lunedì 28 novembre 2016

Gradite un caffè?






C’è chi dice che debba essere «nero come la notte, dolce come l’amore e ardente come l’inferno»; c’è chi ne ama soprattutto l’aroma, evocativo di terre lontane, sconosciute e foreste tropicali. 

In seguito e in ordine sparso, troviamo: chi lo ritiene un carburante indispensabile per una vita irrequieta e spericolata; quelli che lo bevono per sostenere l’energia nervosa, utile a tirare avanti la giornata; quelli per cui è sempre una buona scusa per vedere un amico e scambiare due chiacchiere; altri che lo consumano per riflettere pensando alla giornata che verrà, o per esaltare i sensi e stimolare le idee, la memoria; chi lo vuole servito in una bella tazza, perché i dettagli hanno la loro importanza; quelli che lo usano per prevedere il futuro, leggendone i fondi. 

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Insomma, che lo amiate oppure no, il caffè rimane un grande protagonista della vita di moltissime persone, più o meno ovunque in giro per il mondo, a tutte le latitudini.

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Per me, ad esempio, la giornata non inizia bene se non è accompagnata da una tazza grande di caffè nero e bollente e, se possibile, bevuto con calma mentre curiosamente scorro le notizie del mattino.

E proprio sfogliando le pagine di un noto quotidiano, con la tazza fumante tra le mani, ho appreso che il caffè, non solo è la bevanda più amata dagli italiani, ma – per come lo descrive Il Sole 24 Ore – è addirittura «un vero e proprio tonico per l’economia del Paese».

A quel punto ho deciso di proporvi un nuovo viaggio improntato alla scoperta dell’«oro nero» più delizioso che noi tutti conosciamo. O che crediamo di conoscere! Ed eccoci qua.

Inizierei col dire che parlare di caffè non è affatto banale, soprattutto se lo si considera una merce che ogni anno dà vita al più alto volume di scambi in tutto il pianeta.

Per i maggiori paesi esportatori di caffè (Brasile, Colombia, Uganda, Vietnam, Venezuela, Yemen, Guatemala, India, Messico, Nicaragua, Costa d’Avorio, Costa Rica, Kenia), prevalentemente collocati nella fascia tropicale e appartenenti al cosiddetto «Terzo Mondo», questo prodotto, rappresenta una delle principali fonti di sostentamento, quindi è prezioso quanto l’oro. 
lavorazione del caffè - fonte web

Pare, appunto, che la domanda di caffè nel mondo sia in costante aumento e lo sono anche, di conseguenza, le esportazioni.

Per quanto riguarda l’Italia, inoltre, stando ai dati ISTAT riportati nell’articolo del Sole 24 Ore, l’espresso (sia il caffè in polvere, che le macchine da bar o domestiche, che gli impianti di packaging, che le capsule) vanta un primato mondiale con un business che si assesta intorno ai 5 miliardi di euro, e un grandissimo potenziale oltreconfine. Insomma, la filiera italiana, artigianale e industriale, legata a questo prodotto è in grande fermento.
Bene, anzi, benissimo!

Ma l’aspetto che più mi affascina, ancor prima di quello economico e commerciale, è quello antropologico, in quanto il caffè rappresenta un fenomeno all’origine di mode che hanno largamente influenzato i consumi occidentali, i luoghi, le forme e l’attitudine a vivere in queste società negli ultimi tre secoli. Vale dunque la pena di partire dalle sue origini, che non a caso, sono alquanto misteriose!

Dovete sapere, infatti, che sono in molti a vantarsi di averlo scoperto e di avergli dato i natali, con la conseguenza che molti Paesi lo considerano bevanda nazionale. 

In realtà si sa poco delle origini storiche di questa bevanda, ma sono tante le leggende legate alla sua scoperta, sempre più o meno casuale.
Il suo nome si lega a Coffea Arabica, una pianta originaria dell’Etiopia, il cui nome deriva da Kaffa, regione in cui il caffè sarebbe stato scoperto.

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Tuttavia, il nostro Pellegrino Artusi (1820 – 1911)
Pellegrino Artusi,
fonte Wikipedia
sostiene che il miglior caffè provenga dalla città yemenita di Moka, dove alcuni monaci osservando l’irrequietezza delle capre che avevano mangiato le bacche di un arbusto, provarono a raccoglierle, abbrustolirle, tostarle e macinarle per prepararne un infuso mirato a contrastare i colpi di sonno che li colpivano durante le preghiere notturne.

Stando a ciò che sostengono alcuni enciclopedisti francesi, inoltre, il caffè viene citato da Omero e in diversi testi religiosi, tra cui la Bibbia, dove si trova un episodio in cui l’arcangelo Gabriele avrebbe donato del caffè a Maometto per aiutarlo a contrastare la sonnolenza. 

Intorno all’anno Mille, poi, il medico, filosofo e matematico persiano Avicenna, da molti considerato il padre della medicina moderna, prescriveva il caffè (bunc, questo il nome abissino del caffè) come forte antidepressivo e digestivo.

Avicenna, fonte Wikipedia
Sulla scia di Avicenna, diversi secoli più tardi, nel 1691, Angelo Rambaldi, medico bolognese, dedicò addirittura un trattato a questo infuso ritenuto portentoso:

«[…]non solo teneva svegli senza diminuzioni di forze, ma corroborava lo stomaco, asciugava le flussioni, preservava dai calcoli e dalla gotta, sradicava le ostruzioni, quietava i tumulti delle parti naturali, cioè di “affetti ipocondriaci”, sollevava gli idropici, raffrenava gli isterici, apriva copiosamente le urine e le “purghe” delle donne, aiutava le gravide, preservava dalle febbri intermittenti col solo fumo, aguzzava la vista e faceva effetti che per essere fra di loro contrari, parevan fuori dall’ordine di natura. […]» (clicca qui per continuare la lettura del trattato di Rambaldi)

Sarà per via dei suoi benefici effetti, o per il gusto e l'aroma irresistibile, che nel corso del Cinquecento il caffè inizia a spostarsi dall’Arabia e dallo Yemen per approdare in Turchia. Sempre secondo gli storici, è infatti verso il 1475 che a Costantinopoli compaiono i primi ambulanti del caffè, dei veri e propri caffettieri, i quali, appostati nelle piazze, nei cortili delle moschee e in ogni via della città, preparavano al momento la bevanda per venderla ai passanti.

In Europa, l'oro nero arriva circa un secolo e mezzo più tardi. 

Siamo nel 1624, a Venezia, il più importante crocevia dei commerci da e per l’Oriente, e un gruppo di accorti mercanti, che avevano avuto modo di osservare quanto quelle strane bacche fossero in grado di conquistare le piazze arabe, decide di acquistare e smerciare una partita di sacchi di chicchi di caffè tostati. 
La loro scelta viene premiata da un grandissimo successo e nell’arco di due decenni, oltre alla progressiva diffusione dei chicchi di caffè, si assiste alla propagazione dei Caffè, i locali in cui vengono serviti caffè, a quei tempi definito «Vino d’Arabia», tè e altre bevande, che pian piano si espandono nell’intero territorio nazionale, come parallelamente accadrà anche a Londra, Parigi, Vienna e Berlino, fino a conquistare tutto il Vecchio Continente e, più tardi, il mondo intero.

il ritorno del Bucintoro, il Canaletto
pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli - Torino - fonte web
Va detto che nel corso di quei secoli, la diffusione del misterioso prodotto proveniente dall’Oriente islamico, nero come gli inferi e amaro come le pene dell’inferno, non manca di venir contrastata da remore e pregiudizi di natura religiosa e culturale messe in atto dagli ambienti più conservatori dell’Europa cristiana e cattolica, tanto che qualcuno inizia a parlare di «diabolici effetti». 

Ciononostante, la moda del caffè prosegue inarrestabile e trionfante, dando vita ad un numero incalcolabile di fan appartenenti ai mondi più disparati e  lasciando anche abbondanti tracce nella letteratura, fino ad oggi.

Già nel Settecento, il caffè fa il suo ingresso ufficiale a teatro con Carlo Goldoni, il quale ne parla svariate volte all’interno delle sue commedie, come L’uomo di mondo, La vedova scaltra, Le femmine puntigliose, La putta onorata, La buona moglie, Il cavaliere e la dama, L’avvocato veneziano. Ma ne parla soprattutto nel suo capolavoro, La bottega del caffèscritto nel 1750, nel quale ci presenta un geniale intreccio imperniato su pettegolezzi, manie, stravaganze, imbrogli e finzioni, rappresentativo della società veneziana di allora, ma che ancora risulta oggi straordinariamente attuale.

Carlo Goldoni - fonte Wikipedia

fonte Wikipedia
Ma se il caffè viene consacrato nel teatro veneziano di Goldoni, a Milano, nel 1764, diventa il titolo del più famoso periodico di estrazione illuminista, portavoce delle istanze culturali, sociali e politiche delle classi emergenti che puntavano allo svecchiamento delle istituzioni e alla razionalizzazione dell'apparato statale di allora, fondato da Pietro Verri e Cesare Beccaria: Il Caffè.

La scelta del nome dell’illustre foglio va, infatti, letta in una duplice chiave che mette in risalto l'importanza della bevanda nella storia: da una parte, attesta il grado di diffusione e consenso raggiunto dai Caffè, intesi come botteghe, ormai diventati luogo di scambio e di diffusione delle idee del riformismo illuministico e, dall’altra, testimonia dell’affetto sviluppato dagli intellettuali verso la bevanda, che tiene attiva la mente, in contrapposizione al vino, che la offusca. 

E, se il caffè continua imperterrito la sua felice corsa alla conquista di nuovi pubblici, non posso fare a meno di citare Napoli, città indiscutibilmente stregata dal culto di questa bevanda, il suo teatro, il suo cinema e la sua musica.

Così troviamo il caffè protagonista delle più note opere di Eduardo De Filippo. E lo troviamo
Eduardo De Filippo, dal web
 
servito in tazza, nella scena iniziale di Natale in casa Cupiello, vero e proprio dramma dell’incomunicabilità, ma anche commedia ricchissima di comicità e di amara umanità; è grande protagonista della passione di Pasquale Lojacono, in Questi fantasmi (trovate qui il video), amabile personaggio che svela al dirimpettaio il segreto del «coppetiello»; 
è l’oggetto della vendita abusiva al mercato nero da parte di Amalia Jovine, protagonista di Napoli milionaria.   

Sempre a Napoli, il caffè e il rito quotidiano della «tazzulella ’e cafè», carico di innumerevoli simbologie, rimane costantemente al centro della scena pur spostandosi dal teatro al cinema.  

Così, lo rintracciamo servito, da una strepitosa Titina De Filippo, alquanto freddo e in scarsissima quantità, nell’esilarante commedia Totò, Peppino e i fuorilegge, o abbondantemente zuccherato, ne La banda degli onesti, così come in tantissime altre pellicole cult di Antonio De Curtis.  
Totò e Peppino ne La banda degli onesti
fonte Wikipedia


E Tazzulella ’e cafè diventa, molti anni dopo, anche il titolo di una delle più famose canzoni di Pino Daniele, un testo di denuncia nel quale vengono evocate le grandi varietà di umori, atmosfere e stili di una Napoli orgogliosa e piena di contraddizioni. (cliccare qui per il video)

Pino Daniele - fonte web


Ma il caffè, come elemento di primo piano nel mondo della canzone di autore, non si ferma a Napoli e prosegue il suo viaggio fino a Genova, con Fabrizio De Andrè

Don Raffaè è, infatti, uno dei capolavori indiscussi di questo cantautore, una canzone di denuncia della situazione dei detenuti in carcere negli anni Ottanta e della totale subordinazione dello Stato al potere e alla volontà di Mafia e Camorra. Il testo allude molto chiaramente al camorrista Raffaele Cutolo e il suo ritornello, dedicato al caffè, si ispira ad un brano di Domenico Modugno, 'O cafè.  (cliccare qui per il video)

Fabrizio De Andrè - fonte web

Diciamolo senza pudore: di caffè potremmo parlare all’infinito!

Tuttavia, dovendomi dare un limite, riferisco ancora soltanto qualche piccolo accenno al mondo dell’arte, non solo italiano come vedrete,  in quanto a partire già dal Seicento, fino ad oggi, il caffè e l’universo simbolico che ruota intorno ad esso, ci viene proposto quale co-protagonista di tantissimi dipinti e disegni che ne testimoniano le varie fasi della sua preparazione, fino al rito della sua degustazione. 

Tra gli innumerevoli autori, ho scelto di mostrarvi anzitutto le opere di due tra i miei tanti artisti preferiti: Edward Hopper, con le sue desolate visioni notturne dall’atmosfera sospesa, che possiamo osservare in Automat 

Automat, E. Hopper - Des Moines Art Centre, Des Moines 



e in Nighthawks  
Nighthawks, E. Hopper - Art Institute, Chicago- fonte web


ed  Édouard Manet, con l’ultimo dipinto realizzato prima di morire, nel 1879, Chez le Père Lathuille

Chez le Père Lathuille, E. Manet - Musèe des Beaux Arts, Tournai, fonte web

Come già accennato, anche in Italia vi sono artisti che sentono l’esigenza di ritrarre il caffè nelle loro opere.


Tra questi, incontriamo Giacomo Balla, esponente del movimento futurista,  che sceglie uno stile insolitamente classico e figurativo per raffigurare se stesso in questo autoritratto, scherzosamente denominato Autocaffè, realizzato nel 1929 e attualmente ospitato presso la Galleria degli Uffizi, a Firenze. 

Autocaffè, G. Balla, Galleria degli Uffizi, Firenze
fonte web
Un altro grande autore italiano che avverte il bisogno di rappresentare una famosa bottega dentro la quale si muovono personaggi famosi, camerieri e turisti, è Renato Guttuso con l’opera Caffè Greco, ispirata allo storico caffè di Roma, qui di seguito riportata nella versione del 1976 ospitata presso il Museo Ludwig, a Colonia.



















Caffè Greco, R. Guttuso, Museo Ludwig, Colonia - fonte web


Eccoci dunque arrivati alla fine del post: non mi resta che salutarvi, dandovi appuntamento alla prossima settimana per un nuovo affascinante viaggio e augurando buon caffè a tutti!



E voi, cari amici, amate il caffè? E a quali opere, eventualmente lo accostate?







FONTI: 


- La filiera italiana del caffè vale 5 miliardi - articolo di Ilaria Visentini, Il Sole 24 Ore, 21 novembre 2016

- Youtube, per i filmati proposti nel post: Don Raffaè, di Fabrizio De Andrè; Tazzulella ’e cafè, di Pino Daniele; Questi fantasmi, di Eduardo De Filippo; 

- Wikipedia, per le immagini e i riferimenti alle opere e gli autori citati

- Ambrosia arabica ovvero della salutare bevanda caffè, di Angelo Rambaldi, sito dell'Accademia Barilla 

Cenni storici sul Caffè: Annali Universali di Statistica, Economia pubblica, Storia e Viaggi - A.A.A., edito nel 1834



















lunedì 14 novembre 2016

In viaggio nell’acqua – Prima parte









«Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare»


Scorcio del porto di Bari


Il nostro nuovo viaggio inizia con L’Infinito di Leopardi che uso per portare la vostra attenzione su un argomento che mi sta particolarmente a cuore: l’acqua.

L’acqua, ad esempio, è sempre stata musa ispiratrice di un numero infinito di artisti, nella letteratura, nella musica, nel teatro, nell’arte figurativa. Trattarli tutti sarebbe un’impresa ardua, se non impossibile, che ci condurrebbe ad approfondire una vastità di argomenti e di concetti che finirebbero per innestarsi tra loro, portandoci lontano e al di fuori dello spazio e del tempo concessi in un post.

In questa primo post dedicato al tema dell'acqua, mi limiterò, dunque, a riportare qualche caso relativo all’arte figurativa, universo nel quale troviamo il riscontro più diffuso e variegato dei modi di esprimere i molteplici significati ispiratori che dall’acqua scaturiscono. Successivamente, analizzerò il tema trattandolo da un altro punto di vista. Ma torniamo all'arte pittorica. 
Come già anticipato, sono moltissimi gli artisti che si sono ispirati a questo elemento e ne hanno fatto spesso l’oggetto principale della loro rappresentazione, o uno spunto per una raffigurazione metaforica fatta di tantissime simbologie.

Nella pittura, soprattutto in quella relativa al periodo che corre da Giotto al Rinascimento, l’acqua è sovente rappresentata come fonte di vita, o elemento purificatore che rigenera. Allo scopo di chiarirmi, vi riporto tre esempi.

Battesimo di Cristo, Pier della Francesca -
National Gallery di Londra

Il primo al quale mi riferisco è il Battesimo di Cristo, di Piero della Francesca, nel quale l’acqua viene proposta in qualità di acqua benedetta e dunque come simbolo di purezza





























Il secondo esempio che voglio mostrarvi è la Nascita di Venere del Botticelli. In questo capolavoro, osserviamo Venere nata dalle acque del mare sopra una conchiglia. 


Nascita di Venere, Sandro Botticelli - Galleria degli Uffizi, Firenze


Se il nostro sguardo è catturato dalla bellezza delle figure che animano la composizione e dall’insieme del paesaggio raffigurato, certamente non può sfuggirci il significato della presenza determinante dell’acqua del mare, con la sua superficie increspata dalle onde, sulla quale Venere avanza leggera e che vuole simboleggiare l’origine della vita.


Come terzo caso, vi propongo L’Amor Sacro e l’Amor Profano, di Tizianonel quale incontriamo due personaggi femminili, Venere e Proserpina, che assistono un amorino intento a miscelare dell’acqua contenuta nello scrigno-sarcofago, e proprio questo elemento gli permetterà di trasformare la morte in vita.


L'Amor Sacro e l'Amor Profano, Tiziano - 
Galleria Borghese, Roma



Proseguendo la nostra ricognizione, troviamo opere nella quale l’acqua assume il significato del luogo di richiamo nel viaggio eterno, nell’oblio.

E’ questo il caso dell’ Ophelia, di John Everett Millais, giovane e infelice amante di Amleto, destinata a morire in acqua, quindi simbolo della morte prematura, della dissoluzione della bellezza. Qui l’acqua si trasforma in acqua sognata, che avvolge gli esseri dormienti e in cui ci si abbandona in un lento oblio di sé. 


Ophelia, John Everett Millais - Tate Gallery, Londra



Seguendo un nuovo percorso, incontriamo l’acqua intesa come simbolo del pensiero liquido, un’idea secondo la quale il valore spirituale dell’elemento naturale viene accostato alla stessa anima dell’uomo
Si tratta di un pensiero che affonda le radici nella Metafisica e che ritroviamo in Omero, Talete, Eraclito, Aristotele, ma che ha attraversato l’evoluzione delle correnti e dei movimenti artistici, fino ad arrivare a Van Gogh
Del pittore olandese ho scelto di presentarvi la sua Notte Stellata sul Rodano, capolavoro totalmente giocato sul riflesso del cielo stellato contro le acque scure del fiume e le luci della cittadina di Arles in lontananza. 



Notte Stellata sul Rodano, Van Gogh -  Musée d'Orsay, Parigi



Un’ulteriore visione che intendo sottoporre alla vostra attenzione è quella che imprime all’acqua un carattere profondamente femminile: parliamo, dunque, di acqua come simbolo della femminilità, ma anziché incentrarmi sull’accostamento simbolico più frequente, ovvero quello della madre, ho scelto quello dell’amante: la sirena. E per parlarvi di  sirene, soggetti destinati a sconvolgere la morale comune, con il loro aspetto seducente, ma capace anche di generare diffidenza e produrre fratture, ho pensato ad una sirena del tutto anomala, ma decisamente interessante, forte e dirompente. 
L’ultimo quadro di questa carrellata, non a caso, è L'Invenzione Collettiva di René Magritte, opera nella quale troviamo una sirena, addirittura, con le parti del corpo invertite rispetto all’immaginario collettivo, una creatura ibrida, metà donna e metà pesce, languidamente distesa sulla battigia, alle cui spalle si staglia l’onda che sfocia con il suo azzurro cupo nel chiarore dell’orizzonte. 


L'invenzione Collettiva, René Magritte - Kunstammlung Nordrhein-Westfalen, Dusseldorf


Ebbene, se il nostro viaggio alla ricerca dei significati attribuiti all’acqua nel mondo della pittura finisce qui, non termina, invece qui il nostro discorso sull’acqua.


Sì, perché l’acqua, tanto indispensabile alla vita umana – basti pensare che la superficie della Terra è coperta per il 71% d’acqua e che proprio l’acqua rappresenta il costituente principale del nostro organismo – viene troppo spesso e a torto considerata un bene scontato e inesauribile.

Nel nostro mondo occidentale, per esempio, in cui è molto diffusa la cultura dello spreco, il consumo personale quotidiano di acqua supera di 6 volte quello di un indiano e di 30 volte quello di un keniota. Secondo i più recenti dati Unicef, infatti, ogni giorno migliaia di bambini muoiono per mancanza di acqua o per malattie diarroiche dovute a scarse condizioni igienico sanitarie e acqua potabile non sicura. (Leggi qui )


Da ciò si deduce che proprio l’acqua è, quindi, un efficace parametro della diseguaglianza dei cittadini del mondo ed un bene che va necessariamente tutelato.

Non si pensi, però, che la questione non ci riguardi da vicino. Ci riguarda sempre da vicino!

Un ultimo punto sul quale mi soffermo lo riscontriamo addirittura a casa nostra. 
Anche in Italia, come vedremo, dove i corsi d'acqua non mancano di sicuro e costituiscono uno tra i più preziosi elementi di attrattiva turistica, il rispetto per l’acqua sembra abbondantemente trascurato

lago di Iseo, Floating Piers 

Questo è ciò che afferma l'Ispra (Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale) nel Rapporto Nazionale Pesticidi nelle Acque – edizione 2016 (contenente dati relativi al biennio 2013-2014) – spiegando che le acque superficiali, cioè quelle di fiumi, laghi, torrenti, sono intrise di pesticidi (un’incidenza del 63,9% sui 1.284 punti di monitoraggio; e la stessa sorte tocca alle acque sotterranee (con un’incidenza del 31,7% rispetto ai 2.463 punti monitorati). 

Per leggere il Rapporto Ispra 2016 nella versione integrale basta cliccare qui



veduta del lago Maggiore dalla Rocca di Angera




Grazie ai pesticidi, che sono sostanze chimiche impiegate in agricoltura nell’eliminazione degli organismi parassiti (animali o vegetali), che danneggiano le piante coltivate e compromettono la produttività del terreno e la qualità del raccolto, sono dunque a rischio sia gli organismi acquatici che l’uomo. 

il Ticino a Sesto Calende, sullo sfondo il Monte Rosa


cigno in cova lungo la sponda del Ticino a Sesto Calende


Eh, sì - avete capito benissimo - anche l'uomo, perché l’acqua attraversa tutte le funzioni del nostro vivere quotidiano, con l’acqua si produce cibo nei campi e negli allevamenti, si attivano processi energetici


famiglia di cigni nel lago di Garda




Che fare, quindi?  
il Mincio all'altezza di Monzabano



Occorre necessariamente un’inversione di rotta e un’assunzione di responsabilità collettiva guidata da scelte etiche 

Non possiamo più fingere di ignorare che il problema (enorme) esiste e che sta a noi risolverlo.



veduta del lago di Varese da Biandronno

Nulla è inevitabile, ma la partita va giocata tempestivamente e con grande intelligenza.



veduta del lago Maggiore da Verbania


Concludo lasciandovi con un estratto dell’articolo L’uomo schiacciato dai suoi stessi limiti, di Zygmunt Bauman, (tanto perché si capisca che adoro questo sociologo!) tratto da L’Espresso:


[…] C’è ancora molto che possiamo fare anche entro i confini stabiliti dai limiti che la natura ci ha imposto. Come ha insistito Steven Jay Gould in un’intervista raccolta nel volume Conversations about the End of time (Penguin books 1999; trad. it. Pensieri sulla fine dei tempi, Milano, Bompiani, 1999) “una corretta etica ecologica non deve guardare al lontano futuro della vita su altri pianeti, ma deve preoccuparsi della qualità della nostra vita e della vita di altre specie qui e ora. A volte noi siamo stati la causa inconsapevole dell’estinzione di alcune di esse. In molte occasioni abbiamo spazzato via interi habitat senza neanche rendercene conto e abbiamo sterminato le specie che hanno avuto la sfortuna di stabilirvi la propria dimora” . […] Tutto dipende dalla volontà umana, dalla nostra intelligenza, dalla nostra capacità di cooperare, dai nostri politici. I pericoli sono reali, le ansie legittime. Alcuni pensano che la tendenza attuale è destinata a continuare e porterà al disastro. Ma in realtà non c’è nulla di inevitabile e possiamo anche sperare che saremo abbastanza intelligenti da invertirla”. Vorrei solo aggiungere due postille alla raccomandazione di Gould. La prima è che le nostre capacità, le nostre risorse e i nostri mezzi di difesa sono destinati a rimanere limitati, almeno per un tempo molto lungo, ma la loro efficacia può essere notevolmente ampliata attraverso un uso corretto - ovvero giusto ed equo - ispirato, mosso e guidato da considerazioni etiche, anziché, come tendiamo a fare oggi, dal desiderio di profitti momentanei. La seconda è che abbiamo bisogno di combinare la riconciliazione fra l’inevitabilità della nostra fragile posizione nell’universo con la ferma determinazione a continuare la lotta per fare tutto ciò che questa posizione ci consente, allo scopo di ammorbidire i suoi verdetti e renderla più facile da gestire. Questo sarebbe sufficiente a tenerci occupati per tutta la vita. (Cliccando qui si arriva all’articolo completo)




E voi, cosa ne pensate? 




FONTI:

Storia dell'arte italiana, in 5 volumi, Sansoni

La storia dell'arte raccontata da Ernst H. Gombrich, Einaudi

Rapporto Ispra Edizione 2016


L’uomo schiacciato dai suoi stessi limiti, di Z. Bauman, L’Espresso

Wikipedia, per le immagini delle opere artistiche analizzate nel testo

Tutte le altre immagini fotografiche presenti nell'articolo sono frutto di miei scatti personali