lunedì 31 luglio 2017

Evelina _ 10/10 finale


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Eccoci giunti alla resa dei conti: con questo post si conclude il racconto e il blog va in vacanza.


Il pentolone della vostra streghetta rimane sempre e comunque in gran fermento, pronto a scodellare nuove pozioni alla riapertura… ;-)

Auguro a tutti una felice estate, qualunque sarà il modo in cui la trascorrerete e vi do appuntamento al 4 Settembre.

Buona lettura!

Georges De La Tour, La buona ventura, 1630
«Ecco, come dicevo, vede non si tratta dei soliti contratti che ormai propongono un po’ tutti, ma di una polizza a premio unico che le permetterà di assicurare la sua casa, chi vi abita e ogni sua proprietà con un indennizzo dell’ammontare complessivo superiore al cinquanta per cento. E pensi che il premio le potrà essere corrisposto già a partire dal primo anno di versamento» e qui il giovane sgranò gli occhi, come a sottolineare la straordinarietà dell’offerta. 
«Molto interessante» rispose con un sorriso la donna, appoggiando con delicatezza la tazzina di finissima porcellana inglese sul vassoio «ma, prego, servitevi ancora e continuate a raccontare». 
La ragazza, avvertendo la pressione psicologica del compagno, passò le mani umide di sudore sulle pieghe dell’ampia gonna a pois che indossava nel gesto di distenderle, inghiottì un po’ di saliva perché all’improvviso percepiva una certa secchezza delle fauci, e intervenne con un tono di voce molto più profondo di prima: 
«Perché non fa una bella sorpresa a suo marito, Evelina? Il denaro, di sicuro, non le manca. Sottoscrive il premio da tremila lire, ce li può dare anche subito, così non perde l’offerta. Firma il contratto e il gioco è fatto!» 
«Già!» le rispose l’attempata signora, lanciando di nuovo lo sguardo verso l’orologio a pendolo «Il gioco è fatto!» 
Indispettito dal sottile tono ironico della padrona di casa, il truffatore si spazientì; cercò di alzarsi dal divanetto per conquistare una posizione il più possibile autoritaria e idonea al discorso che era in procinto di pronunciare, ma si accorse che le sue gambe si erano fatte molli come budini. 
Come la vecchia signora aveva sospettato fin dal principio, la scaltrezza agita dall’uomo nel condurre l'imbroglio, non collimava con un acume elevato. Forte di quella considerazione, seguitò a osservarlo, con sguardo colmo di meraviglia, per comprendere dove volesse arrivare. 
Il giovane, non capendo cosa gli stesse accadendo, rimase seduto e continuò a parlare, ma non prima di aver sfoderato dalla tasca dei pantaloni un revolver: 
«Sappiamo che tieni in casa i soldi, brutta strega» sibilò con vago tono minaccioso, ma la sua voce iniziò a incrinarsi. 
La complice, ormai allo stremo delle energie, lo guardava con occhi sbarrati. Il roseo colorito del suo volto si era trasformato in una livida chiazza tra il violaceo e il verdastro. 
«Valli a prendere o ti ammazziamo» aggiunse a stento, poco prima di cadere riversa a terra con un rivolo di schiuma biancastra che le usciva dalla bocca. 
Il ragazzotto che, evidentemente, a causa della corporatura più robusta opponeva maggior resistenza della moglie al veleno ingurgitato insieme alla torta, ebbe ancora la forza di chiedere: 
«Perché?»    
«Perché?» ripeté Evelina, con dolcezza. Poi, senza scomporre nemmeno un filo dei suoi candidi capelli, mentre con il capo leggermente reclinato in una graziosa posa guardava il volto emaciato dei due vicini stesi sul pavimento, rispose «Perché devo ingrassare il terreno in cui ho scavato il piede per le nuove rose che a breve pianterò, mio caro!» 
Con nonchalance si alzò dalla poltrona e pian piano iniziò a sistemare le tazzine e i piattini sul carrello. Ad un tratto, guardando di fronte a sé, con il viso illuminato da un profondo sentimento di contentezza, aggiunse: 
«Ve lo avevo detto di fidarvi, no? Sapevo bene che avrei sistemato tutto al momento opportuno» attese un istante e seguitò «No, no, non ci sarebbe mai stato nessun problema. Anche se avessero provato ad urlare, non li avrebbe sentiti nessuno. Figurarsi, con tutto il baccano che fanno i pappagalli là fuori… la loro voce sarebbe stata confusa con i balbettii di quelle care bestiole». 
Dopo aver atteso, con calma, il calare del sole, si avviò soddisfatta verso la piccola rimessa del giardino a prendere la carriola e gli altri attrezzi per completare l’opera. 





Buon tutto e a presto! :-)

venerdì 28 luglio 2017

Evelina _ 9/10


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Cari amici, siamo arrivati al nono e penultimo appuntamento con Evelina

Lunedì prossimo troverete la parte finale, dopodiché il blog andrà in vacanza, ma di tutto questo non occorre che ce ne occupiamo ora. 

Qualche anticipazione... dopo aver accolto in casa i nuovi vicini, la donna intrattiene con loro una lunga chiacchierata…

Buon Divertimento! :-)



Katsushika Hokusai, L’Onda, 1830

Come Evelina aveva previsto, il primo argomento toccato dalla coppia fu il giardino e questo, chiaramente non poteva che darle un’immensa gioia. Peccato, però che i due si spesero a tesserne le lodi per almeno un quarto d’ora, al punto che l’anziana, annoiata  dall’estenuante elogio, intervenne per dargli fine: 

«Bene, ma ora, siccome siete stati così gentili da portare i pasticcini, vi chiedo scusa e andrò a preparare un po’ di tè e dopo mi racconterete qualcosa di voi. D’accordo?» 

«Ah, sicuramente! Vuole che venga ad aiutarla?» chiese la giovane. 

«Non ce n’è bisogno, mia cara. Ci metto un attimo. Con permesso» e scivolò via a rapidissimi passetti dietro la porta del salone. 

«Dai, non perdiamo tempo» disse sottovoce l’uomo alla propria compagna «facciamole la nostra proposta» 

«Sì, dammi un attimo. Vedrai che filerà tutto liscio» rispose lei. 

Evelina riapparve di lì a poco spingendo un carrellino da portata.
«Ecco il tè. Vi servo anche un po’ del dolce che ho appena preparato?» 

«Ma che meraviglia, grazie. Ne prenderei volentieri una fettina. Piccola, però, mi raccomando, che mio marito altrimenti fa gli occhiacci»

«Oh, brava! Così va bene? E questo gentile signore? Ne gradisce anche lei una fetta?» 

«Certo, grazie mille. Dal profumo che emana dev’essere senz’altro squisita. Come potrei rifiutare?» 

«Signora Rasini» si intromise la giovane, dopo aver ricevuto il piattino con la porzione di dolce «visto che si era detto di parlare di noi, ne approfitto per presentarle una polizza sulla vita che sono certa le potrà interessare» e tirò fuori dalla borsetta un foglio ripiegato, che aprì per iniziare ad illustrare l’offerta.

Evelina, che in un primo momento era rimasta spiazzata da come aveva preso a svolgersi la conversazione, ora sorrise sorseggiando la calda bevanda dalla tazza e annuì in segno di consenso.  
I due coniugi, per ben disporre la nuova vicina ad accogliere il loro progetto, si presero il tempo di bere l’infuso e mangiare la torta, facendole di nuovo i complimenti per l’ottimo risultato. In un baleno le raccontarono la loro vita: due agenti assicurativi incontratisi ad un convegno di lavoro durante il quale scoccò un coupe de foudre a cui seguì il matrimonio, e ora il trasferimento in quella città.  

La vecchia maestra li ascoltava con la stessa disposizione che assumeva un tempo di fronte ai suoi scolaretti: sorriso smagliante e tanta pazienza.  
Poco dopo l’uomo iniziò a descrivere il prospetto:
«Vede, cara Evelina… Evelina, giusto?» 

«Sì, esatto» rispose l’anziana, con lieve ritardo, dopo essersi distratta, complice la noia, lanciando un’occhiata al grande orologio a pendolo appoggiato alla parete in fondo alla sala «è il mio nome».

 

martedì 25 luglio 2017

INSIEME RACCONTIAMO # 23




Questa volta ho voluto aderire anch'io all’effervescente gioco,  INSIEMERACCONTIAMO # 23, proposto, come di consueto, da Patricia Moll .






L’ incipit di Patricia:

La lettera.

Aprì la busta e ne estrasse un foglio ingiallito dal tempo. Piccole macchie di inchiostro lo segnavano. Forse era scritta con la penna d’oca. La grafia era decisamente d’altra epoca piena di svolazzi. Bei tempi quelli in cui ci si inviava missive!
Inforcò gli occhiali, lo aprì, sedette e lesse.


Il mio finale:

“Ma guarda, è stato redatto il venticinque luglio del 1717. Che bella coincidenza: come oggi, ma trecento anni fa!” disse tra sé, con una nota di buonumore. E riprese a far scorrere gli occhi sulla pagina.
Però, prima di passarne in rassegna il contenuto girò la facciata alla ricerca del nominativo del mittente, e restò sorpreso.

“Strano” pensò “non sembrano esserci indizi.”

Dopo quell’osservazione decise di concentrarsi. Avrebbe ritardato eventuali critiche e considerazioni a fine lettura. Ora non doveva distrarsi. 

Tuttavia, nemmeno un secondo più tardi, venne richiamato da una voce gracidante, assai familiare. 
Era la moglie che, dal locale a fianco, dove si trovava intenta a scartabellare tra i tanti tomi sistemati in una delle librerie appartenute un tempo ai nonni e, prima ancora, ai bisnonni, risalendo fino ai trisavoli del marito, lo sollecitava a raggiungerla.

“Carlo, non poltrire come al solito. Qui c’è polvere dappertutto e dobbiamo preparare l’inventario da sottoporre al notaio entro domani. Non posso occuparmene da sola, mi devi venire a dare una mano. Chiaro?”.
“Sì, Teresa.” rispose con tono accomodante, dopo aver alzato gli occhi al cielo “Dammi cinque minuti e sono da te”.
“Mai una volta che mi lasci in pace quella erinni” sussurrò piano, in modo da non farsi sentire.

Quante volte, nel corso della loro lunga convivenza, aveva paragonato la moglie a un marziano con il quale non era mai riuscito a trovare la ‘giusta’ chiave di comunicazione?
Gli angoli della bocca assunsero una piega che disegnava un sorriso amaro. Poi, senza indugiare in quelle riflessioni, né senza scomporsi più di tanto, proseguì a leggere.

Sebbene non gli fosse ancora chiaro chi avesse scritto quel messaggio, né a chi fosse destinato, si sentì attratto dalla fitta e arrotondata calligrafia,  dallo stile fluido e impeccabile, così come dall’insolita argomentazione concentrata sull’energia e gli stati vibrazionali .
Arrivato a conclusione tornò a soffermarsi su un passaggio situato circa a tre quarti dello scritto che, più di ogni altro, gli parve decisamente fuori dall’ordinario. 
Quindi, animato dalla natura analitica che lo contraddistingueva, per accertarsi di non averne equivocato le parole e il senso, tornò a rileggerlo:

   “[…] e quando decidi che sia giunto il momento sdraiati, rilassati e lasciati andare completamente. Cadrai in uno stato simile al sonno. Attraverserai una fitta nebbia, ma il tuo spirito, grazie alle  coordinate che ti sto per fornire, saprà individuare e varcare il portale inter-dimensionale corretto, l’estremità del lungo canale che collega i nostri universi.  Viaggiando nel tempo e nello spazio mi raggiungerai. […]”

Estrasse dal taschino della giacca la vecchia Moleskine e l’inseparabile Montblanc. Sollevò lo sguardo verso il soffitto per afferrare quel lembo di memoria che premeva nella sua testa e, con tratto deciso, vergò il foglio.
Appena ebbe finito, infilò la lettera ingiallita in tasca, insieme alla Montblanc e lasciò in bella vista la Moleskine
Subito dopo, cercò la posizione più comoda sulla poltrona e sorrise, beffardo.

Un quarto d’ora più tardi Teresa, paonazza dall’irritazione, entrò nella stanza intenzionata a far scattare l’ennesima sfuriata, ma trovò solo il taccuino del marito, ai piedi della chaise longue, aperto su una pagina.
Lo raccolse da terra e lesse le seguenti righe:

Abbiamo tutti dentro un mondo di cose: ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno senso per sé, del mondo com’egli ha dentro? Crediamo di intenderci; non ci intendiamo mai!

Luigi Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore.

Ti ho sopportato per trenta interminabili anni, solo a causa di una maledetta amnesia.
D’ora in avanti, arrangiati!

Carlo





lunedì 24 luglio 2017

Milano e la scomparsa del Bottonuto




Ancora una volta mi ritrovo a trattare fatti del passato. Eppure vi posso garantire che il mio intento è di parlarvi del futuro.
Sto dando i numeri? No!

Passato e futuro sono gli estremi temporali entro i quali si dipana il nostro vivere quotidiano ed entrambi sono indispensabili per il nostro continuare ad esistere.

Il passato è importante: a livello individuale, perché ci ricorda da dove veniamo e ci fa capire chi siamo; a livello collettivo, perché su di esso si configura il senso di identità che discende dal sentirsi coralmente attori di una storia collettiva. 

Ma, soprattutto, senza un passato non può esserci nemmeno un futuro.

Ecco allora spiegata l’importanza della memoria, una memoria intessuta di tanti ricordi, macroscopici e microscopici, che non deve essere interrotta.
Ebbene, sarò tignosa, ma penso che i ricordi non vadano intesi come una gradevole fotografia, statica, immutabile, alla quale guardare distrattamente e magari assegnare un like.    
Sono convinta che i ricordi richiedano di essere vivificati e resi accessibili, quindi, dal mio angolo virtuale, vorrei contribuire continuando a divulgare minuscoli pezzetti di memoria.

Così, dopo aver pubblicato il post sulla storia dei Navigli milanesi ( Viaggio nell’acqua a… Milano ) vi voglio raccontare della scomparsa di ciò che un tempo era il cuore di Milano, di come e perché è profondamente mutato.

Ecco perché oggi vi parlerò dell'antico centro storico di questa città e, in particolare, del quartiere Bottonuto





Il Bottonuto era collocato in un rettangolo racchiuso tra Piazza Missori e le attuali vie: Unione, Cappellari, Falcone, Larga. 

Di fronte al sacello di San Satiro cominciava la Contrada dei Tre Re (intesi come i Re Magi), poi diventata Via Tre Alberghi che, passando per il Bottonuto, permetteva di raggiungere le contrade di Pantano e di Chiaravalle.

Il nome Bottonuto deriva da bottino, ovvero un canale nel quale anticamente venivano convogliate le acque del fiume Seveso, che in seguito diede vita a un laghetto. Affacciata a questo laghetto, che fungeva da porticciolo, venne edificata una pusterla tra le mura romane: era il Bottonuto. Il laghetto venne prosciugato già nel I secolo d.C. a causa di frequenti allagamenti (come ricordano i nomi delle vie, Pantano e Poslaghetto) e si trasformò in un brolo, ossia un grande prato. Oggi, laddove sorgeva il brolo, è nata Via Larga.

Nel XIV secolo, questa pusterla entrò fra i possedimenti dei Visconti e Bernabò (tanto caro alla mia amica Cristina, titolare del blog Il Manoscritto del Cavaliere ) la utilizzò come camminamento che collegava il suo palazzo di S. Giovanni in Conca, la famosa Ca’ di Can, con il palazzo Ducale, ovvero l’odierno Palazzo Reale.

In questa foto, scattata in Via del Cappello, si intravede il sacello di San Satiro

Dove un tempo si trovava la Pusterla si formò una piccola piazza a forma di trapezio che andava a incrociarsi con Via Larga e si snodava in due contrade: quella di Pantano e quella di Chiaravalle.
Da quell'area, che prese il nome di Contrada del Bottonuto, partiva la Contrada dei Tre Re. L'insieme di tutte queste contrade diede origine al quartiere Bottonuto.

In occasione della peste, nel 1606, come in altre zone della città, venne elevato in mezzo al Bottonuto un obelisco di granito rosso di Baveno che poggiava su quattro palle di ottone e aveva alla sommità una croce, che doveva ricordare la Passione di Cristo. La croce dedicata a San Glicerio vescovo milanese attivo tra il 436 e il 438, venne posta in quel luogo per permettere ai fedeli di pregare non uscendo di casa per il pericolo del contagio. Il crocefisso venne benedetto solo nel 1607, un anno più tardi, dal cardinale Federico Borromeo. La sua croce venne sostituita, circa un secolo più tardi, con una stella e nel 1787 l’intero obelisco, ritenuto d'ingombro per la circolazione dei carri, venne trasferito all’incrocio tra Via Marina e Via Boschetti (dietro corso Venezia), dove lo possiamo ammirare ancora oggi. 


l'obelisco tra Via Marina e Via Boschetti.  


Ma torniamo al quartiere Bottonuto.

Piantina della zona estrapolata dal video di Andrea Rui
Dovete sapere che l’antica Contrada dei Tre Re, poi diventata Via dei Tre Alberghi rimase per anni l’asse viario più importante dei commerci di Milano. 

Qui aveva anche sede uno dei più antichi alberghi della città, l’Albergo dei Tre Re, conosciuto già nel 1476. La contrada prendeva il nome da un tabernacolo dell’Adorazione dei Magi, che venne poi riportato su tela, nel 1723, da Jacopo Paravicini.
A questo primo albergo si aggiunse l’Albergo Cappello, costruito dove si trovava l’antica locanda del Capppello Rosso, all’angolo tra Via Tre Alberghi e Via Falcone, e si aggiunsero anche l’Albergo Reale e l'Hotel Suisse. 

incisione del cortile interno all’Hotel Suisse

Si trattava, dunque, di una zona vivacissima, con un traffico continuo di carrozze che portavano i viaggiatori da tutta la Lombardia.

Oggi, l’unica via sopravvissuta, ma completamente trasformata, di quel dedalo di viuzze che era il vero cuore di Milano, è la Paolo da Cannobio.



Via Paolo da Cannobio, 1940
Ma come mai è scomparso il Bottonuto?
E come mai anche i quartieri circostanti hanno subito un radicale stravolgimento?

Ebbene, quella porzione di città divenne il bersaglio di uno dei più devastanti progetti urbanistici.

Siamo nei primi anni del ventennio fascista e il Comune di Milano stipula un accordo con una società italo-americana per la costruzione di un edificio a dieci piani, che avrebbe ospitato due sotterranei, da adibire a garage, uffici, magazzini, negozi, un albergo di 400 stanze e un cinema da 3.000 posti. 

Fatto l’accordo, inizia l’operazione mediatica di diffamazione delle vie del Bottonuto che ha l’obiettivo di declassarne il valore e trovare consensi per la demolizione. 
In men che non si dica si diffonde in tutta Milano un cicaleccio secondo cui per passare nelle vie del Bottonuto ci si debba tappare il naso a causa del forte odore di fogna, ci si debba coprire gli occhi per non assistere a scene indecenti di prostitute pronte a vendersi al primo che passa, si debba tener stretto il portafogli per non venir derubati dai tanti ladri che vivono in quelle strade. Insomma, il peggio del peggio, secondo quelle voci, è concentrato unicamente in quella zona.

Si compie in questo modo uno scempio che fa terra bruciata di secoli di storia.

L’antico rione, ormai abitato da povera gente, piccoli artigiani, probabilmente anche da qualche malvivente e prostituta, non riesce a difendersi. 
Così, in nome dell’igiene e della morale, il Bottonuto viene via via demolito e la speculazione ha inizio. 

Via S. Giovanni in Laterano
Sebbene la maggior parte delle fotografie mostrino un quartiere lasciato andare al degrado, in verità quelle strade erano ricche di vita e non così devastate. In esse si concentravano osterie, negozi di alimentari, cantine di vini.

Vicolo di San Giovanni in Conca
Anche l’immagine dei cortili interni delle case di ringhiera del Bottonuto ci racconta di un'area cittadina popolare, senz'altro, ma dignitosa, a misura d’uomo. Un'area che ha dovuto cedere il passo a grandi uffici e casermoni senza personalità, poi soppiantati da grattacieli anonimi sorti in diversi luoghi della metropoli e molto più adatti alle nuove esigenze commerciali. 

I cortili delle case di ringhiera del Bottonuto

Solo dopo un decennio, nel 1937, iniziano le prime proteste dei milanesi allo stravolgimento del cuore cittadino. Proteste che, però non hanno il potere di incidere minimamente sulle decisioni dell’amministrazione. Nel frattempo i bombardamenti della Seconda guerra mondiale compiono ulteriori devastazioni.

Vicolo San Giovanni Laterano
prima della demolizione
per l'apertura di Piazza Diaz, 1920-25

Giunge il 1953, quando viene messo a punto un progetto che prevede la realizzazione di una grande arteria a scorrimento veloce per le auto che avrebbe dovuto collegare piazza San Babila a via Vincenzo Monti. 

Via Bottonuto angolo Vicolo delle Quaglie 1934-37
Per realizzare questo raccordo, chiamato Racchetta, viene prevista la demolizione dell'intero centro storico. 

Vengono così rasi al suolo il quartiere Pasquirolo, il quartiere Verziere e Via Larga, tutti adiacenti al vecchio Bottonuto.
La Racchetta, tuttavia, non verrà mai ultimata, si fermerà nei pressi di Piazza Missori, ma il cuore della città è stato cancellato.

Così, agli occhi dei milanesi degli anni '50 si presenta lo scenario di un centro squarciato e anonimo.

A quel punto, urge ridare personalità a questo spazio urbano e per raggiungere lo scopo, dopo l'edificazione del palazzo dell'Ina, ormai iniziata da qualche anno, viene simulata la costruzione della Torre Martini. Dapprima si procede con la realizzazione di una struttura tubolare per verificarne l’impatto ambientale. La Torre Martini verrà realizzata solo tra il 1956 e 1958.

Simulazione della Torre Martini
realizzata con struttura tubolare
Per la demolizione dei vecchi quartieri, la realizzazione della Racchetta e della Torre Martini, viene impiegata mano d’opera poco specializzata: un bacino elettorale che sarebbe rimasto riconoscente a vita verso le varie amministrazioni, per l’occasione offerta.


Piazza Diaz, 1955
inizio costruzione parcheggio sotterraneo
Il centro di Milano, come quello di tante altre città, in questo modo, si è spopolato dei suoi residenti, dei suoi negozi tipici e di molti spazi culturali (vogliamo parlare dei cinema milanesi trasformati in favore della colonizzazione delle grandi catene in nome della globalizzazione?) per dar spazio al nuovo.


Si sarebbe potuto optare per un'altra soluzione? Chissà.

E voi, cosa ne pensate?








BIBLIOGRAFIA:

Antonio Cassi Ramelli, Il centro di Milano, edizione Ceschina

ICONOGRAFIA:

Immagini estrapolate dal video di Andrea Rui:

  • -         Via del Cappello, scorrcio del sacello di San Satiro
  • -         Piantina con i riferimenti agli alberghi del Bottonuto
  • -         Incisione del cortile interno all’Hotel Suisse
  • -         Via Visconti in direzione di Via Paolo da Cannobio
  • -         Vicolo di San Giovanni in Conca
  • -         I cortili delle case di ringhiera del Bottonuto

Immagini scaricate dal sito Milàn l'era inscì Urbanfile, Flickr.com:

  • -         Via Paolo da Cannobio, nel 1940
  • -         Via S. Giovanni in Laterano
  • -      Vicolo San Giovanni Laterano prima della sua demolizione per l'apertura di Piazza Diaz, 1920-25
  • -         Via Bottonuto angolo Vicolo delle Quaglie 1934-37
  • -         Milano 1949, i resti del Bottonuto
  • -         Piazza Diaz, 1955 inizio della costruzione del parcheggio sotterraneo
  • -         Simulazione della Torre Martini 

Immagine scaricata dal sito Milano Post


  • obelisco di Via Marini


Immagine estrapolata da Google Maps:

  • -         Mappa del centro di Milano, da me successivamente arricchita di un riquadro rosso a indicare la collocazione del Bottonuto