più volte con plateali espulsioni. Chiede ai parroci di tenere sotto controllo il comportamento dei fedeli (anche i comportamenti superstiziosi e blasfemi), dispone che durante la celebrazione delle funzioni sacre gli uomini e le donne restino separati, istituisce processi per stregoneria, indica quali siano i divertimenti e festeggiamenti consentiti al popolo e quali no. Ma non è tutto e, infatti, mentre nel Nord Europa si sviluppa l’arte del rigore, qui Borromeo mette a punto i nuovi canoni, in particolare, relativi alla pittura sacra. Quindi, istituisce un organo di controllo e di filtro delle opere che saranno destinate al pubblico, sotto il giudizio dei vescovi. I topos della pittura controriformista, ad esempio, saranno la sofferenza e la morte come strumento di affrancamento dai peccati e di elevazione verso Dio. Guai all’artista che peccherà di fantasia nel rappresentare i personaggi biblici. Però, come sempre accade, c’è sempre qualcuno che trova degli escamotages

Michelangelo Buonarroti, Giudizio Universale,
Cappella Sistina, Roma. Si noti l'intervento censorio
di Daniele da Volterra, detto il Braghettone

Avviene così che, da una parte, viene ingaggiato Daniele da Volterra (detto il Braghettone o Mutandaro) per rivestire di “perizomi” il Giudizio Universale di Michelangelo, mentre dall’altra, Pellegrino Tibaldi (pittore e architetto in cui Carlo Borromeo riponeva tutta la sua fiducia), paradossalmente presenta opere muscolosissime, come l’“Adorazione dei pastori” e “L’accecamento di Polifemo” con personaggi ripresi di schiena e caratterizzati da pose contortissime.
Pellegrino Tibaldi
Adorazione dei pastori, 1549, Roma,
Galleria Borghese

Un altro dettame della controriforma è appiattire tutto: vengono pertanto esaltate le arti minori a svantaggio delle maggiori. Tutto deve avere lo stesso peso: l’intagliatore di legno varrà come lo scultore e così via.
L’arte deve diventare popolare, la stessa Italia deve tornare alle sue origini popolari e il potere dovrà rimanere in mano all’unico attore che possiede il diritto di mantenerlo, cioè la Chiesa. Il motto della controriforma sembra, dunque, essere: “Non leggete, non studiate, non approfondite. Divertitevi, ma non troppo e solo come indichiamo noi, dopodiché state calmi”. Le figure dei papi saranno fondamentali nella storia dell'arte barocca (seguite i cognomi e capirete).
Anche sul piano musicale cambiano i registri: se prima la musica era destinata a pochi eletti che potevano goderne in privato, ora prende piede l’uso del violino, strumento che risuona più potente di qualsiasi altro e che, pertanto, si presta a far ballare la gente in piazza. In architettura scompare il punto di fuga unico, tipico del Rinascimento: gli equilibri perfetti vanno dimenticati, entrano in gioco torsioni ed equilibri vertiginosi, più affini all’universo dei manufatti artigianali (certi riccioli barocchi evocano più la pasticceria, che l’architettura) e si dà il via a una commistione di estetiche dove tutto si equivale.

papa Gregorio XV
In questo scenario non va dimenticata la discesa, oggettivamente cospicua, di nordici che “invadono” letteralmente i cantieri romani. Sono tantissimi, infatti, i ticinesi chiamati a Roma da papa Gregorio XV, nato Alessandro Ludovisi (quello che nominò Armand-Jean du Plessis, passato alla storia come il cardinale Richelieu) che svilupperanno la cultura del manufatto. Tutti questi elementi messi insieme costituiranno la base per la nascita del Barocco che altro non è se non un grandissimo evento dello spettacolo liturgico. Sarà sotto questa luce che andranno lette le biografie di Bernini e Borromini.

Francesco Castelli, nasce, nel 1599, a Bissone, vicino al Lago di Lugano in Canton Ticino, da una famiglia di capomastri e scalpellini. Più tardi cambierà il proprio cognome in Borromini, in onore di San Carlo Borromeo. Verso i 12 anni giunge con il padre a Milano per l’apprendistato presso la Fabbrica del Duomo, dove rimane per una decina d’anni. In quegli anni, lo zio materno, Leone Garove, impegnato nei lavori alla Basilica di San Pietro, chiede al nipote di raggiungerlo ed è allora che i destini del Borromini e del Benini iniziano ad intrecciarsi.

Papa Urbano VIII (1632),
Gian Lorenzo Bernini,
Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma
A dirigere i lavori della Basilica, fortemente voluti da papa Urbano VIII, nato Maffeo Vincenzo Barberini e successore di Gregorio XV, troverà Carlo Maderno (varesotto di Capolago) e Gian Lorenzo Bernini, che ha solo un anno più di lui (è nato il 7 dicembre del 1598), ma è giunto a Roma, da Napoli (la madre è napoletana e il padre è un celebre scultore fiorentino) da piccolissimo, vi è cresciuto, ha studiato in questa città e si è già fatto notare per le sue poliedriche qualità artistiche (eccelle dalla scultura all’urbanistica) diventando il prediletto di papa Urbano VIII. Questo papa vede in Bernini una sorta di nuovo Michelangelo, capace di realizzare opere che comunicano la grandiosità della Chiesa. Sotto la sua protezione il nostro artista a tutto tondo realizza la Fontana del Tritone, in piazza Barberini (1610); Il Ratto di Proserpina (1621-22) in Galleria Borghese; la Fontana della Barcaccia (1627-29), ai piedi di Trinità dei Monti.

visuale da basso del baldacchino di S. Pietro in Vaticano
Arriviamo intorno al 1622 e a Borromini viene chiesto di assistere Bernini nella decorazione del baldacchino della Basilica di San Pietro. Questa è l’occasione per Borromini che gli permette di mettersi in mostra: ci riuscirà perfettamente. Come già accennato, a quei tempi Roma è un enorme cantiere a cielo aperto. Ovunque vengono eseguiti lavori di sistemazione e realizzate nuove strutture. Tra i tanti progetti avviati, vi è anche la costruzione di Palazzo Barberini, iniziata nel 1625, la cui direzione viene inizialmente affidata a Carlo Maderno, il quale chiama Borromini a collaborare e, successivamente alla morte di quest’ultimo, avvenuta nel 1629, subentra Gian Lorenzo Bernini che continua ad avvalersi del suo contributo.

Borromini, scala interna di palazzo Barberini, 1630
Ben presto, però, le loro strade si separano e l’iniziale concordia muta in un sentimento di rivalità e inimicizia. Da qui in poi Bernini e Borromini lavorano incessantemente su più fronti. 

Bernini, Elefantino che sostiene l'obelisco
della Minerva
Tra le opere più popolari di Bernini realizzate in quel periodo ricordiamo: L’estasi di Santa Teresa d’Avila, (1647 -52), collocata nella chiesa di Santa Maria della Vittoria; la Fontana dei Quattro Fiumi (1648-51), in piazza Navona, il Colonnato di San Pietro (1656), l’Elefantino che sorregge l’obelisco di fronte a Santa Maria sopra Minerva (1667)

Tra quelle di Borromini annoveriamo: la chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane, detta S. Carlino (1638-41), Sant'Ivo alla Sapienza (1642-60), Chiesa di Sant'Agnese in Agone (1653-57), Basilica di Sant'Andrea delle Fratte (1653-62), completamento del lato nord del Palazzo della Sapienza (1632-67)

Borromini, Chiesa di S. Ivo
Tra i due le differenze di carattere sono enormi e il loro rapporto si rivela estremamente conflittuale, fin dall’inizio. Bernini mostra un temperamento sanguigno, è estroverso, focoso, strabiliante e sovente cade in preda a scatti di collera violenta, come quando commissiona a un sicario l’incarico di sfregiare la fidanzata perché sospettata di averlo tradito con suo fratello. Bernini conduce una vita principesca, sempre all'insegna della maestosità. Borromini, dalla sua, possiede un carattere inquieto, schivo, ombroso, enigmatico, facilmente incline alla malinconia e più avvezzo alla solitudine, che alla vita sociale. Borromini rincorre la perfezione e vive nell'ansia di non riuscire a raggiungerla mai. La sua vita è lastricata di sacrifici, di umiliazioni, di paure. Anche i loro stili sono agli antipodi

Borromini, Chiesa di Sant'Agnese in Agone
Le opere del Borromini sono destinate ad essere apprezzate da un pubblico ristretto e colto, sono realizzate con materiali poveri eppure sono aperte a sperimentazioni non convenzionali e ricche di connotati sofisticati, derivanti dalla sua passione per la matematica, che si esprimono soprattutto attraverso la successione ritmica di linee concave e convesse, in un gioco di rientranze e sporgenze.  
Bernini, invece, esercita con maestria non solo la scultura e l’architettura, ma anche la pittura e le arti minori, disegnando oggetti di oreficeria, di arredamento e simili. Inoltre allestisce con strabiliante originalità le macchine scenografiche e decorative delle grandi feste pubbliche. Il suo stile è fortemente impattante e volutamente rivolto a tutti.
Bernini, Apollo e Dafne, 1622-25
Galleria Borghese

Sintetizzando si potrebbe dire che tra i due protagonisti del barocco romano, Borromini penetra negli strati più profondi dell’architettura, mentre Bernini mira all’effetto teatrale e usa tutti mezzi che ha a disposizione per creare un’ammaliante esibizione.

Diego Velasquez, ritratto di papa Innocenzo X
Galleria Doria Pamphilj
Con la morte di Urbano VIII, nel 1644, la carriera di Bernini, che nel frattempo si è distinto ancor di più portando a compimento opere magnifiche, subisce un improvviso arresto. Roma attraversa un momento di difficoltà economica e il nuovo pontefice, Innocenzo X, nato Giovanni Battista Pamphilj, mostra di possedere idee diverse dal suo predecessore. Bernini cade dal “trono” di architetto “di corte” e il suo posto viene occupato dal suo rivale: Innocenzo X affida al Borromini il rinnovamento della facciata della Chiesa di S. Giovanni in Laterano e, successivamente, gli commissiona la realizzazione della fontana in piazza Navona. 

Il risentimento del Bernini verso il rivale cresce sempre più, ma costui non è di certo persona che accetti un simile smacco mettendosi in disparte. A riprova di questo suo forte antagonismo, decide di realizzare un modello in argento dell’opera e fa in modo che esso giunga al papa. In questo modo si riappropria del progetto, soffiandolo sotto il naso al Borromini, e realizza la Fontana dei Quattro Fiumi

Bernini, fontana dei Quattro Fiumi
Intanto i lavori urbanistici nella capitale sono in grandissimo fermento, anche in vista del prossimo Giubileo che si terrà nel 1650. Borromini, tra il 1653-57 dirige la costruzione della chiesa di Sant'Agnese in Agone (che guarda caso, si affaccia su piazza Navona e trova di fronte a sé la fontana dei Quattro Fiumi), mentre Bernini lavora alle cappelle Raimondi a S. Pietro in Montorio e quella dei Cornaro a S. Maria della Vittoria nelle quali trovano luogo i più formidabili esempi di “bel composto”, quel concetto universale delle arti, tipicamente berniniano, che sarebbe risultato fondamentale per l’intera cultura visiva del barocco.

papa Alessandro VII

Nel gennaio 1655 muore papa Innocenzo X e nell’aprile dello stesso anno viene nominato Alessandro VII, nato Fabio Chigi. Contestualmente Bernini torna in auge perché diventerà un suo protetto. La realizzazione della Chiesa di Sant'Andrea al Quirinale (1658-78), così come facciata della collegiata di Santa Maria Assunta ad Ariccia (1663-65), del rifacimento di Palazzo Chigi-Odescalchi (1665), fino alla Cattedra di San Pietro e al Colonnato di San Pietro, verranno assegnate a Gian Lorenzo Bernini per interessamento della famiglia Chigi.

Bernini, Colonnato ellittico di Piazza S. Pietro, Roma, 1654
Ma già intorno al 1650 per Borromini ha inizio una grave crisi che lo porterà alla depressione. La sua intrinseca tensione alla perfezione, unita all'umiliazione di constatare il grande successo riservato al suo acerrimo nemico lo distruggono. Nell'estate del 1667 la sua salute, già scossa dai frequenti disturbi nervosi, si aggrava. La sera del 1º agosto decide di suicidarsi gettandosi su una lancia, sistemata all’occorrenza. 
Bernini, visuale della cappella Cornaro: al centro santa Teresa e il cherubino
ai lati, i vari membri della famiglia Cornaro si affacciano dai finti balconcini
La salma di Borromini verrà respinta dalla Chiesa di S. Carlo alle Quatto Fontane, dove lo stesso architetto aveva previsto di venir tumulato, perché la morte è avvenuta per suicidio. Le sue spoglie riposano ora, sotto una minuscola lapide, presso la chiesa di S. Giovanni de’ Fiorentini.
Bernini si spegnerà molti anni più tardi, serenamente, dentro il suo letto all’interno del palazzo situato in piazza di Spagna,  il 28 novembre del 1680. Verrà sepolto, con tutti gli onori, in Santa Maria Maggiore.


Eppure, viene da pensare che in questa relazione, dove l’invidia ha avuto probabilmente un ruolo molto importante, siano scattati anche meccanismi positivi che hanno portato i due artisti a confrontarsi l’uno con l’altro al fine di raggiungere obiettivi sempre migliori. Una tale competizione non può, dunque, a mio modesto parere, prescindere da un sentimento speculare che coesiste alla base della loro rivalità e cioè una grandissima ammirazione reciproca. 

Finisce così la storia di questi due grandi artisti che hanno contribuito a disegnare il volto della capitale.

E ora, mi rivolgo a voi:

Vi interessano le storie di rivalità tra i personaggi famosi della storia dell'arte?

Quali sono le coppie antagoniste che vi hanno affascinato di più?



BIBLIOGRAFIA:
Paolo Portoghesi, Roma barocca, storia di una civiltà architettonica, Roma (Laterza) 1966.
Sito ufficiale di Francesco Borromini
Wikipedia

ICONOGRAFIA:
1 Gian Lorenzo Bernini, autoritratto (1623 circa), Galleria Borghese, Roma. Wikipedia
2 Francesco Borromini, anonimo, ritratto giovanile. Wikipedia
3 Michelangelo Buonarroti, Giudizio Universale, Cappella Sistina. Wikipedia
4 Pellegrino Tibaldi, Adorazione dei pastori, 1549, Roma, Galleria Borghese. Wikipedia
5 Papa Gregorio XV, autore sconosciuto. Wikipedia
6 Gian Lorenzo Bernini, Papa Urbano VIII (1632), Galleria Nazionale d'Arte Antica, Roma. Wikipedia
7 G.L. Bernini, veduta dal basso del baldacchino di S. Pietro in Vaticano. Wikipedia
8 Francesco Borromini, scala interna di palazzo Barberini, 1630, Roma. Wikipedia
9 G. L. Bernini, Elefantino che sostiene l'obelisco della Minerva, Roma. Wikipedia
10 Francesco Borromini, Chiesa di S. Ivo, Roma. Wikipedia
11 Francesco Borromini, Chiesa di S. Agnese in Agone, Roma. Wikipedia
12 G.L. Bernini, Apollo e Dafne, 1622-25, Galleria Borghese, Roma. Wikipedia
13 Diego Velasquez, ritratto di papa Innocenzo X, Galleria Doria Pamphilj, Roma. Wikipedia
14 G.L. Bernini, Fontana dei Quattro Fiumi, Roma. Wikipedia
15 papa Alessandro VII, nato Fabio Chigi, autore sconosciuto. Wikipedia
16 G.L. Bernini, Colonnato ellittico di Piazza S. Pietro, Roma, 1654. Wikipedia

17 G.L. Bernini, visuale della cappella Cornaro, Roma. Wikipedia 


11 commenti:

  1. Non solo la storia dell'arte, ma anche nella scienza a volte ci sono state grandi rivalità. Celeberrima quella tra Galvani e Volta.

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    1. Ricordo vagamente la disputa a cui fai riferimento, ma sono attratta da queste curiosità. Ti andrebbe di scrivere un guest post sui principali casi di rivalità in ambito scientifico? Qui sul mio blog sarebbe il benvenuto!

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    2. Ne avevo in parte parlato in questo mio vecchio articolo:
      http://insidetheobsidianmirror.blogspot.it/2014/12/ore-dorrore-frankenstein-pt2.html

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    3. Grazie, Marco. Ho letto e ritrovato il caso Galvani - Volta, descritto benissimo, anche per un "non addetto ai lavori". Se ti andasse di raccontare della disputa tra i due scienziati, che se non ricordo male si era svolta a livello di carteggi (saggi e lettere) e se volessi citarne altri, l'invito rimane validissimo!

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  2. Magistrale come sempre questo articolo di Clementina Sanguanini. Ho apprezzato ogni singola riga della storia dell'arte e della storia stessa,connessa in uno spazio temporale che diventa cornice e affresca le figure del Borromini e del Bernini. Tra immagini superlative e sequenze è facile intuire quanto determinante è stato l'apporto dei due artisti alla configurazione del volto della Capitale. La bellezza dell'articolo risiede nella capacità di Clementina di mettere in rilievo le caratteristiche diverse e contrastanti dei due protagonisti del baracco romano. E non solo a livello artistico, quanto umano e caratteriale. Grazie, Clem. Ancora una volta ho scoperto volti dell'arte italiana di cui non conoscevo elementi così approfonditi.

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  3. Bellissimo post, molto completo... anche se alla fine mi ha lasciato una certa tristezza di fondo. Se mi piacciono le storie di rivalità tra artisti? Ebbene sì, o altrimenti non avrei scritto un certo romanzo! ;)

    Mi pare di ricordare che vi fosse rivalità tra i tre pittori inglesi Constable, Turner e Gainsborough. Ci sono rivalità anche in ambito sportivo, specialmente in Formula 1 e nelle gare in moto. Invece l'invidia e la gelosia che si vedono delineate in Amadeus tra Mozart e Salieri non sono storicamente documentate. Anzi, Salieri era più apprezzato di Mozart alla sua epoca.

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    1. Ma ciao, Cristina, mi ero persa il tuo commento! Ahahaha, sapevo che avresti apprezzato l'argomento! Confermo la rivalità tra i tre inglesi e, ovviamente quella di Salieri per Mozart, ma in generale si parla poco (e male) di questi sentimenti. Grazie del passaggio! ;-)

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    2. In effetti ho commentato solo oggi perché sono stata travolta da incombenze lavorative... Però avevo letto il titolo del post del lunedì e mi ero fatta un nodo al mio fazzoletto mentale. :)

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  4. Tutti a scuola da Clementina! Ad Ariccia abbiamo Palazzo Chigi e (di fronte) la collegiata di Santa Maria Assunta in Cielo. Due splendidi capolavori! In entrambi i casi Bernini si avvalse della collaborazione dell'artista e amico Carlo Fontana. Volevo contribuire!
    Grazie per questi golosi post.

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    1. Ciao Lauretta, sei un tesoro e il tuo contributo è prezioso! Non ho citato tutte le opere dei due artisti per evitare l'effetto lista, ma voi a Roma siete circondati da meraviglie :))
      Grazie di cuore per la visita, ti abbraccio. A presto! :-)

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dani.sanguanini@gmail.com