lunedì 12 dicembre 2016

Signori, si parte!






Questo è un invito al viaggio che vi porgo attraverso una piccola rassegna di romanzi e racconti di autori famosi dedicata a quello che potemmo definire, per antonomasia, il luogo dell’incontro e dell’imprevisto.

Parliamo del treno, sfondo ideale nel quale sono state ambientate storie di incontri, di scambi, di mistero e di viaggio.

Murnau – Veduta con ferrovia e castello, di Vasilij Kandinsky. 
Stadtische Galerie im Lenbachhaus. fonte: web



Agli inizi dell’Ottocento, in Inghilterra, compare la prima locomotiva a vapore e da allora il treno, con il suo fischio lanciato in prossimità delle stazioni, il suo sferragliare sulle rotaie, i suoi scompartimenti nei quali perfetti sconosciuti intrecciano conversazioni, seduti gli uni accanto agli altri, ha iniziato, senza più fermarsi, a rappresentare nell’immaginario collettivo l’ambiente più stimolante per ogni genere di avventura

Renoir, Il ponte ferroviario a Chatou, 1881, Musée d’Orsay, Parigi

Volete salire in carrozza con me?
Bene! 

Iniziamo, dunque, il nostro viaggio in treno con un elenco di romanzi e racconti ambientati tra i convogli, perché, come diceva Oscar Wilde, Bisognerebbe sempre avere qualcosa di sensazionale da leggere in treno.




Claude Monet, Treno sotto la neve, 1875,  
Musée Marmottan Monet, Parigi

Il primo della lista è uno dei più famosi gialli di Agatha Christie, ambientato sul mitico treno che collega Parigi ad Instambul: Assassinio sull’Orient Express.

Il romanzo ha come protagonista il detective belga Hercule Poirot che si troverà a dover risolvere il caso dell’assassinio di un ricco americano, il signor Ratchett, avvenuto mentre il convoglio si trova bloccato a causa della neve.

Ecco l’incipit:

«Erano circa le 5 di una mattina d'inverno, in Siria. Lungo il marciapiede della stazione d'Aleppo era già formato il treno che gli orari ferroviari internazionali indicavano pomposamente col nome di Taurus Express, e che consisteva in due vetture ordinarie, un vagone-letto e un vagone-ristorante con annesso cucinino.
Vicino alla scaletta di uno degli sportelli del vagone-letto, un giovane tenente francese, splendido nella sua uniforme, conversava con un omino imbacuccato fino alle orecchie e del quale erano visibili solo il naso arrossato e le punte di un paio di baffi arricciati all'insù



E conservando l’immagine di un treno nella neve, ci spostiamo verso un altro romanzo, che invece narra l’amore, l’idealismo e il dolore fino ai temi della rivoluzione di ottobre. Qui, il protagonismo del treno ci arriva attraverso la descrizione di un lungo viaggio, un vero e proprio esodo, che si svolge in mezzo alla neve siberiana.  

Vi sto parlando de Il Dottor Zivago, celebre e controverso romanzo scritto da Boris Pasternak.

Eccone un breve stralcio:

«Come se un gallo avesse appena cantato con la sua voce familiare, da giù, la locomotiva che conoscevo bene mi fece sentire il suo fischio. Lo conoscevo bene quel fischio, perché la locomotiva stava sempre sotto pressione a Nagòrnaja. Si chiamava locomotiva di spinta, per spingere i treni sulla salita e ora era in manovra, perché ogni notte a quell’ora passava quel treno misto.»  



Restando in Russia ritroviamo il treno nell’incipit  de L’idiota di Dostojevski 


«Verso le nove di una giornata di fine novembre il treno della ferrovia Pietroburgo-Varsavia si avvicinava a Pietroburgo. La giornata era talmente umida e nebbiosa che i passeggeri con grande difficoltà riuscivano a distinguere qualche cosa dai finestrini»

Continuiamo la  nostra carrellata letteraria passando dal gelo dei Balcani e della Siberia, a temperature decisamente più miti, ma nelle quali la valenza simbolica del viaggio in treno rimane altissima.

E lo facciamo con Conversazioni in Sicilia, di Elio Vittorini, romanzo nel quale il protagonista, Silvestro Ferrauto, un tipografo intellettuale di Siracusa trasferito a Milano da una quindicina d’anni, affronterà un inatteso viaggio in treno, denso di incontri e di emozioni, per tornare nella sua terra. 


Si tratta di un romanzo che narra del ritorno alle origini ed è il romanzo-manifesto dell’impegno etico e civile dell’autore.

«E mi parve ch’essere là non mi fosse indifferente, e fui contento d’esserci venuto, non esser rimasto a Siracusa, non aver ripreso il treno per l’Alta Italia, non aver ancora finito il mio viaggio. Questo era il più importante nell’esser là; non aver finito il mio viaggio; anzi, forse, averlo appena cominciato»


Il nostro viaggio prosegue con un romanzo nel quale assistiamo alla gente che va ad ammassarsi su un convoglio che corre verso Parigi:  Notte in treno, di Irène Némirovsky


È la notte in cui la Francia dichiara guerra alla Germania e nelle fitte pagine di quest’autrice troviamo chi va ad abbracciare il proprio uomo in partenza per il fronte, chi va a dare una mano, chi, invece, continua la solita routine. Il treno, l’attesa, la speranza fanno da scenario ad apparizioni fugaci, a battute tra sconosciuti, a miseri bocconi di cibo racimolati qua e là e divisi con gli altri passeggeri, raccontandoci della dignità di un popolo nel presentimento di una incombente disgrazia.  

« Era la prima notte di guerra. Nelle guerre e nelle rivoluzioni niente di più singolare di quei primi istanti in cui si viene proiettati da una vita all’altra, senza fiato, come se si cadesse dall’alto di un ponte, tutti vestiti, in un fiume profondo, senza capire cosa sta succedendo, serbando nel cuore un’insensata speranza»


Lasciamo la Francia per raggiungere un piccolo villaggio del Punjab. Siamo nell’estate del 1947 e la regione indiana si ritrova all’improvviso divisa tra due nazioni sorte dalla fine dell'impero coloniale britannico nel subcontinente: l'India e il Pakistan. A Mano Majra, un piccolo villaggio lungo la linea ferroviaria che unisce Delhi a Lahore, dove fino al giorno prima avevano convissuto musulmani, sikh e hindù, succede qualcosa di terribile: muore un milione di persone e i treni affollati di profughi arrivavano a destinazione carichi di cadaveri. 


Questa è la trama di Quel treno per il Pakistan, di Khushwant Singh e questo è il suo incipit:

«L'estate del 1947 non fu come le altre estati indiane. Quell'anno persino il tempo, in India, sembrava diverso. Faceva più caldo del solito e tutto era più secco e polveroso. E l'estate durò più a lungo. Nessuno ricordava un epoca in cui i monsoni erano giunti con tanto ritardo. Per settimane, le rare nubi produssero solo ombre. Niente pioggia. La gente continuò a dire che Dio li stava punendo per i loro peccati.»


Magicamente il nostro treno ci conduce in Italia, questa volta con Qualcosa era successo, racconto di Dino Buzzati, ambientato in una stazione ferroviaria. 


Il racconto può essere letto come metafora della corsa della vita verso la morte inesorabile, oppure come un simbolo dell’assurdità del progresso umano, che ci conduce all’autodistruzione. Infatti, l’autore lascia al lettore il compito di interpretare il testo, lasciandosi avvolgere da un angosciante mistero. 

Leggiamo insieme l’incipit:
«Il treno aveva percorso solo pochi chilometri (e la strada era lunga, ci saremmo fermati soltanto alla lontanissima stazione d'arrivo, così correndo per dieci ore filate) quando a un passaggio a livello vidi dal finestrino una giovane donna. Fu un caso, potevo guardare tante altre cose invece lo sguardo cadde su di lei che non era bella né di sagoma piacente, non aveva proprio niente di straordinario, chissà perché mi capitava di guardarla. Si era evidentemente appoggiata alla sbarra per godersi la vista del nostro treno, superdirettissimo, espresso del nord, simbolo per quelle popolazioni incolte, di miliardi, vita facile, avventurieri, splendide valige di cuoio, celebrità, dive cinematografiche, una volta al giorno questo meraviglioso spettacolo, e assolutamente gratuito per giunta.
Ma come il treno le passò davanti lei non guardò dalla nostra parte (eppure era là ad aspettare forse da un'ora) bensì teneva la testa voltata indietro badando a un uomo che arrivava di corsa dal fondo della via e urlava qualcosa che noi naturalmente non potemmo udire»


Restiamo in Italia, però cambiando decisamente registro, con un racconto novecentesco il cui mood è ancora una proiezione dell’Ottocento, dominato dai vasti silenzi della vita campestre nel quale irrompono i rumori inauditi e carichi di meraviglia dell’incipiente civiltà industriale. 


Il giardino incantato, di Italo Calvino, tratto dalla raccolta Ultimo viene il corvo, è la storia di Giovannino e Serenella, due adolescenti che decidono di seguire la strada ferrata in un pomeriggio assolato

Ecco l’incipit:
«Giovannino e Serenella camminavano per la strada ferrata. Giù c'era un mare tutto squame azzurro cupo azzurro chiaro; su, un cielo appena venato di nuvole bianche. I binari erano lucenti e caldi che scottavano. Sulla strada ferrata si camminava bene e si potevano fare tanti giochi: stare in equilibrio lui su un binario e lei sull'altro e andare avanti tenendosi per mano, oppure saltare da una traversina all'altra senza posare mai il piede sulle pietre. Giovannino e Serenella erano stati a caccia di granchi e adesso avevano deciso di esplorare la strada ferrata fin dentro la galleria. Giocare con Serenella era bello perché non faceva come tutte le altre bambine che hanno sempre paura e si mettono a piangere a ogni dispetto: quando Giovannino diceva: - Andiamo là, - Serenella lo seguiva sempre senza discutere»


E dall’Italia ripartiamo per terre lontane, con un romanzo cult: In Patagonia, di Bruce Chatwin.

In Patagonia è la cronaca di un viaggio che comincia a Buenos Aires e procede verso Sud in maniera non sistematica, a piedi, con corriere, macchine, taxi, navi e, chiaramente, con i treni
Come nella poesia Itaca di Kavafis, ciò che conta è il viaggio, non il fine. 

Eccone uno stralcio:

«Il treno partì con due fischi e uno scossone. Al nostro passaggio alcuni struzzi dalle piume fluttuanti balzarono via dai binari. Le montagne erano grigie e si intravvedevano appena nella foschia afosa. A volte un camion sporcava l’orizzonte con una nube di polvere»


E siccome abbiamo detto che il treno è mistero ed avventura, concludiamo il nostro viaggio scoprendo insieme come Raimond Gregorius, insegnante di greco e latino in un liceo di Berna, si ritrova immischiato in una vicenda apparentemente indecifrabile che lo porterà a salire su un treno diretto a Lisbona per risolvere il caso di un mistero irrisolto.

Questa è la trama di Treno di notte per Lisbona, di Pascal Mercier


Ed ecco il suo incipit:
«La giornata a partire dalla quale la vita di Raymond Gregorius non sarebbe stata più la stessa cominciò come innumerevoli altre giornate. Alle otto meno un quarto arrivò da Bundesterrasse e imboccò il ponte di Kirchenfeld che dal centro della città conduce al liceo. Era quello che faceva ogni giorno dell’anno scolastico, immancabilmente alle otto meno un quarto. Una volta che trovò il ponte bloccato, commise uno sbaglio durante la lezione di greco. Cosa mai successa in precedenza e che non si sarebbe ripetuta più. Per giorni e giorni a scuola non si parlò d’altro. Tanto più la discussione andava avanti, tanto più aumentava il numero di coloro che attribuivano l’errore a una distorta percezione uditiva. Tale convincimento finì per prevalere anche tra gli allievi presenti al fatto. Non era concepibile che Mundus, come lo chiamavano tutti, facesse un errore in greco, latino o ebraico.»


René Magritte, Time Transfixed (La durata pugnalata), 1938–1938 
Art Institute of Chicago Building




Last, but not least, permettetemi di salutare gli amici dell'antologia  Attraverso, con i loro racconti dedicati al tema del viaggio, soprattutto coloro che hanno scelto di ambientare le proprie novelle sui treni: Andrea Nikolaevic Ruffolo, con Venessia, finalmente e con Ai confini della normalità;  Enrico Costa e il suo treno per Liverpool, in Penny Lane; Stefano Lucarelli, con Allegro, andante, per niente umano; Giorgio Cavagnaro, con Il treno della Sera


G. De Chirico, Stazione di Montparnasse, 1914 – Museum of Modern art, New York

Edouard Manet - Le Chemin de fer  1873-73 - National Gallery of art, Washington


La mia rassegna letteraria a bordo del treno si chiude qui, sperando che vi sia piaciuta, ma solo per lasciare a voi la parola:


Quali sono i vostri abbinamenti preferiti nel 

binomio treni-libri? 





martedì 6 dicembre 2016

TRA GENIO E SREGOLATEZZA NASCE L’AGGIUSTATORE DI DESTINI





«Sono cresciuto in una pensione familiare, abitata quasi esclusivamente da studenti russi. Perciò ho cominciato con la letteratura russa perfino prima di conoscere quella francese: Gogol, Cechov, Puskin, Dostoevskij, Gorkij prima di Balzac e di Flaubert. In seguito mi sono appassionato a Dickens e a Conrad. Infine, ho letto Balzac e gli scrittori francesi dell' Ottocento. Prima ancora, comunque, da bravo studente, mi ero applicato seriamente ai classici»


Conciergerie et la Seine - Eugene Atget - fonte: web
Siete curiosi di conoscere l’autore che si cela dietro a queste frasi? Bene, allora dovete sapere che nel virgolettato è contenuto uno stralcio dell’intervista ad uno dei più famosi e proficui scrittori nella storia della letteratura: centinaia e centinaia di romanzi e migliaia di racconti, tante sono le sue opere tradotte, nel corso degli anni, in 55 lingue e pubblicate praticamente in tutto il mondo; tra tutte queste ve ne sono almeno un centinaio dedicate al suo principale protagonista, che senza timore di sbagliare possiamo definire uno dei personaggi – chiave dell’immaginario popolare europeo. 

 
Parigi negli anni '30- fonte: web
uomo nella nebbia - fonte: web
 Aggiungo un indirizzo: 36, Quai des Orfevres, Paris. Serve altro? Credo proprio di no!

36, Quai des Orfevres, Paris - fonte: web


Stiamo parlando di Georges Simenon e, immancabilmente, del commissario più celebre del mondo, Maigret.

Il Commissario Maigret viene ufficialmente alla luce nel 1930 sul settimanale Ric et Rac, con un racconto a puntate, successivamente pubblicato come libro, intitolato Pietr il lettone. Ma questo strepitoso personaggio non è nato di getto, bensì è il frutto di tante altre figure utilizzate nel tempo. Esistono, infatti, almeno 15 Maigret prima di Maigret!
Simenon parla di lui come di «un uomo calmo, dalla parlata ruvida, dalle maniere volentieri brutali», di sicuro un uomo semplice, fedele, di buon senso, praticamente il contrario di ciò che è stato Simenon nella vita. E se Simenon non è mai riuscito a cambiare la vita di Maigret, giungendo fino al tentativo, del 1934, di sbarazzarsi del suo personaggio di cui si sentiva prigioniero, ad un certo punto Maigret ha sicuramente cambiato la vita di Simenon, ma forse si è trattato di un inevitabile destino.

Dunque, se non vi dispiace, facciamo un passo indietro per conoscere meglio Georges Simenon, la cui vita, decisamente inquieta, risulta spesso poco conosciuta anche agli appassionati dei suoi romanzi. 

Simenon negli anni '30 - fonte: Centre d'études Georges Simenon 




Per farlo, ci aiuteremo con Georges Simenon – Una biografia, scritta da Pierre Assouline, scrittore, giornalista, saggista, critico letterario, basata sugli archivi del celebre autore e su una serie di testimonianze, uscita per l’editore parigino Julliard nel 1992.
È direttamente Simenon (morto nel 1989) a consegnare la chiave dei suoi archivi ad Assouline accompagnando il gesto con queste parole: «Io la lascerò fare, ma senza aiutarla. A lavoro finito non le chiederò di rileggere il manoscritto. In questo modo lei si sentirà più libero e io anche».
Il ritratto che ne emerge è quello di un uomo che ha vissuto una vita sicuramente fuori dall’ordinario, un uomo estremamente ambiguo, tormentato, dedito agli eccessi (il sesso sfrenato, consumato soprattutto con le prostitute; l’alcol; la brama di danaro e di successo; il ritmo sfrenato della sua produzione letteraria,…) un uomo con pochissimi amici (tra cui Jean Renoir, André Gide e Federico Fellini), un uomo che assomiglia molto al mondo grigio dei suoi romanzi, nel quale dominano soprattutto la solitudine e la mediocrità piccolo-borghese.

Georges Simenon, nasce a Liegi il 13 febbraio del 1903. Egli è figlio di un contabile, Désiré, e di una casalinga di estrazione borghese, Henriette Brüll. Da sempre attratto dalla lettura, a sedici anni entra come cronista alla Gazette del Liège, dove firma articoli con lo pseudonimo di Georges Sim. Proprio per questo giornale, un quotidiano cattolico e ultra conservatore, che parlava degli ebrei come dei peggiori e maledetti nemici del Cristo, nel periodo che va da giugno ad ottobre del 1921, quando l’autore ha diciotto anni, pubblica 17 articoli intitolati Il pericolo ebraico, una miscela di volgari luoghi comuni contro gli ebrei ordinati dal suo direttore.
Va detto che tutto il suo apprendistato si svolge in ambienti ultra conservatori e lui stesso va inteso come un uomo ultra conservatore, un vero reazionario. Infatti, una volta arrivato a Parigi, nel 1922, viene assunto dallo scrittore Binet–Valmen, leader di un movimento di estrema destra

Sempre nello stesso anno, incontra una studentessa dell’Accademia Reale di Belle Arti, Régine Renchon, che lui stesso soprannominerà Tigy e che sposerà un anno più tardi, nel 1923.
Regine Renchon, detta Tigy-
fonte: Fonds Simenon de l'Université de Liège 
 


Poco tempo dopo il matrimonio, Simenon diventa segretario del marchese di Tracy, editore del giornale antisemita Paris – Centre pubblicando un racconto a settimana.

Durante il periodo parigino, usando una moltitudine di pseudonimi, scrive, con una media di un romanzo a settimana, un racconto e un romanzo dopo l’altro, di ogni genere: avventura, rosa, porno, poliziesco e fantastico.

Josephine Baker - fonte: web
In questa fase di grande fermento letterario si fanno sempre più intense le sue frequentazioni nel bel mondo cosicché nel 1925 conosce Josephine Baker, cantante e audace ballerina, assurta quale regina degli Champs-Elisèes, con la quale intreccia una relazione extraconiugale che prosegue fino al 1927.

Simenon e Josephine Baker - fonte Centre d'études Georges Simenon
Nel 1928, stanco di quella vita iperbolica, lascia la Parigi degli anni ruggenti e, a bordo de la Ginette, inizia a navigare in Francia, Belgio e Olanda lungo fiumi e canali che diventeranno fonte di ambientazione di molti suoi romanzi. Proprio in questo periodo prende finalmente la decisione di abbandonare i suoi tanti pseudonimi per firmare tutto ciò che sgorgherà dalla sua penna con il vero nome.

Parigi negli anni '30- fonte: web
A distanza di un anno, nel 1929, scrive per la rivista Dètective una serie di racconti nei quali inserisce un personaggio che piano piano prenderà le sembianze del Commissario Maigret. Dopo averli presentati all’editore Fayard, incassa un contratto per dodici romanzi. Per la verità, l’editore non crede affatto che quel commissario Maigret, personaggio così insolitamente comune, addirittura paragonabile al vicino di casa di ciascun lettore, possa avere successo, ma crede nella capacità di Simenon di scrivere molto bene e molto in fretta.

Il successo di Maigret arriva solo nel 1931 e sarà un successo clamoroso, al di là di qualsiasi aspettativa, tanto da lasciare l’editore a bocca aperta, ma già nel 1934, di ritorno da un viaggio in Africa durante il quale si dedica a scrivere una serie di reportage, Simenon comunica a Fayard di voler mandare in pensione il suo Commissario. Fayard, sconvolto da questa scelta, tenta invano di convincere il suo pupillo a non smettere la serie di Maigret e, a questo punto, il caparbio scrittore belga licenza Fayard e si rivolge a Gallimard, sovrano indiscusso dell’editoria parigina di allora per dedicarsi ad altri romanzi. Per la coppia Georges e Tigy il passaggio da un editore all’altro corrisponde anche all’inizio di una vita mondana molto intensa.
Dopo un intervallo di un paio d’anni, nel ’36, però, Simenon si accorge che il suo Maigret è una fonte economica inesauribile di cui non può fare a meno e così inizia a scrivere una serie di altri racconti tutti dedicati a lui. Le inchieste del commissario Jules Maigret si snoderanno nell'arco di 42 anni racchiudendo 75 romanzi e 28 racconti
Sempre tra il  1936 e 1937, contestualmente, collabora con il Courier Royal, un’altra testata ultra conservatrice retta dal conte di Parigi, pretendente al trono di Francia.

Simenon e il figlio Marc - fonte  Centre d'études Georges Simenon
Nel 1939 nasce Marc, il primo figlio e nel 1940 si trasferisce con la famiglia a Fontenay-le-Comte, in Vandea.

In questo periodo cede i diritti di Maigret alla Continental, una società di produzione e propaganda cinematografica che faceva riferimento direttamente a Goebbles e viene visto entrare e uscire più volte nella tristemente famosa sede del Kommandantur nazista. Le sue mosse non passano certo inosservate al Comitato di Epurazione per gli Scrittori, che per tutta risposta, alla fine della guerra, lo accusa di collaborazionismo con i nazisti. Il rischio è altissimo, ma fortunatamente viene condannato soltanto a non poter pubblicare per due anni.

Sul presunto collaborazionismo dell’autore belga sono in molti a prendere le distanze. Nella maggior parte dei casi si parla di una sua ambigua indifferenza nei confronti dell’occupazione nazista e di una sua spiccata tendenza a non volersi schierare da nessuna parte, legata soprattutto alla sua brama di danaro e successo

Georges e Christian Simenon - fonte:Fonds Simenon de l'Université de Liège 
Sul fratello minore di Simenon, Christian, invece, non vi sono dubbi perché egli fu di certo un criminale filonazista. Quando, alla fine della guerra, Georges scopre la condanna a morte che pende sulla testa del fratello, lo consiglia di fuggire con la Legione Straniera per salvarsi. Christian riesce a scampare quella condanna, ma muore due anni più tardi, nel ’47, combattendo per la Francia in Indocina. La madre anaffettiva, che non aveva mai nascosto a nessuno di preferire Christian a Georges, e che apertamente dichiarava di ritenere il suo primogenito incapace di combinare qualcosa di buono nella vita, lo riterrà responsabile della morte del fratello.

Denise Ouimet, seconda moglie di Simenon
fonte: Fonds Simenon de l'Université de Liège
Nel 1945, Georges Simenon, quindi, temendo le ritorsioni dell’accusa di collaborazionismo, fugge in Canada insieme alla prima moglie Tigy e il figlioletto Marc.

Poco dopo il trasferimento incontra Denise Ouimet, colei che cinque anni più tardi, dopo aver condotto un menage a trois insieme a Tigy e, successivamente a quattro, con Heriette, ribattezzata Boule – una cameriera incontrata qualche mese più tardi – diventerà la sua seconda moglie e madre di altri tre suoi figli: Johnny (1949); Marie-Jo (1953); Pierre (1959). Infatti, Georges divorzia da Tigy il 21 giugno del 1950 e il giorno dopo, il 22 giugno 1950, sposa Denise.

Pierre, Marie Jo e Georges Simenon - fonte Centre d'études Georges Simenon


Simenon, Denise, Marie Jo e Pierre
fonte: Fonds Simenon de l'Université de Liège
Con Denise, lo scrittore trascorre più di quarant’anni di litigi, sesso trasgressivo (ogni cameriera di casa Simenon diventa automaticamente la sua amante) e sbronze.




Nel 1952 la città di Parigi lo invita a tornare in Francia e il romanziere accetta. Nel 1955 trasferisce l’intera famiglia a Cannes, dove rimane per due anni, prima di trasferirsi nuovamente, questa volta nel cantone svizzero di Vaud.  

il ritorno di Simenon a Parigi, nel 1952
fonte: Centre d'études Georges Simenon   


Nel 1961, Andreina Monicelli, moglie di Arnoldo Mondadori, consiglia la famiglia Simenon di assumere una giovane cameriera, Teresa Sburelin.

Simenon a Parigi nel 1962 - fonte Fonds Simenon de l'Université de Liège
Il matrimonio con Denise è ormai in crisi profonda e gli incontri sessuali tra Simenon e Teresa avvengono senza che i due facciano alcunché per nasconderli. A ridosso di questi avvenimenti, Denise viene ricoverata in clinica psichiatrica per ripetute crisi isteriche che si fanno via via sempre più acute. 



Per tutta risposta, Teresa, a quel punto, si trasferisce direttamente nella camera dello scrittore. 
Georges Simenon e Teresa Sburelin
fonte: Fonds Simenon de l'Université de Liège

Nel 1978, Denise, dalla quale Simenon è separato, ma non ancora divorziato, pubblica Un oiseau pour le chat, con il quale accusa di estrema crudeltà il marito. Poche settimane dopo, Marie-Jo, la figlia venticinquenne, si toglie la vita sparandosi al cuore con una pistola.

Marie-Jo Simenon - fonte: Fonds Simenon de l'Université de Liège
Secondo quanto riporta il biografo Assouline, Simenon è colpevole di aver incoraggiato la figlia ad immaginare un amore equivoco con il padre. Pare, infatti che lo scrittore abbia addirittura offerto a Marie-Jo una fede nuziale e la biografia ipotizza anche che la fragile ragazza sia stata vittima dell’opera del padre, con particolare riferimento al romanzo La disparition d’Odile, la cui trama racconta del suicidio della giovane figlia di uno scrittore di successo. Anche le analogie, sempre secondo Assouline, sono inquietanti, dato che Marie-Jo ha acquistato l’arma usata per uccidersi nello stesso luogo in cui l’ha acquistata la protagonista del libro.

Nel 1979 muore anche Henriette Brüll, la terribile madre di Simenon e la sua dipartita segna una profonda battuta d’arresto nella sua produzione letteraria.
Sarà solo nel 1981, infatti, che lo scrittore riuscirà ad emergere da una profonda crisi pubblicando, con l’editore Presses de la Cité, Memorie Intime, romanzo con il quale si sforza di ricordare la figlia e tenta di placare, in qualche modo, il dolore per il suo suicidio e i suoi sensi di colpa. 

Il 4 settembre del 1989, Georges Simenon muore a Losanna, all’età di ottantasei anni, per una recidiva di un tumore al cervello. Teresa lo fa cremare e sparge le sue ceneri nel giardino di casa, sotto l’albero di cedro, dove lui stesso aveva sparso le ceneri della figlia morta suicida. I suoi figli, su volontà esplicita del romanziere, apprenderanno la notizia della scomparsa del padre alla radio, tre giorni dopo la sua cremazione.

una vecchia edizione di La pipa di Maigret - fonte web

Come già accennato e come esposto finora, il ritratto di Simenon, restituito da questa biografia, è lontano anni luce da quello di Maigret, ma rimane il fatto che proprio quest’uomo, tanto irrequieto e tormentato fino ad apparire detestabile, tanto umanamente mediocre quanto geniale, sia riuscito a creare uno dei personaggi più umani e più affascinanti del Novecento.

Maigret interpretato da Gino Cervi - fonte: web




Maigret, d'altro canto, rappresenta anche l’antitesi degli investigatori americani che incarnano l’immagine del supereroe, egli non ha nulla da spartire con questi uomini che sparano, lottano, uccidono e seducono senza tregua. Nel suo caso si può serenamente parlare di tutt’altro tipo di eroe e cioè di un uomo, che pur rispettando le prassi canoniche delle indagini, si lascia trasportare dall’istinto e si cala  nei panni degli altri per cercare di comprendere le motivazioni che hanno scatenato un delitto.

Maigret nell'interpretazione di Jean Gabin

Maigret interpretato da Bruno Cremer - fonte: web
È un piccolo borghese con tutte le sue debolezze, un amante della cucina popolare, un uomo che vive di affetti e pantofole, anziché di prodezze amorose. È un uomo che riesce a saldare il mondo proletario piccolo borghese con quello dell’alta borghesia. È un uomo sensibile alla vita della gente comune, che viene stravolta da vicende drammatiche di portata eccezionale. Egli è un investigatore che tende a ripristinare l’ordine, facendo rispettare la legge, ma che è disposto a chiudere un occhio se il colpevole è un umile, un essere in stato di bisogno. Perché è un commissario psicologicamente coinvolto, che fa di tutto per comprendere i criminali con i quali si trova ad avere a che fare. E poi, molto probabilmente non a caso, a differenza di Simenon che voleva la tranquillità del matrimonio unita all’ebbrezza del tradimento, Maigret è fedele.  

Maigret interpretato da J. Gabin - fonte: web
Senza dubbio sono dunque molteplici le differenze tra autore e personaggio, eppure esiste un punto di incontro.

Pur essendo entrambi dotati di una raffinata sensibilità, che li porta a comprendere le mille sfaccettature delle relazioni umane, ciascuno di loro intenzionalmente sceglie di mostrarci soltanto la zona d’ombra, che silenziosa e inarrestabile avvolge i meccanismi dell’anima.

«Gli uomini leggono, perché quasi come del pane, hanno bisogno di finzione» diceva Simenon. 

Ma il bisogno spasmodico di finzione di cui ci parla l’autore affonda in una sfera profonda e radicata e così, capita spesso di specchiarci nella finzione dei romanzi, perché nella vita siamo incapaci di guadare direttamente la realtà. E allora, quanti padri sconfitti, quante figlie disperate e quanti salvifici Maigret si nascondono tra noi?

Ma in fondo, leggendo o scrivendo, forse, a ciascuno di noi viene data la possibilità di trovare consolazione rispetto alla propria imperfezione e con essa viene offerta anche la possibilità di riparare il proprio destino.



Conoscevate la vita di Simenon? E cosa ne pensate?

Siete anche voi degli amanti del Commissario Maigret?



FONTI:


Biografia:

Pierre Assouline, Georges Simenon. Una biografia. Ed. Odoya

Le Centre d'études Georges Simenon

Fonds Simenon de l'Université de Liège


Immagini fotografiche:

Wikipedia 

sito Le Centre d'études Georges Simenon  

sito de Fonds Simenon de l'Université de Liège