lunedì 15 maggio 2017

Contaminazioni e ispirazioni in arte/2







PRIMA PARTE

Come promesso, torno a chiacchierare con voi di contaminazione nel mondo della pittura.

Oggi, nel sistemare alcuni libri, mi è caduto l’occhio su un particolare dipinto dal quale ho tratto l’ispirazione per questo articolo.

Le tele che prenderemo in esame ci restituiranno uno spaccato di vita quotidiana nel quale vi è racchiuso qualcosa di cupo ed equivoco.
Ogni elemento di queste opere – quei volti, quegli sguardi, quelle pose, e quegli inediti giochi di luce che osserveremo –  mette in risalto la forma delle ombre, ombre che spingono a immaginare nei rispettivi artisti un trascorso di strane avventure, o che, quantomeno, lasciano supporre che dalla loro immaginazione sia emerso un corrispettivo visionario e simbolico di una interiorità sofferta.

Siete curiosi di scoprire di chi e di cosa sto per parlarvi?
Comincio a svelarvi il tema: entrambe le tele riguardano il gioco d’azzardo, o meglio la narrazione di una storia inquietante legata alle carte e, più in particolare, alla figura dei bari.

I quadri che andremo ad approcciare, infatti, parlano soprattutto di stati d’animo e di ritmo che rimandano a sensazioni vertiginose, perché portano a galla un animo turbato, ansioso e instancabilmente coinvolto, un abisso amaro e non meno indomabile e selvaggio, che nasce dal volto di personaggi tanto comuni da poter essere rappresentativi di chiunque. Quante maschere può indossare l’uomo? Fino a che punto può spingersi la perversione umana? Ebbene, in queste opere si riflettono i turbamenti profondi ed inconsci dell'io, inconoscibili, inesplicabilmente e crudelmente rinnovati dalla contraddittorietà della vita.

Come avrete capito, diamo inizio alla prima parte di questo viaggio partendo dalla tela di uno degli artisti più rivoluzionari della seconda metà del Cinquecento, che influenzerà il lavoro di innumerevoli colleghi sparsi in giro per il mondo: Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio.  


Prima di soffermarmi sul quadro, vorrei parlare della vita del pittore.

Ottavio Leoni,
Ritratto di Michelangelo Merisi, detto Caravaggio,
1621 circa, Firenze Biblioteca Marucelliana

Caravaggio nasce nel settembre del 1571, a Milano, allora centro della Controriforma dominata, dapprima da Carlo Borromeo, che prese parte direttamente al Concilio di Trento e, in seguito, dal cugino, il cardinal Federico Borromeo (che nel romanzo I Promessi Sposi del Manzoni ricoprirà il duplice ruolo di personaggio e di fonte). Entrambi i Borromeo contrastarono apertamente la visione protestante e influenzarono ampiamente l’opera artistica, attraverso un severo controllo messo in atto dalle autorità ecclesiastiche locali.
In questa città, l’artista inizia la sua formazione presso il pittore Simone Peterzano, esponente del tardo manierismo lombardo e, a sua volta, allievo di Tiziano. Intanto, in quegli anni, Milano sta diventando sempre più influente per la Spagna e, contestualmente, la Spagna esercita un dominio diretto sul Ducato di Milano, sull’Italia meridionale e presso la zona più a sud della Toscana. Ma l’ambizioso sogno ispanico di espansione territoriale è in procinto di ricevere uno dei più formidabili affondi, con il disastro della Invincible Armada, del 1588, che segnerà l’inizio della lunga guerra delle Fiandre e il primo passo verso la successiva guerra dei Trent’anni.

Da personaggio impulsivo e irrequieto qual è, sente che la sua arte non potrà mai sbocciare in un simile contesto, quindi, intorno al 1593, prepara il fagotto e si muove alla volta di Roma, città dove tutte le tensioni giungono e si riassumono, che sta vivendo il momento della sua più forte mutazione urbanistica. 
Secondo alcuni cronisti dell’epoca, il vero motivo dell’abbandono di Milano va ricercato nelle frequenti risse tra bande di giovani alle quali il pittore prendeva frequentemente parte.
Ad ogni modo, qui a Roma inizia a creare alcune scene di genere, come Giovane con canestro di frutta, e a lavorare nella bottega di Giuseppe Cesari, detto Cavalier d’Arpino. Intorno al 1595, finalmente, conosce colui che diventerà il suo primo potente protettore romano, il cardinale Francesco Maria del Monte, grandissimo appassionato d’arte che, colpito dalla pittura di questo giovane artista, acquisterà alcuni suoi quadri, tra cui il nostro oggetto di discussione, I bari, e gli commissionerà la decorazione del gabinetto alchemico del suo palazzo, oltre ad alcuni dipinti, tra cui il Concerto, La buona ventura, il Suonatore di liuto, la Medusa e, probabilmente il Bacco. Nel giro di pochi anni la fama del Caravaggio sale all’interno dei più importanti salotti della nobiltà romana trasformandolo presto in un mito vivente per un’intera generazione di pittori che a lui si si ispireranno. Nel 1599 riceve la prima commissione pubblica per tre grandi tele da collocare all’interno della Cappella Contarelli, presso la Chiesa di San Luigi dei Francesi, a Roma. Negli anni immediatamente successivi lavora al Riposo durante la fuga in Egitto, la Deposizione nel sepolcro, la Madonna dei Palafrenieri, la Morte della Vergine.

Nel frattempo, negli ambienti culturali disseminati lungo tutta la penisola, vanno diffondendosi le innovative idee di Giordano Bruno, Paolo Sarpi, Tommaso Campanella e Galileo Galilei.
Ma la personalità del Merisi non si esaurisce certo nella sua arte e nella sua acuta recettività alle idee circolanti e saranno, infatti, le frequentazioni di ambienti opachi, come ben suggerisce la scena rappresentata ne I bari, a parlarci della negativa condizione di quest’uomo che non può sfuggire ai suoi limiti ed ai condizionamenti della sua natura, contraddittoriamente oscillante nella ricerca di una realizzazione sublime ed un equilibrio impossibile da trovare.

Costretto a fuggire da Roma, perché condannato alla decapitazione dopo aver ucciso un uomo durante una rissa, forse a causa di un debito di gioco non pagato, forse per una donna, o forse per ragioni politiche, Caravaggio giunge a Napoli, dove continua a produrre alcune opere, tra cui l’Annunciazione, che rimarrà incompiuta, poi si trasferisce a Malta, poi viene di nuovo arrestato e fugge a Siracusa, Messina, Palermo, e di nuovo a Napoli. Intenzionato a tornare a Roma, poiché confida nell’appoggio di Papa Paolo V, che gli lascia intravedere la possibilità di concedergli la grazia, nel 1606 sbarca a Porto Ercole, dove viene arrestato per errore e rilasciato nel giro di pochi giorni, per motivi di salute. Ma il 18 luglio del 1610 morirà sulla spiaggia dell’Argentario inseguito dalle polizie segrete di mezzo mondo, qualche giorno prima di ottenere l’agognata grazia.  

Ed ora concentriamoci sull’opera: I bari

Caravaggio, I bari, 1596 c.a, Forth Worth, Kimbell Art Museum

Ecco tre uomini che giocano a carte intorno a un tavolo ricoperto da una lussuosa tovaglia damascata.
Il più giovane, dall’espressione del viso serena, appare assorbito dal gioco, mentre i suoi due avversari lo fissano senza distogliere lo sguardo per apprestarsi a truffarlo.
Il baro ci appare in primo piano, vestito di colori sgargianti e con una lunga piuma sul cappello. È armato di un pugnale che indossa sul fianco, appeso alla cintura, ed è appoggiato al tavolo attendendo con ansia la mossa dell’avversario.



Il giovane, assorto nel suo gioco, non si accorge che l’uomo alle sue spalle è un complice dell’avversario al quale sta indicando preziosi suggerimenti. Il baro, infatti, sulla base di quelle indicazioni, sta estraendo alcune carte nascoste nella cintura.



Lo sguardo e la postura rivelano nell’immediato la natura di ciascun protagonista, ma Caravaggio è molto sottile e utilizza anche altri indicatori. Per esempio, i colori e i tessuti delle vesti e le loro decorazioni: di pregio, nella giovane vittima e più vistosi e grossolani nei due truffatori.

Oppure, alcuni dettagli: il pugnale indossato dal baro, i guanti bucati del suggeritore, che narrano di un uomo avvezzo a sentire in quel modo le carte segnate.

Tutta la scena si svolge in un ambiente reale, abitata da uomini comuni e l’artista ce la racconta con dovizia di particolari, senza mai scivolare nella caricatura.

Straordinario, poi è come il modo in cui il Caravaggio usa la luce: la studia sotto ogni aspetto, soprattutto quello simbolico, e la impiega per investire alcuni dettagli delle figure dei personaggi, guidando, in questo modo, l’occhio dell’osservatore verso il significato più profondo, spirituale, morale, del dipinto: egli mette a fuoco l’anima, e ne porta alla luce le ombre.

La prima parte del nostro viaggio nelle corrispondenze finisce qui. Mi auguro che sia stata di vostro gradimento e vi invito a seguire la seconda parte, che verrà pubblicata giovedì.

Conoscevate questo dipinto?
Vi sono altri elementi che mettereste in luce?

Buon lunedì e arrivederci alla seconda parte con il seguito della puntata :-)









BIBLIOGRAFIA:
Caravaggio, L'opera completa, Rizzoli, 1967, Collana I Classici dell'arte, volume 6
Anna Maria Panzera, Caravaggio e Giordano Bruno fra nuova arte e nuova scienza. La bellezza dell’artefice, Fratelli Palombi Editori, 1994
G.C. Argan, Storia dell'arte italiana – Sansoni


ICONOGRAFIA:
Caravaggio, I bari, 1596 circa, Forth Worth, Kimbell Art Museum
Ottavio Leoni, Ritratto di Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, 1621 circa, Firenze Biblioteca Marucelliana 


18 commenti:

  1. Il dipinto lo conoscevo, ma il tuo articolo come sempre riesce a mettere in risalto anche aspetti cui non ci si sofferma. Ad esempio non sapevo che il guanto bucato del compare servisse da ulteriore segnale. Il viso del compare baffuto è quasi caricaturale, con quegli occhi fuori dalle orbite! Mi sono sempre chiesta però come mai il baro, ovvero quello che ci dà le spalle, non sia seduto. Sembra quasi un passante, anche per il fatto che si appoggia al tavolo e si protende tutto verso il "pollo da spennare". Forse l'artista voleva imprimere un certo dinamismo alla scena.
    Comunque il ritratto di Ottavio Leoni è bellissimo...

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    1. ah, in quanto a bische, il Caravaggio ne sapeva una più del diavolo e il guanto bucato ne è una conferma ;-) Il complice ha un'espressione caricata, però il tono del dipinto rimane drammatico e non scivola mai nel grottesco e anche qui si nota l'abilità del pittore. Per quanto riguarda il baro, vero e proprio, credo che Caravaggio lo abbia voluto dipingere in piedi per conferire ancora più drammaticità alla scena, come dici tu. Anche il ritratto che Leoni ha fatto al Merisi è formidabile... Cristina, guarda che il post continua con la seconda parte dedicata a La Tour. Ho commesso qualche pasticcio durante la pubblicazione, volevo renderlo pubblico a metà settimana, ma poi, non so come, si è pubblicato da solo... ti consiglio di buttarci un occhio ;-)

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  2. Accidenti che lavoro che hai fatto Clementina, complimenti!!! davvero bello :D

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  3. Ciao Dany, spiegami una cosa per cortesia. Ci sono alcuni quadri con uno sfondo praticamente nero e anche i personaggi e le cose hanno colori molto cupi. Ma perché? Non si vede un cippola! Se è lunga facci un post! Hahaha! Baci

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    1. Ciao Lisa, al momento sei l'unica a farmi questa segnalazione: temo sia un problema del tuo device ;-) :D

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  4. Ah, adesso ho capito! Sai che non mi ero accorto finora dell'esistenza di questo post? Avevo cominciato a leggere direttamente dalla seconda parte e mi sembrava mancasse qualcosa...

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    1. Eh, ma è colpa mia, perché avevo combinato un pasticcio in fase di pubblicazione...

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  5. Direi che piuttosto interessante la posizione del terzo personaggio: dà le spalle a chi guarda, che direi sia piuttosto inusuale in un dipinto.

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    1. Il repertorio di personaggi ritratti di spalle, in realtà, è vastissimo anche in epoche precedenti: le troviamo già in Beato Angelico, Masaccio, Mantegna, Botticelli e, via via, ce le propongono Leonardo, Michelangelo, Tiziano, … Qui, invece, siamo di fronte a una scena di genere, e nemmeno questo aspetto rappresenta una novità dell’epoca, sebbene difficilmente, prima di allora, la nobiltà e la borghesia fosse tanto interessata agli spaccati di vita quotidiana, in cui Caravaggio propone di spalle un personaggio chiave, il baro, per svelarci l’inganno. Credo che il punto sia questo: solo in questo modo possiamo scoprire le sue carte “truccate”.

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    2. Devo dire che non mi vengono proprio in mente esempi di figure ritratte di spalle. A parte il fatto che non ho una grandissima conoscenza artistica. Comunque è vero che un quadro molto particolare nel suo genere.

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    3. Adesso non te le ricordi, ma le hai viste senz'altro. Ti faccio qualche esempio, i primi che mi vengono in mente: nel giudizio universale di Michelangelo, ce ne sono a iosa, oppure, pensa alla Calunnia di Botticelli, lì c'è la donna di schiena che parla nell'orecchio del re...

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  6. Accipicchia...non avevo mai visto il ritratto eseguito da Ottavio Leoni: Michelangelo Merisi appare proprio come un bell'uomo, dal fascino un po' "maudit". E molto approfondita è l'analisi che fai de "I bari", un dipinto che non ho mai studiato a fondo ma che mi ha sempre catturata, forse proprio per quella luce... Mi è piaciuto molto il modo in cui hai messo in evidenza l'uso che l'artista fa della luce e delle ombre per rendere certi contrasti dell'anima. Un caro saluto e...alla seconda puntata!

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    1. L’uso che questi due artisti fanno di luci e ombre, come giustamente sottolinei, è l’elemento più significativo delle loro opere e, anch’io, credo non possa essere disgiunto dalla loro più intima essenza, la quale, inevitabilmente, cela un animo tormentato, sinistro, un’indole magmatica in continuo fermento, plutoniana. E il ritratto di Leoni, non a caso, mette bene in evidenza la personalità di Caravaggio! Pensa, invece, che del volto di La Tour non esiste nessun ritratto o autoritratto certo.

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  7. Un post sublime, straordinario dall'inizio alla fine. Ne ho colto ogni minimo particolare, ogni frammento. E non solo nel testo, anche nelle risposte, esaustive, precise e particolarmente dettagliate. La figura del "baro" nel dipinto è inusuale, ma proprio per questo svelatrice, soprattutto agli occhi dei fruitori attenti. Splendido anche il soffermarsi sulle luci e le ombre che sono l'elemento di spicco del quadro. Grazie, Clem!

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    1. Sono io a doverti ringraziare, cara Annamaria, come sempre! Apprezzo moltissimo l’intero commento e, in particolare mi vorrei soffermare sul passaggio nel quale metti in luce quanto, al di là del testo, i vostri commenti, le vostre osservazioni, le vostre interpretazioni, e l’intero dialogo che si viene a comporre intorno ad essi, ricoprano un ruolo fondamentale. Il testo, messo a disposizione dal blogger, non è altro che un canovaccio, sul quale i veri interpreti della scena, cioè voi frequentatori e commentatori del blog, elaborate il dialogo della rappresentazione dell’opera narrativa, ossia, ne costruite e costituite l’essenza! Grazie, Annamaria, sei sempre la benvenuta!

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  8. Vedi quanto è importante leggerti? Conoscevo il dipinto, ma tutti i particolari, le sfumature, le sensazioni che ho provato dopo la tua efficace presentazione, non me le ero mai neanche sognate! E grazie anche per le notizie sulla burrascosa vita di Caravaggio, che ugualmente, non conoscevo.

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    1. Ah, Caravaggio! Burrascoso, sanguigno, passionale, ombroso, torbido, violento, eppure capace di percepire e tradurre in arte l'intera gamma delle emozioni, dalle più basse a quelle più elevate: pensa che tormenti!

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dani.sanguanini@gmail.com